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Uno dei pirati che era sceso di sotto risalì in quel momento dalla scaletta del boccaporto e, voltandosi a guardare alle sue spalle, fece un gesto verso l’alto con la pistola. Su per la scaletta e nella luce del sole si arrampicarono: il cuoco — che aveva chiaramente seguito l’antica usanza di fronteggiare un disastro navale ubriacandosi il più rapidamente e completamente possibile — e i due ragazzi che sbrigavano tutte le faccende di bordo, e Beth Hurwood.

La figlia di Hurwood era pallida, e camminava un po’ rigida, ma ostentò una calma apparente finché non vide il suo scarmigliato padre. «Papà!» gridò, correndo da lui. «Ti hanno fatto del male?» Senza attendere una risposta si girò di scatto verso Davies. «Quelli della vostra razza gli hanno già fatto abbastanza l’ultima volta,» disse, con la voce che era uno strano miscuglio di rabbia e supplica. «L’incontro con Barbanera gli è costato un braccio! Qualsiasi cosa vi abbia fatto oggi è stata…»

«È stata molto apprezzata, signorina,» disse Davies, rivolgendole un sogghigno. «Per rispettare il patto che lui e Thatch — o Barbanera, se vi piace — conclusero l’anno scorso, vostro padre mi ha consegnato questa bella nave.»

«Cosa state…» cominciò Beth, ma fu interrotta da una forte bestemmia di Chaworth, che balzò sul pirata più vicino a lui, strappò la sciabola dalla mano dell’uomo colto di sorpresa, e poi lo spinse via e corse verso Davies, sollevando il braccio per vibrargli un fendente.

«No!» urlò Chandagnac, scattando in avanti, «Chaworth, non…»

Davies, calmo, sfilò una pistola dalla sua sgargiante fusciacca di cashmire, la sollevò e sparò nel petto di Chaworth; l’impatto della palla calibro cinquanta bloccò la carica del capitano e lo scaraventò all’indietro con tale forza che rimase quasi dritto sulla testa per un momento prima di capovolgersi e abbattersi nella totale fiacchezza della morte.

Chandagnac rimase frastornato, e non riuscì a tirare un respiro profondo. Parve che il tempo avesse rallentato — no, fu come se ogni evento fosse improvvisamente staccato dagli altri, non più parte di una progressione uniforme. Beth gridò. Il getto di fumo fuoriuscito dalla canna della pistola vorticò in avanti per un’altra iarda. Il gabbiano emise uno strido rauco di nuovo allarme e s’involò. La sciabola caduta roteò attraverso il ponte e il guardamano di ottone picchiò contro la caviglia di Chandagnac. Lui si chinò e raccolse l’arma.

Quindi, senza che lo avesse coscientemente deciso, stava egli stesso correndo verso il capo dei pirati, e sebbene le sue gambe stessero muovendosi e il suo braccio stesse tenendo la pesante lama dritta davanti a lui, nella sua mente stava con abilità facendo oscillare il bastone e la traversa e balzare la marionetta Mercuzio che pendeva da essi sulla marionetta Tebaldo col gesto che suo padre chiamava sempre coupe-et-fléche.

Davies, sorpreso e divertito, lanciò la pistola scarica a un compagno e, facendo un passo indietro, sfilò lo stocco e si rilassò nella posizione di en garde.

Mentre compiva l’ultimo passo, Chandagnac pensò quasi di poter avvertire lo strattone verso l’altro del filo della marionetta quando rapidamente mosse di scatto la punta sopra la spada dell’altro uomo e la allungò nuovamente nella linea interna di Davies; ed era così avvezzo alla parata laterale di risposta della marionetta Tebaldo che fu quasi troppo rapido nel lasciare che la sua sciabola discendesse in questa mossa reale e non provata prima. Ma Davies aveva creduto alla finta ed eseguito la parata, e all’ultimo istante la sciabola disimpegnata si trovò puntata verso il fianco sguarnito del capo dei pirati, e Chandagnac permise che l’impeto del suo assalto la facesse immergere, e strappasse l’elsa dalla sua stretta inesperta, mentre lui superava di slancio l’avversario.

La sciabola cadde con un clangore sul ponte, e allora per un lungo istante tutti i movimenti s’interruppero. Davies, ancora in piedi ma spinto di traverso dal colpo di punta, stava fissando stupefatto Chandagnac, e questi, senza più l’arma in mano e rigido in attesa di una palla di pistola in qualsiasi momento e da qualsiasi direzione, trattenne il fiato e guardò, inerme, negli occhi del pirata ferito.

Finalmente Davies rinfoderò con cura la spada e, con altrettanta cura, si piegò sulle ginocchia, e il silenzio era così assoluto che Chandagnac udì davvero il picchiettio delle gocce di sangue che colpivano il ponte.

«Uccidetelo,» disse Davies distintamente.

Chandagnac si era voltato per metà verso la murata, con l’intenzione di superarla con un salto e cercare di nuotare fino a Hispaniola, quando una voce sarcastica disse, «Per averti superato nell’abilità schermistica, Phil? In fede mia, questo è l’unico modo per conservare la tua supremazia.»

L’ultima frase fu seguita da un forte mormorio fra i pirati, e Chandagnac si fermò, speranzoso. Lanciò un’occhiata all’indietro verso Davies e pregò che quell’uomo si dissanguasse prima di poter ripetere l’ordine.

Ma Davies stava guardando il pirata che aveva parlato, e dopo pochi secondi fece un sorriso lupesco e indicò il suo fianco ferito. «Ah, Venner, credi che questa basterà? Questo taglietto?» Davies si piegò in avanti, appoggiò le mani coi palmi aperti sul ponte, e, con un grande sforzo, portò un piede calzato di stivale, e poi l’altro, sotto di lui. Alzò la testa per guardare di nuovo Venner, che ancora sogghignava, e quindi, con lentezza, si sollevò dalla posizione accovacciata. Il suo largo sorriso non aveva mai vacillato, sebbene fosse diventato pallido sotto la sua abbronzatura e il suo volto fosse madido di sudore. «Tu sei… nuovo, Venner,» disse Davies, con voce fioca. «Dovresti chiedere ad Abbot o a Gardner quanto dev’essere profonda e terribile una ferita per farmi crollare.» Inspirò profondamente, poi barcollò e abbassò lo sguardo sul ponte. Le sue brache luccicavano oscuramente del sangue che scorreva giù per il polpaccio, dove s’infilavano nello stivale. Dopo un momento, alzò la testa. «Oppure,» proseguì, facendo un instabile passo indietro e snudando ancora una volta lo stocco, «gradiresti… scoprire tu stesso quanto mi ha debilitato questa?»

Venner era basso e tracagnotto, con una faccia rubiconda e butterata. Sorridendo a metà, fìsso il suo capitano con quell’espressione speculativa che quando si gioca a carte si indirizza a un avversario la cui ubriachezza può essere una mistificazione o, quantomeno, un’esagerazione. Finalmente allargò le mani. «Che io sia dannato, Phil,» disse con tono disinvolto, «sai bene che non intendevo dire nulla di provocatorio.»

Davies annuì e si permise di chiudere gli occhi per un momento. «Certo che no.» Gettò via la spada e si voltò verso Chandagnac. «Venner ha ragione, comunque,» disse con voce stridente, «e sono lieto… che nessuno ti abbia ucciso… dal momento che solo così potrò imparare quella finta.» Si permise di appoggiarsi alla paratia della cabina di poppa. «Ma per il sangue di Dio, uomo,» esclamò a voce alta, «come diavolo può essere che tu conosca una mossa così abile quando corri come un’anatra e tieni la spada come un cuoco che regge il manico di una pentola?»

Chandagnac tentò, ma non riuscì a trovare una valida bugia, e allora, esitante, raccontò all’uomo la verità. «Mio padre aveva un teatrino di marionette,» balbettò, «e io… per la maggior parte della mia vita ho fatto il marionettista. Noi… ci siamo esibiti in tutta Europa, e quando le sceneggiature richiedevano dei combattimenti con le spade — abbiamo rappresentato molto Shakespeare — lui consultava dei maestri di scherma per renderli più realistici. Così,» si strinse nelle spalle, «memorizzai un certo numero di mosse schermistiche, e le eseguii centinaia di volte… ma solo con le marionette.»

Davies, tenendosi il fianco, lo fissò. «Marionette,» disse. «Beh, io… maledizione. Marionette.» Lentamente si lasciò scivolare giù per la paratia finché non si trovò seduto sul ponte. «Dove diavolo è Hanson?»