Poi fu distratto da una scaramuccia sul casseretto, e quando guardò con maggior attenzione — era difficile mettere a fuoco con tutta quella luce solare — credette davvero di perdere la ragione. Uomini macilenti in abiti laceri ma sgargianti si stavano arrampicando a bordo intorno a lui, e stavano ingaggiando una battaglia disperata con degli impossibili cadaveri animati, le cui mani avvizzite non avrebbero dovuto essere in grado di menare fendenti. Il sangue che fluiva lento dalle orecchie di Shandy e il martellio nella sua testa privarono la scena di quasi tutti i rumori, e la questione del perché lui avesse scelto di adornare la sua giacca con due avambracci umani mummificati parve di relativa importanza.
Non si fidava del suo equilibrio, così scese con grande cautela sul ponte. L’uomo che sembrava essere Benjamin Hurwood ora si stava dirigendo verso di lui, con un sorriso di benvenuto che increspava la sua vecchia faccia…
E poi Shandy sognò — doveva essere così, perché stava accanto al padre nella penombra dell’impalcatura al di sopra di un teatrino di marionette, ed entrambi stavano fissando la luce intensa in basso e manovrando le croci che controllavano i pupazzi penzolanti. E doveva essere una scena affollata quella che stavano eseguendo, perché molte altre croci erano sospese agli uncini elastici che facevano oscillare e sussultare leggermente le marionette sottostanti, temporaneamente ferme. Per un momento dimenticò che doveva trattarsi di un sogno, e fu preso dal panico poiché non sapeva quale rappresentazione stavano eseguendo.
Guardò con gli occhi stretti le piccole figure in basso, e le riconobbe all’istante. Erano le marionette del Giulio Cesare. E fortunatamente era già cominciato il terzo atto, per cui non restava molto da fare… erano già arrivati alla scena dell’assassinio, e ai piccoli senatori di legno le normali mani destre erano state sostituite con quelle che brandivano i pugnali.
La marionetta-Cesare stava parlando — e Shandy sgranò gli occhi, perché la faccia non era più di legno ma di carne, e lui la riconobbe. Era la sua stessa faccia. «Via!» sentì dire dal suo se stesso in miniatura. «Vuoi tu sollevare l’Olimpo?»
Le marionette-senatori, che erano anch’esse di carne adesso, avanzarono per uccidere… e poi la scena bruscamente sparì in un lampo, lasciando Shandy di nuovo sul ponte del Carmichael, a guardare Hurwood con gli occhi stretti contro il bagliore del sole.
Un sorriso fiducioso stava sbiadendo sulla faccia del vecchio, ma lui colpì di nuovo, e Shandy si trovò inginocchiato sulla sabbia cocente della spiaggia dell’Isola di New Providence, mentre fissava con occhio critico i quattro pali di bambù che aveva conficcato nella sabbia. Si erano tenuti dritti abbastanza bene finché non aveva cercato di legarne altri di traverso sulla loro sommità, e adesso erano tutti inclinati verso l’esterno, come cannoni pronti a respingere un attacco proveniente da tutti i lati.
«Intrecci un canestro?» chiese Beth Hurwood alle sue spalle.
Non l’aveva sentita avvicinarsi, e per un momento fu sul punto di replicare irritato, ma poi fece un largo sorriso. «Si presume sia una capanna. Dove io possa dormire dentro.»
«Sarebbe più semplice se tu facessi un tetto a una sola falda… ecco, ti farò vedere.»
Era un giorno di luglio, durante il raddobbo del Carmichael; Beth gli aveva mostrato come mettere assieme una struttura più stabile, e c’era stato un momento in cui, stando sulle punte dei piedi per annodare una corda in cima a uno dei pali inclinati, lei era caduta contro di lui e per un momento si era trovata fra le sue braccia. E quegli occhi castani e i capelli ramati lo avevano stordito con un’emozione che includeva attrazione fisica solo nella misura in cui un’orchestra include una sezione di ottoni. Era un ricordo spesso ricorrente nei suoi sogni.
Questa volta, tuttavia, stava andando diversamente. Questa volta lei stava usando un martello e dei chiodi invece di una corda, e le sue palpebre e le labbra erano spalancate fin dove potevano e i denti e il bianco degli occhi scintillavano nel sole tropicale mentre lei appoggiava le braccia di lui lungo i pali di bambù e metteva il primo chiodo sul polso…
…e di nuovo Shandy si trovò sul ponte del Carmichael, e batté le palpebre di fronte a Hurwood.
Hurwood ora appariva chiaramente inquieto. «Cosa diavolo c’è che non va nella tua mente?» abbaiò. «È come una vite spanata.»
Shandy era propenso a convenire. Continuò a tentare di ricordare che cosa stava facendo là, e ogni volta che lanciava un’occhiata al combattimento da incubo che si stava svolgendo intorno a lui rimaneva di nuovo stupefatto e terrorizzato. E in quel momento, come per superare tutto il suo precedente disorientamento, il ponte smise di premere contro le suole dei suoi stivali e lentamente cominciò a sollevarsi nell’aria senza un sostegno.
D’istinto lui allungò le mani per afferrarsi a qualcosa — e ciò che afferrò non fu la battagliola o una sartia, ma l’elsa della sua spada. L’ago sporgente della bussola gli punse il palmo, ma il medesimo impulso che lo aveva spinto ad afferrare qualcosa lo spinse ad aggrapparvisi. Cominciò a scendere, e pochi secondi dopo era di nuovo sul ponte.
Si guardò intorno: lo scontro stava proseguendo orribile come prima, anche se tutti i rumori erano ancora smorzati per lui, ma nessuno dei combattenti si stava avvicinando a Hurwood e a Shandy… all’apparenza lo consideravano un duello privato.
C’era un’espressione di allarmata meraviglia sulla faccia di Hurwood, e lui stava dicendo qualcosa con voce troppo bassa perché Shandy potesse udire. Poi il vecchio sguainò uno stocco e corse agilmente verso di lui.
Shandy stava ancora stringendo dolorosamente l’elsa della sua spada, e in quel momento la sfilò dalla cintura giusto in tempo per deviare la punta di Hurwood con una goffa parata in prima. Poi fece un salto indietro e deviò lateralmente con maggiore facilità la successiva stoccata del vecchio — e poi ancora la seguente. Gli avambracci grigi attaccati alla sua giacca oscillavano e urtavano l’uno contro l’altro in maniera nauseante.
Il sangue che scorreva dalla sua mano trafitta rese scivolosa l’impugnatura della sciabola, e ogni volta che la sua lama cozzava contro quella di Hurwood l’ago della bussola raschiava le ossa del palmo, diffondendo un dolore lancinante, come stagnola su un dente cariato, su per la spalla.
Hurwood latrò una rauca sillaba di risata e balzò in avanti, ma Shandy strinse la mano intorno all’impugnatura della sciabola — facendo penetrare ancora più in profondità l’ago fra le ossa del palmo — e parò la lama che si avventava con un colpo a spirale che strappò l’elsa dalle dita di Hurwood. Il dolore causato dal gesto oscurò per un attimo la vista di Shandy, ma con un’ultima torsione lui mandò la spada di Hurwood a roteare al di là della battagliola, e poi si limitò a fissare il ponte e a tirare respiri profondi e ansimanti finché la vista non gli si schiarì.
Hurwood, che era arretrato frettolosamente, lanciò un’occhiata di lato e indicò con gesto imperativo Shandy. Ovviamente, non si trattava più di un duello privato.
Uno dei marinai decomposti attraversò, obbediente e barcollante, il ponte dirigendosi verso di loro; i suoi abiti erano brandelli e Shandy poté vedere la luce del sole fra le ossa di uno stinco, ma le spalle erano larghe e un polso ossuto stava mulinando la pesante sciabola corta nell’aria con la facilità con cui un velaio maneggia un ago.
Shandy era già prossimo alla spossatezza, e l’ago conficcato nella sua mano era un cocente e aspro tormento. Gli sembrava che il semplice posarsi di una farfalla sulla lama della sua sciabola sarebbe stata una tortura che non avrebbe potuto sopportare senza perdere i sensi, ma si costrinse a fare un passo indietro e a sollevare la spada, anche se il gesto fece diventare il mondo grigio e lo bagnò di sudore gelato.