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C’era buio, ma lui sapeva dov’era la rastrelliera delle armi. Lasciò che il rollio successivo lo mandasse a cozzare contro di essa, e quindi afferrò un’elsa e tirò via una spada; era più leggera di una sciabola corta, ma sembrava essere della lunghezza giusta, lasciò che la sua mano si sistemasse comodamente intorno all’impugnatura. C’era un debole bagliore rosso verso prua, si curvò in quella direzione, coi macabri ornamenti del suo bavero che ondeggiavano violentemente.

Venner stava accovacciato davanti a un piccolo braciere, e sussurrava e lasciava cadere brandelli di stoffa sui carboni accesi.

Shandy allungò la spada e si tese in un doloroso allungo, ma la Jenny bruscamente oscillò in avanti sulla cresta di un’onda, e il suo allungo divenne una capriola: andò a sbattere pesantemente contro la figura tozza di Venner e tutti e due rotolarono nella pozza profonda e vorticante davanti alla paratia di prua. Anche al di sopra del loro ansimare e del cigolio delle assi sotto sforzo e dell’ululato del vento, Shandy udì il braciere sibilare per un istante quando si estinse; e anche mentre si trovava quasi a testa in giù nell’acqua fredda, nell’angolo in cui il ponte e la paratia s’incontravano, col gomito di Venner piantato nella schiena, sentì che il nodo doloroso nello stomaco improvvisamente si scioglieva e scompariva, e vide che le braccia del morto non gli strattonavano più la giacca.

La prua si abbatté su un ventre d’onda, e per diversi secondi i due uomini vennero schiacciati ancora di più contro la paratia — Shandy avvertì l’acqua che sprizzava dalle commessure del fasciame, come se il mare gli stesse sputando addosso attraverso denti di legno, e sentì il braciere ancora cocente che rotolava sulla sua gola, scottandogliela — e poi la corvetta s’inclinò ripidamente all’indietro mentre cominciava ad arrampicarsi sull’erta seguente.

Shandy e Venner e un bel mucchio d’acqua salata ruzzolarono verso poppa, e Shandy cercò di tenere la spada sollevata e puntata contro Venner. Per due volte sentì la punta penetrare in qualcosa più cedevole delle assi del ponte, e cercò di spingere, ma poiché stava scivolando bocconi sul ponte invaso dall’acqua non ricavò alcuna spinta. Una luce grigia proveniente dal boccaporto aperto proiettò per un secondo la sagoma del suo avversario, ma un momento dopo Venner si era arrampicato sulla scaletta del ponte.

Shandy balzò in piedi e lo inseguì, tenendo la spada — che, come in quel momento notò, era uno degli stocchi di riserva di Davies — fra sé e la luce per parare ogni possibile attacco di Venner. Ma quando raggiunse il ponte vide che Venner aveva proseguito la sua corsa e ora stava fronteggiandolo a dieci iarde di distanza, e puntava contro di lui una pistola che aveva strappato a qualcuno.

Shandy soffocò l’impulso istantaneo di rituffarsi nel boccaporto, poiché era il capitano, e anche in mezzo a quella tempesta la maggior parte degli uomini stava guardando a bocca aperta quella sfida… Un colpo di pistola a trenta piedi di distanza su un ponte bagnato e beccheggiante, investito da una fitta pioggia, probabilmente avrebbe fatto cilecca, e forse la pioggia si era già insinuata sotto il coperchio dello scodellino raggiungendo la polvere. Si pose, tuttavia, di profilo, guardando Venner sopra la spalla destra. Sollevò la spada in un saluto da schermidore, sia per l’apparente freddezza del gesto, sia perché sperava che la palla di pistola, se ben indirizzata, avrebbe potuto colpire la lama o la guardia.

La pioggia non aveva raggiunto la polvere. Nello stesso istante in cui vide la canna emettere un lampo, Shandy sentì la palla cocente perforargli la pelle sopra il plesso solare. Indietreggiò ma non cadde né lasciò cadere la spada, e quando ebbe recuperato le sue sparpagliate facoltà mentali, un secondo o due dopo, fece l’inchino più cortese che poteva sul ponte oscillante — per farlo dovette afferrare le griselle con la mano libera e piantare i piedi un po’ più larghi di quanto gli fosse abituale — e poi avanzò verso Venner.

Il nocchiere, distratto dal dramma che si stava svolgendo sul ponte, non mise la prua abbastanza dritta nell’onda successiva, e la Jenny la ricevette sul lato di babordo: l’imbarcazione s’ingavonò pesantemente mentre la solida acqua verde si sollevava al di sopra del ponte, s’infrangeva con un’esplosione contro l’albero e spazzava almeno un uomo fuori bordo.

Poi la Jenny si adagiò nel ventre dell’onda, di traverso rispetto al flusso. Più spaventato da questo che da Venner, Shandy arretrò in fretta verso poppa, e fu costretto a lasciare la sciabola per afferrarsi al sartiame al fine di mantenere l’equilibrio. Skank e gli altri uomini al boma della vela maestra erano riusciti a svolgere diversi piedi di vela e a infilarvi una corda, e un uomo stava cercando di arrampicarsi sull’albero vacillante con l’estremità della corda frai denti, apparentemente sperando di gettarla al di sopra dello stretto pennone della vela di gabbia, in modo che gli uomini in basso potessero usarla come drizza. Era tutto quello che potevano fare, e Shandy sapeva che non sarebbe bastato.

Dietro di lui, muovendosi lentamente perché non voleva abbandonare la sciabola che aveva raccolto, Venner stava avanzando con cautela verso poppa.

Shandy lanciò un’occhiata al nocchiere, che aveva spinto la barra tutta a babordo, e capì che avrebbe dovuto essere là ad aiutare l’uomo a tenerla ferma quando il vento li avrebbe investiti sulla cresta. Ma in quel momento vide Woefully Fat.

Il grosso bocor si era spinto via dall’arcaccia, e ora stava eretto sul ponte e artigliava l’asta di legno che lo aveva impalato; e proprio mentre Shandy osservava, Woefully Fat la piegò davanti a sé… Il vento portava con sé tutti i rumori, ma le schegge cominciarono a schizzar via fra le mani nere. Shandy suppose che il bocor stesse utilizzando la magia per fare quella cosa, ma Woefully Fat dovette girarsi su se stesso mentre l’asta veniva piegata ancora di più, e Shandy sentì che le braccia gli formicolavano per lo sgomento, perché vide la sella della randa che sporgeva per un pollice o giù di lì dall’ampio dorso. E sebbene il ferro ancora fumasse, non emetteva più il bagliore: il bocor stava spezzando il pennone con nient’altro che la sua forza fisica.

Finalmente si spezzò, e il bocor cadde in ginocchio. Shandy accorse per aiutarlo, ma Woefully Fat con una mano sola sollevò l’asta di legno e la spinse verso di lui — prodezza in se stessa impressionante, in quanto, anche spezzata, quella cosa era lunga sei piedi buoni, e da essa pendevano delle sartie e l’estremità superiore della vela maestra inzuppata d’acqua.

«Àncora galleggiante!» gridò il bocor. «Gettala a tribordo!»

Shandy d’un tratto capì, prese il pennone da Woefully Fat — dovette far uso di entrambe le mani, e comunque digrignò i denti per il peso — e si voltò e lo sollevò al di sopra della battagliola di tribordo gettandolo in mare.

In quel momento scalarono l’onda seguente, e la Jenny s’ingavonò bruscamente quando il vento li investì da babordo, e allora cominciarono a scivolare giù per il lato di sopravvento, col nocchiere che lottava per tenere la barra tutta da una parte. Shandy slegò in fretta la drizza della vela maestra e la lasciò svolgere al di sopra della battagliola per dare una certa lunghezza alla gomena dell’ancora galleggiante.

La Jenny colpì il ventre dell’onda solo di poco più dritta, e di nuovo il mare si sollevò al di sopra del ponte. Shandy si afferrò alla battagliola sotto l’acqua, domandandosi se si erano capovolti, se la Jenny stava semplicemente per implodere e affondare senza mai più riemergere. Ma poi l’acqua divenne pesante sulle sue spalle curve e defluì, liberando prima la sua testa, poi le braccia, e mentre stava ancora sciabordando intorno alle sue ginocchia lui tornò a legare la drizza, poiché quasi tutta la gomena si era ormai snodata.

Il pennone stesso era in qualche punto dietro l’ultima cresta, e proprio mentre salivano sulla successiva Shandy poté avvertirne lo strappo, e accorgersi che la vecchia corvetta si raddrizzava e poi cominciava a rispondere alla vela e al timone. La prua si stava sollevando nel vento.