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Il morto si avvicinò strascicando il passo — Hurwood sorrise a quella cosa e disse, «Uccidi Shandy» — e la sciabola fu sollevata indietro sulla spalla ossuta per vibrare il colpo.

Shandy costrinse i suoi occhi a mettere a fuoco, la mano ferita a tenersi pronta…

Ma la sciabola corta sferzò di lato, abbattendosi su Hurwood e scagliandolo verso poppa sul ponte, e un istante prima che il marinaio necrotico crollasse in una scheletrica rovina e, simultaneamente, le braccia grigie evaporassero dalla giacca di Shandy, gli occhi di quest’ultimo incontrarono lo scintillio nelle orbite incavate del marinaio e ci fu il reciproco riconoscerei e un mesto saluto e un addio fra due camerati. Poi non ci fu nient’altro che un mucchio di vecchie ossa e di brandelli di un abito sgargiante sul ponte, ma Shandy lasciò andare la sciabola che lo torturava e cadde in ginocchio, e quindi sulle mani devastate. Le orecchie gli si erano schiarite al punto che udì le sue lacrime picchiettare sul ponte.

«Phil!» gemette. «Phil! Cristo, uomo, torna indietro!»

Ma Davies, e tutti gli uomini morti, se n’erano andati, e a parte Hurwood i soli uomini sul ponte soleggiato erano gli uomini che si erano arrampicati dalla Jenny.

Hurwood stava appoggiato alla battagliola di tribordo, la faccia bianca come cenere, e si stringeva il moncherino dov’era stato il braccio che gli era da poco ricresciuto. Non c’era sangue che gocciolava, ma evidentemente mantenerlo in quella condizione richiedeva tutta la concentrazione magica di quell’uomo.

Poi Hurwood si mosse. Si spinse via dalla battagliola e, un cauto e ponderoso passo per volta, arrancò verso la porta della cabina di poppa. Shandy si sollevò a fatica e si avviò strascicando i piedi dietro di lui.

Hurwood diede un calcio alla porta, che si aprì, ed entrò barcollando.

Shandy si fermò appena fuori e scrutò nel buio. «Beth!» gridò. «Sei là dentro?»

Non ci fu risposta eccetto un borbottio da parte di Hurwood, e Shandy trasse un respiro profondo, cavò fuori dalla tasca il coltello a serramanico con la mano buona, ed entrò.

Hurwood si stava appena raddrizzando dopo aver rovistato in una cassa aperta accostata alla paratia, e nella sua unica mano stava stringendo la cassetta di legno che Shandy già conosceva. Si voltò e si avviò verso Shandy, e questi sentì l’aria addensarsi, respingerlo. Lo spinse indietro nella luce del sole mentre Hurwood continuava inesorabile a fare un passo dopo l’altro, e ben presto divenne chiaro che Hurwood si stava dirigendo verso la scialuppa della nave.

Shandy aprì a metà il coltello, appoggiò l’indice sulla scanalatura e lasciò che la lama scattasse verso il basso. Il sangue sprizzò dal dito ferito, ma l’aria smise di resistergli. Evidentemente anche il ferro non magnetizzato era adesso sufficiente a neutralizzare gli incantesimi di Hurwood. Fece un passo avanti e, prima che Hurwood si accorgesse della sua improvvisa libertà di avanzare, con un pugno fece saltare via la cassetta dalla mano di Hurwood.

La cassetta rimbalzò sul ponte. Hurwood, la bocca spalancata per lo sforzo, si voltò e tentò di camminare; cadde, ma poi sulle ginocchia e sulla mano cominciò a strisciare verso la cassetta.

A malapena in grado lui stesso di muoversi meglio, Shandy si portò barcollando davanti all’uomo che strisciava, sedette sul ponte cocente accanto alla cassetta e, col dito ancora dolorante stretto sotto la lama del coltello a serramanico, rimosse annaspando il coperchio della cassetta.

«La mia sciabola,» gracchiò a Skank, che si stava legando una benda intorno alla coscia. Il giovane e stanco pirata si fermò per il tempo necessario a scalciare la spada modificata di Shandy, mandandola a scivolare con un clangore sul ponte verso di lui.

Senza staccarsi il coltello dal dito, Shandy afferrò la sciabola, conficcandosi di nuovo in profondità l’ago della bussola nella mano, e poi spinse la punta di ferro della spada dentro la cassetta.

La testa disseccata che stava all’interno esplose con un rumore simile allo strappo di una vecchia tappezzeria.

Hurwood si bloccò, con gli occhi sgranati, poi trasse un respiro rantolante e lo espulse in un ululato che fece voltare, meravigliati, anche i feriti più gravi frai pirati di Shandy. Quindi crollò, e il sangue cominciò a sgorgare dal moncherino del suo braccio.

Con un brivido Shandy lasciò cadere di nuovo la spada e si staccò il coltello dal dito. Poi cominciò a usare goffamente il coltello per tagliare dalla sua giacchetta maledetta delle strisce da utilizzare come laccio emostatico — poiché se Beth non era a bordo, non voleva che Hurwood morisse dissanguato.

Vertigini, nausea, e occasionali momenti di oblio contribuirono tutti a rendere la ricerca di Shandy sul Carmichael interminabile. Ma la ragione principale per cui gli ci volle così tanto tempo — guardò dentro le casse che non avrebbero potuto assolutamente contenere Beth Hurwood, e controllò due volte le cabine per vedere se lei vi era tornata quando lui si era allontanato — era che temeva ciò che probabilmente avrebbe dovuto fare se fosse stato certo che lei non era a bordo. Tuttavia giunse il momento, quando rinviare la decisione sarebbe stato ancora più deprimente, di dover ammettere con se stesso che aveva controllato ogni singolo piede cubo del vascello. C’erano più oro e gioielli nella stiva di quanti si potessero scaricare in un’intera giornata, ma non c’era Beth Hurwood.

Risalì svogliatamente sul ponte principale e, sbattendo gli occhi, guardò intorno a sé gli uomini malconci che lo stavano aspettando, finché non scorse Skank. «Hurwood non ha ancora ripreso conoscenza?» gli chiese.

«L’ultima volta che ho controllato no,» disse Skank. «Ascolta, hai avuto fortuna là sotto?»

«No.» Shandy si voltò con riluttanza verso la cabina dove era stato trasportato Hurwood. «Portami un…»

Skank avanzò ponendosi di fronte a lui, spalleggiato dagli uomini che ancora riuscivano a camminare; la faccia del giovane pirata era incavata e dura come un pezzo di legno alla deriva eroso dalla sabbia. «Capitano,» disse con voce stridula, «avevi detto che aveva a bordo il suo maledetto bottino, dannazione a te, la roba proveniente da tutte le navi che…»

«Oh, il bottino.» Shandy annuì. «Sì, c’è. Un bel mucchio, proprio come avevo detto. Credo di essermi spezzato la schiena a muovere casse di lingotti d’oro avanti e indietro là sotto. Potete andare tutti a… rotolarvici dentro. Ma prima, tira su per me un secchio d’acqua marina, vuoi? E vedi se riesci a trovare… del fuoco, una candela o qualcosa… da qualche parte. Vado là dentro da lui.»

Un po’ sconcertato, Skank fece un passo indietro. «Uh, sicuro capitano. Sicuro.»

Shandy scosse infelicemente la testa mentre zoppicava fino alla porta della cabina ed entrava. Hurwood giaceva privo di sensi sulle tavole del ponte, il respiro che risuonava come lenti colpi di sega in un legno secco. La camicia era più nera che bianca, e chiazze di sangue, quasi asciutto, scurivano il ponte intorno alle sue spalle, ma l’emorragia sembrava essersi fermata.

Shandy lo esaminò e si domandò chi fosse realmente quell’uomo. Il docente di Oxford, autore di In Difesa del Libero Arbitrio? Il padre di Beth? Il marito di quella Margaret intollerabilmente morta? Il pirata Ulysse Segundo? Le ossa erano sporgenti nella faccia dalla bocca spalancata, e Shandy cercò di immaginare quale fosse stato l’aspetto di Hurwood da giovane. Non vi riuscì.

Shandy si inginocchiò accanto a lui e lo scosse per la spalla buona. «Mr. Hurwood. Svegliatevi.»

Il ritmo del respiro non cambiò, le palpebre rugose non sbatterono.

«Mr. Hurwood. È importante. Per favore, svegliatevi.»

Non ci fu reazione.

Shandy rimase inginocchiato là, a fissare il vecchio devastato cercando di non pensare, finché Skank non entrò con passo pesante. La nuova luce arancione lottò debolmente con la luce solare proveniente da fuori.