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La ciurma di Shandy era impensierita per gli uragani, poiché quello era il pericoloso mese di agosto, e negli anni precedenti i pirati caraibici in quel periodo dell’anno avevano l’abitudine di aggirarsi nei pressi della costa americana. Ma Shandy pensava che il viaggio verso sud-est fino a Port-au-Prince era di fatto un po’ più breve, e di gran lunga più diretto, di quanto fosse stato il viaggio fino alla costa occidentale della Florida, e che mentre scendevano avrebbero costeggiato le Exumas e le Ragged Islands e le Inaguas, per cui non sarebbero mai stati più lontani di un’ora da una spiaggia protettiva. E per due volte durante il viaggio di tre giorni videro i minacciosi elmetti grigio-ferro di lontane nuvole tempestose sull’orizzonte meridionale, ma entrambe le volte le burrasche si mossero verso est per devastare Cuba, prima che la Jenny potesse giungere nelle loro vicinanze.

La mattina del sabato la Jenny virò di bordo nel porto haitiano chiamato la Baia di Leograne, superò le fortificazioni sui declivi coperti di giungla di St. Mare e attraversò il Canale di St. Marc fino al villaggio coloniale francese di L’Arcahaye. Shandy raggiunse a remi la riva sulla piccola scialuppa della corvetta, e poi utilizzò un poco dell’oro accumulato da Philip Davies per tagliarsi i capelli e comprarsi una giacca e un fazzoletto da collo per coprire la camicia logora. Con un aspetto almeno quasi rispettabile, diede a un contadino nero un paio di monete perché lo lasciasse viaggiare in un carro carico di manioche e manghi fino alla città di Port-au-Prince, diciotto miglia più in basso sulla costa.

Era tardo pomeriggio quando raggiunsero la città, e i pescatori nativi stavano già remando verso la riva, e trascinando le rozze lance sulla sabbia sotto le palme immerse nell’ombra, e sollevando pesanti ceste di paglia e gabbie di bambù in cui si aggiravano come ragni granchi e aragoste.

La città di Port-au-Prince si rivelò un reticolo di stradine disposte intorno a una piazza centrale. La piazza e la maggior parte delle strade erano lastricate di pietra bianca, sebbene intorno ai negozi e ai magazzini lungo il litorale il lastricato fosse quasi nascosto sotto centinaia — no, dovevano essere migliaia — di baccelli marroni e calpestati. Prima di entrare nella piazza affollata, Shandy raccolse uno dei baccelli e lo annusò. Era canna da zucchero, e lui realizzò che era quella la fonte di quel soffocante odore dolciastro e semifermentato che si mescolava nell’aria pomeridiana con i normali odori di pesce marcio e pietanze affumicate condivisi dai porti di mare di ogni dove. Gettò via la cosa, domandandosi per un momento se proveniva dalle piantagioni degli Chandagnac.

La maggior parte delle persone che si aggiravano nella piazza erano nere e diverse volte mentre Shandy si faceva strada verso gli edifici dall’aspetto di uffici pubblici, all’altro lato, fu cortesemente salutato con un «Bon jou’, blanc.» Buon giorno, bianco. Fece ogni volta un cenno educato con la testa, e in una occasione, quando un giovane mormorò a un compagno un frettolosa facezia in un mezzo dialetto Dahomey a proposito degli indegni polsini della camicia di Shandy, fu in grado di citare di rimando, nello stesso dialetto, un proverbio marron che suggeriva che qualsiasi tipo di polsini, oppure nessun altro, era preferibile a quelli di ferro. Il giovane scoppiò a ridere, ma seguì Shandy con sguardo incuriosito, e lui capì che avrebbe dovuto stare attento laggiù. Quella era la civiltà, non l’Isola di New Providence.

Diffidente verso qualsiasi genere di ufficiale delle forze dell’ordine — poiché era possibile che le autorità inglesi avessero parlato a quelle francesi di un certo John Chandagnac che aveva contribuito alla totale distruzione di una nave da guerra della Royal Navy meno di un mese prima — Shandy domandò a un mercante dove poteva andare per porre delle domande circa atti notarili e titoli riguardanti una proprietà locale, e venne indirizzato a uno degli uffici del governo nella piazza.

Sì, pensò mentre attraversava a lunghi passi la piazza, prima scoprirò dove si trova la vecchia fattoria, e andrò a far visita allo Zio Sebastian. Non è necessario fargli sapere subito chi sono, anche se si tratta di una cosa che farò molto presto.

L’interno dell’edificio appariva simile a un ufficio europeo — diversi bianchi erano indaffarati davanti ad alti scrittoi allineati lungo una parete e scrivevano su libri mastri — ma la brezza tropicale che faceva ondeggiare le tendine di pizzo nelle alte finestre rovinò l’illusione, e il tintinnio dei pennini contro i calamai, e poi il suono stridulo dei pennini sulla carta, sembravano assurdi là come il grido di un pappagallo in Threadneedle Street.

Uno degli impiegati alzò la testa quando Shandy entrò. «Sì?»

«Buon giorno,» disse Shandy, cercando per la prima volta in due mesi di parlare in puro francese. «Ho una domanda da porre riguardo a, uh, alla proprietà Chandagnac…»

«Sei un altro dei dipendenti? Non c’è niente che possiamo fare per aiutarvi a recuperare i salari arretrati.»

«No, non sono un dipendente.» Shandy fece appello al suo miglior accento parigino. «Ho una domanda riguardo… al diritto alla casa e alla terra.»

«Ah, capisco, siete un altro creditore. Beh, per quanto ne so, è stato venduto tutto; ma naturalmente vorrete parlare con l’esecutore testamentario.»

«Esecutore?» Lo stomaco di Shandy gelò. «È… Sebastian Chandagnac è morto?»

«Non lo sapevate? Mi dispiace. Sì, si è suicidato a una certa ora di mercoledì notte. Il suo…»

«Questo mercoledì scorso?» interruppe Shandy, lottando con se stesso per impedirsi di gridare. «Tre giorni fa?»

«Sì. Il suo corpo è stato trovato giovedì mattina dalla governante.» L’impiegato si strinse nelle spalle. «Dissesto finanziario, pare. Dicono che era stato costretto a vendere tutto, e che gli restavano ancora molti debiti.»

La faccia di Shandy si intorpidì, come se lui avesse bevuto troppo. «Io… ho sentito dire che era uno… speculatore.»

«Esattamente, m’sieu’.»

«Questo esecutore. Dove posso trovarlo?»

«A quest’ora probabilmente sta bevendo un brandy sulla terrazza sotto Vigneron. È un uomo piccolo di statura, coi denti un po’ da coniglio. Si chiama Lapin, Georges Lapin.»

Shandy trovò Mr. Lapin davanti a un tavolo dal quale si poteva guardare dall’alto il porto affollato, e dal numero di piatti davanti a lui dedusse che evidentemente stava là da un bel po’.

L’omino sobbalzò con violenza quando lo vide, poi si scusò e accettò l’offerta di Shandy di pagargli un altro brandy.

«Se ho capito bene, siete l’esecutore del testamento di Chandagnac,» cominciò Shandy quando ebbe sistemato una sedia per sé e si fu seduto. «Uh, due brandy, per favore,» aggiunse al dispensiere che lo aveva seguito con un mezzo sospetto fino al tavolo di Lapin.

«Voi appartenete alla famiglia di Sebastian,» affermò Lapin, con decisione.

«…Sì,» ammise Shandy.

«C’è rassomiglianza — per un istante ho pensato che foste lui.» Sospirò. «Sì, sono io l’esecutore. Anche se capita che non ci sia niente da eseguire — eh? — e che tutto quello che sto facendo sia mostrare l’uno all’altro i vari creditori affinchè possano scannarsi fra di loro. Sebastian si è tolto la vita senza che noi, che eravamo suoi amici, sospettassimo nulla.» Prese il suo brandy non appena il dispensiere lo ebbe appoggiato sul tavolo, e lo scolò in un sorso solo come per illustrare la sregolatezza di Sebastian Chandagnac.