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Hurwood, Bonnett e Friend avanzavano barcollando alle sue spalle, e si fermavano a intervalli di poche iarde per trovare un nuovo modo di trasportare la torcia, le cassette di Hurwood, e Beth. Per due volte Shandy udì un disastroso tonfo multiplo in acqua, seguito da rinnovati singhiozzi da parte di Beth e da uno scroscio quasi incomprensibile di imprecazioni da parte del padre.

Poco dopo che gli otto avevano messo piede sul primo argine di fango, le teste fungoidi avevano cominciato a starnutire, e granuli di polvere simili a spore o a polline erano stati espulsi da quelle bocche molli; ma il fumo denso delle torce, che si librava basso, respingeva la polvere come se ogni torcia fosse la sorgente di un vento potente che solo la polvere poteva avvertire.

«Il respirare quella polvere,» disse Hurwood ansimando, quando, a un certo punto, diverse di quelle cose starnutirono contemporaneamente, «fu ciò che ti… regalò gli spettri, Thatch.»

Barbanera rise mentre tranciava un giovane albero con un colpo violento della corta sciabola. «Nuvole di uova di spettri, eh?»

Shandy, lanciando per un attimo un’occhiata alle sue spalle, vide Hurwood che sporgeva le labbra per esprimere la sua insoddisfazione di studioso. «Beh, grosso modo…» disse il vecchio mentre s’ingobbiva per sistemarsi sulle spalle in maniera più comoda le gambe di sua figlia.

Shandy tornò a svolgere il suo compito. Aveva cercato per tutto il tempo di tenersi a distanza dal barcaiolo di Barbanera, il quale, pallido in volto, faceva oscillare la sua sciabola come un metronomo al punto da ricordare a Shandy una di quelle figure animate da energia idraulica nei Giardini di Tivoli in Italia. Come risultato Shandy si era ritrovato, il più delle volte, fra Davies e Barbanera.

La sensazione di quella titanica, invisibile presenza si stava di nuovo intensificando, e di nuovo Shandy avvertì quella cosa che si chinava dal cielo sopra di loro, fissando con indignazione aliena gli otto intrusi.

Piantando il coltello in un albero per un momento, Shandy aprì la borsa di tela impermeabile e gettò una manciata di roba nera sulla torcia. Dopo un attimo una densa eruzione di fumo si gonfiò verso l’alto e quasi lo accecò mentre recuperava il coltello; ma questa volta, quando la nube di fumo disparve nella volta intricata della giungla, la foresta fu scossa da un basso brontolio — un rombo che scuoteva gli stivali ed esprimeva chiaramente rabbia, e, altrettanto chiaramente, proveniva da una gola non organica.

Barbanera fece un passo indietro, guardando con occhi socchiusi e sospettosi la vegetazione che li cingeva. «La prima volta che sono stato qui,» mormorò a Davies e a Shandy, «ho parlato coi nativi — indiani Creek, principalmente. Scambiai con loro magie di guarigione per avere una conversazione più schietta. Loro menzionarono una cosa chiamata Este Fasta. Dissero che significava “Persona Assegnata.” Una sorta di progenie locale dei loa. Mi chiedo se era quella il brontolone di poco fa.»

«Ma non ti diede fastidio nella tua prima visita,» disse Davies, teso.

«No,» convenne Barbanera, «ma quella volta non avevo il repellente per gli spettri. Probabilmente, ritenne di non avere la necessità di interferire.»

Grande, pensò Shandy. Lanciò uno sguardo alla trama di vegetazione illuminata dalla torcia davanti a loro, e fu il primo per un secondo o due a notare che i vitìcci e i rami si stavano muovendo — contorcendo — nell’aria ferma e stagnante.

Poi fu Barbanera ad accorgersene, e proprio mentre le piante assumevano la forma rozza di una mano gigantesca e facevano per ghermirli, il re-pirata lasciò cadere la torcia, si lanciò in avanti e con due colpi della sciabola, dritto e rovescio, ridusse la cosa in pezzi.

«Vieni, diavolo!» gridò Barbanera, furioso, ed era uno spettacolo spaventevole coi denti e il bianco degli occhi folli che luccicavano nel bagliore delle micce accese, intrecciate nella criniera. «Agita altri cespugli sulla mia faccia!» Senza neppure attendere la risposta di quel loa straniero, avanzò pesantemente nella primeva foresta pluviale, urlando e roteando la sciabola. «Avanti, starnazza, tu miserabile quashie di una pattu-civetta!» muggì, passando quasi completamente a quello che Shandy riconobbe come un dialetto tribale delle montagne della Giamaica. «Ci vuole più di un deggeh bungo duppy per far paura a un tallowah hunsi kanzo!»

Shandy ora poteva scorgere a malapena Barbanera, sebbene vedesse i viticci agitarsi e udisse i colpi della sciabola e i tonfi e gli schizzi della vegetazione recisa che volava in tutte le direzioni. Accovacciato e col coltello stretto in pugno, Shandy ebbe un attimo per domandarsi se quel furore maniacale fosse l’unico sistema a disposizione di Barbanera per dare sfogo alla paura — e poi il gigantesco pirata schizzò fuori dalla giungla, con alcune delle micce intrecciate nella barba spente ma in preda a un furore terribile quanto lo era stato prima. Barbanera afferrò l’involto di tela impermeabile che sporgeva dalla tasca della giacca di Shandy, lo lacerò coi denti e lo gettò nella melma.

«Ecco!» gridò verso la giungla, agguantando la torcia di Shandy e sbattendo la sua estremità fiammeggiante sull’erba fuoriuscita dall’involto. «Ti marchio come mio schiavo!»

Una nube di fumo si sprigionò verso l’alto, emanando un tanfo di fango nero cotto come di erbe bruciate, e un grido di dolore inumano e di ira investì l’aria dall’alto, strappando le foglie dagli alberi e scaraventando a terra Shandy.

Mentre si rotolava nel fango, dimenandosi per rimettersi in piedi e per aspirare aria nei polmoni, Shandy intravide la sagoma che era Barbanera inclinare all’indietro la testa irsuta ed emettere un ululato assordante e stridente. Era un suono terribile, simile al grido di vendetta di qualche rettile gargantuesco; ma Shandy avvertì una maggiore parentela coi lupi che, nella sua fanciullezza, aveva sentito occasionalmente ululare da luoghi lontanissimi al di là delle distese di neve nordiche.

Il trio che trasportava Beth si era fermato; Shandy stava accovacciato e teso alle loro spalle a lato di Barbanera, e Davies, inespressivo ma visibilmente pallido nella luce della torcia di Hurwood, stava all’altro lato con la sciabola snudata e pronta.

Un vento improvviso soffiò via gli echi dell’ululato di Barbanera, e questa volta il sibilo delle teste fungoidi fu l’unico suono che si udì subito dopo… tutti gli uccelli della zona si erano azzittiti.

D’un tratto Shandy realizzò che le teste fungoidi avevano aperto gli occhi e stavano parlando, e con linguaggi comprensibili: quella più prossima a lui si stava lagnando, in francese, per la crudeltà che spingeva i figli ad abbandonare una vecchia donna, e una vicina a Davies stava usando un dialetto scozzese per dare quel genere di consiglio che un padre suole dare a un figlio in procinto di partire per una grande città. Shandy la fissò stupefatto quando la udì mettere in guardia dall’esprimere qualsiasi opinione sulla religione o sul recente regicidio. Regicidio? pensò Shandy; qualcuno ha ucciso Re Giorgio nello scorso mese… o forse quella cosa stava parlando dell’assassinio di Giacomo Primo avvenuto un secolo fa?

Barbanera abbassò lentamente la testa, e fissò un alloro di fronte a lui coperto di bacche. Un colpo a tutto braccio della sua corta sciabola fece un aromatico scempio dell’albero, e al di là di esso, invece che altra vegetazione, c’erano le tenebre e una brezza più fresca e un tenue chiarore, come di una città vivacemente illuminata appena sopra l’orizzonte.

Barbanera imprecò di nuovo e poi avanzò attraverso il varco, e altrettanto fece un momento dopo il suo barcaiolo. Shandy e Davies si scambiarono un’occhiata, si strinsero nelle spalle, e li seguirono.

La giungla era scomparsa. Di fronte a loro una distesa piatta si allungava in tutte le direzioni sotto la luna non più velata, e un paio di centinaia di iarde avanti c’era un muro alto fino al ginocchio che cingeva uno stagno circolare più ampio del Colosseo. Al centro dello stagno era sospesa una vasta luminosità che avrebbe potuto essere una fiamma o uno spruzzo, e quella massa dal tenue chiarore si sollevava e ricadeva lentamente come un opale nel miele. Osservando le luci cangianti, Shandy realizzò con un senso di gelo nello stomaco che non aveva idea di quanto fossero lontane; in un certo momento sembravano farfalle di vetro colorato che scintillavano nella luce proveniente dalla torcia di Hurwood alla distanza di un braccio, ma un momento dopo erano una sorta di fenomeno astronomico che aveva luogo al di là del dominio del sole e dei pianeti. Anche lo stagno, notò Shandy, era un trucco ottico — scrutò e strinse gli occhi ma alla fine dovette ammettere che non aveva la più remota idea di quanto fosse alto quel muro di cinta. In lontananza, a destra e a sinistra, agili ponticelli di dubbia fattura salivano dal muro e s’inarcavano, sparendo alla vista, in direzione del centro dello stagno.