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Attraverso le punte delle dita aveva prestato molta attenzione alla sensazione tattile del ponte, e quando sentì un debole scricchiolio nelle vicinanze alzò la testa… e poi si appiattì di botto. La corta sciabola di Venner squarciò la murata invece della testa di Shandy.

Shandy rotolò via mentre Venner scuoteva la pesante lama per liberarla, e quando si alzò in posizione accovacciata Skank abbandonò per un attimo l’operazione di realizzare una vela maestra di fortuna, e gli lanciò la sciabola caduta.

Il ponte si stava sollevando, e con la pioggia e gli spruzzi negli occhi mancò la presa… Udì la spada ricadere con un tonfo e scivolare sul ponte bagnato, udì anche il cigolio della lama della sciabola che veniva liberata, e i passi scivolosi di Venner che si avvicinavano.

Shandy si lanciò per raggiungere la spada proprio mentre la prua cozzava contro un’onda: chiuse gli occhi e si puntellò contro la frisata mentre l’acqua si abbatteva su di lui, poi scosse la testa e si guardò freneticamente intorno, sbattendo le palpebre. La luce era scarsa, ma vide la spada rotolare nell’acqua, si gettò al suo inseguimento quasi nuotando e agguantò l’elsa.

Venner colpì mentre Shandy stava cercando di alzarsi in piedi, ma il ponte s’inclinò bruscamente all’indietro proprio mentre Venner si produceva nell’allungo, e lui perse l’equilibrio, e sebbene il colpo intorpidisse la spalla di Shandy, fu il piatto che si abbatté, non il taglio.

Questo lo fece ricadere in ginocchio, ma anche Venner era caduto, e Shandy colse l’attimo per spingere la punta della sua spada nell’unica parte di Venner raggiungibile — il ginocchio — prima di rialzarsi pesantemente in piedi.

Anche Venner si rialzò.

Shandy capì che non sarebbe stato in grado di battere Venner, che quell’interminabile combattimento sarebbe finito con la dannata sciabola che gli avrebbe spaccato la testa o squarciato l’addome… ma era troppo esausto per trarre dall’idea qualcosa di più di una tristezza opprimente. Si appoggiò contro l’arcaccia e flette la mano sull’impugnatura scivolosa della spada.

Venner mulinò la sciabola verso la testa di Shandy, e questi riuscì a sollevare il braccio intorpidito per deviare il colpo, ma riuscì solo a far girare la lama più pesante, cosicché ancora una volta fu il piatto a colpirlo… direttamente su un lato della testa adesso. Le ginocchia gli cedettero per un momento mentre il dolore cocente e nauseante sembrava vibrare nelle sue cavità.

Cercò di raddrizzarsi, ma la lama di Venner si stava avventando di punta — Shandy si lasciò cadere in avanti e poi riuscì per un pelo a piegare di lato il corpo mentre la lama colpiva. Gli graffiò le costole e penetrò in una falda della giacca, inchiodandolo alla paratia e bloccando la sua caduta; ma lui aveva sollevato la propria spada in una parata che, sebbene tardiva, aveva messo la sua punta più o meno in linea. Zoccolando, come una marionetta manovrata con negligenza, portò i piedi sotto di sé.

La sua camicia si lacerò mentre vibrava la stoccata, e quindi il davanti della giacca di Venner venne perforato per accogliere due pollici — poi quattro, mentre Shandy riprendeva l’equilibrio e assestava una rimessa — di acciaio arrugginito.

Improvvisamente pallido, Venner vacillò all’indietro, sfilandosi la lama, e la sciabola scivolò via dalla sua mano e cadde con un tintinnio sul ponte. La Jenny raggiunse la sommità di un’altra onda e s’inclinò ripidamente all’indietro per un istante. Tutti, eccetto i due contendenti, annasparono per un appiglio o tentarono di controllare la caduta, ma Shandy si produsse in un nuovo allungo, a mezz’aria mentre il ponte ricadeva sotto di lui, e spinse la punta nel largo torace di Venner con tale forza che la lama si spezzò ed entrambi volarono nell’aria pregna di pioggia verso, e sopra, la battagliola di babordo. Shandy lasciò la spada spezzata e si afferrò al sartiame, ma Venner e la spada di Davies si persero roteando fuori bordo. Poi la prua ricadde e la poppa salì, costringendo Shandy a mollare la presa e scaraventandolo giù sul ponte.

CAPITOLO VENTISEIESIMO

Tornò alla coscienza a tappe lente, abbandonando con riluttanza i sogni che erano così preferibili a quella situazione fredda e dolente che sembrava essere la realtà — sogni della memoria, come viaggiare con suo padre e le marionette, e sogni del desiderio, come ritrovare Beth Hurwood e finalmente dirle quelle cose che voleva dirle. All’inizio era parso che lui potesse scegliere la situazione in cui risvegliarsi, semplicemente concentrandosi su di essa; ma quella umida e fredda e ondeggiante divenne molto più insistente, e quando aprì gli occhi si trovava sul ponte della Jenny.

Cercò di alzarsi a sedere, ma una nausea improvvisa lo gettò di nuovo sulla schiena, debole e sudato. Aprì di nuovo gli occhi e vide la faccia preoccupata di Skank. Shandy fece per parlare, ma i suoi denti stavano battendo. Serrò la mandibola per un momento e poi ritentò. «Cosa… è accaduto?»

«Hai colpito duramente il ponte dopo aver ucciso Venner,» disse Skank.

«Dov’è Davies?»

Skank aggrottò le sopracciglia, perplesso. «È… uh, morto, capitano. Quando Hurwood prese il Carmichael. Ricordi, no?»

A Shandy parve di ricordare qualcosa del genere. Tentò nuovamente di alzarsi a sedere, e nuovamente ricadde, tremando. «Cos’è accaduto?»

«Beh… tu eri là, capitano. Te ne ho parlato oggi, ricordi? Di come uno dei marinai morti di Hurwood lo ha ucciso?» Skank si guardò intorno, tristemente.

«No, voglio dire cos’è accaduto adesso?»

«Sei caduto sul ponte. Te l’ho appena detto.»

«Ah.» Shandy si alzò a sedere per la terza volta e si costrinse a resistere. La nausea affluì e poi defluì. «Avresti potuto continuare a dirmelo.» Si alzò faticosamente in piedi e rimase eretto, vacillando e rabbrividendo, afferrandosi alla battagliola per bilanciarsi e guardandosi intorno stordito. «Uh… la tempesta è… passata.» notò, orgoglioso di essere in grado di dimostrare la sua consapevolezza delle cose.

«Sì, capitano. Mentre tu eri svenuto. Ci siamo limitati a tenere la barca in panna per farle superare la tempesta. La tua àncora galleggiante ha fatto la differenza.»

Shandy si strofinò con forza la faccia. «La mia ancora galleggiante.» Decise di non chiedere. «Bene. Qual è la rotta?»

«Sud-ovest, più o meno.»

Shandy fece cenno a Skank di avvicinarsi di più, e quando il giovane si fu accovacciato accanto a lui gli chiese, piano. «Dove stiamo andando?»

«In Giamaica, hai detto.»

«Ah.» Si accigliò. «Cosa speriamo di trovare laggiù?»

«Ulysse Segundo,» disse Skank, apparendo sempre più preoccupato col passare dei secondi, «e la sua nave, l’Orfeo Risalito. Hai detto che è Hurwood, e che l’Orfeo in realtà è il Carmichael. Abbiamo seguito le segnalazioni che lo riguardavano a partire dalle Cayman, dove sentisti dire che si stava dirigendo di nuovo verso la Giamaica. Ah, e anche Woefully Fat voleva andare là, in Giamaica, prima di morire.» Skank scosse tristemente la testa.

«Woefully Fat è morto?»

«La maggior parte di noi crede di sì. Il pennone di randa lo ha arpionato come un pollo allo spiedo, e lui dopo averne staccato il pezzo più grosso e avertelo dato è crollato a terra. Lo abbiamo portato sottocoperta, per seppellirlo quando raggiungeremo la riva, perché non puoi semplicemente gettare in mare un bocor morto se hai buonsenso — ma un paio di uomini dicono di aver avvertito un battito nel suo polso, e Lamont dice di non riuscire a tenere la mente sul suo lavoro perché Woefully Fat continua a mormorare sottovoce, anche se io non sento nulla.»

Shandy cercò di concentrarsi. Aveva rammentato alcune di quelle cose, vagamente, quando Skank gliele aveva descritte, e ricordava una sensazione di urgenza disperata che le riguardava, ma non riusciva a rammentarne la ragione. Ciò che più desiderava in quel momento era una cosa impossibile: un posto asciutto per dormire.