Trasse conforto dal pensiero.
La coppia di sposi finalmente giunse nell’ombra sotto l’altare e congiunse le braccia, lentamente, come alghe aggrovigliate dalle correnti indifferenti del fondo marino. Poi cominciarono a salire i gradini, e il chierichetto realizzò che le tenebre assolute si erano attardate troppo a lungo.
La sposa era solo un abito vuoto ma animato; non era una cosa così brutta — era sempre rassicurante trovare soltanto un’assenza dov’era sembrato potesse esserci una presenza — ma lo sposo era presente e vivo: era impossibile essere certi che fosse umano, poiché la sua carne scuoiata e sanguinante avrebbe potuto avere forma umana solo a causa della costrizione dei vestiti. Se aveva occhi erano chiusi, ma il chierichetto capì che quella cosa era viva perché il sangue continuava a scorrere dappertutto su di essa, e la sua bocca, sebbene silenziosa, si spalancava e richiudeva con uno scatto, in continuazione.
Tutt’a un tratto il chierichetto comprese che quella cosa scuoiata era lui stesso, ma la consapevolezza non portò orrore, poiché adesso lui sapeva anche che avrebbe potuto uscire da se stesso: completamente, se fosse stato pronto a liberarsi di qualsiasi cosa, abbandonandola al nonessere.
Con profondo sollievo, lo fece.
CAPITOLO VENTISETTESIMO
Quando i primi accenni di luce aurorale cominciarono ad offuscare lo splendore di Sirio e delle tre stelle brillanti della Lepre, Shandy gridò che gli portassero un telescopio e scrutò il tenue contrasto fra grigi scuri che era l’orizzonte sud-orientale — e poi, sebbene dopo una notte di fatica fosse troppo esausto e rauco per gridare, scoprì i denti per il compiacimento, poiché poté scorgere quell’irregolarità che non poteva essere altro che la Giamaica.
«Ci siamo, Skank,» disse piano all’uomo accanto a lui mentre gli restituiva il telescopio. «Dieci ore di navigazione notturna regolando la rotta con l’aiuto delle stelle, in linea retta poiché non avremmo potuto virare, e le prime luci dell’alba ci trovano esattamente dove volevamo essere! Per Dio, vorrei che Davies avesse potuto vederlo.»
«Già,» gracchiò Skank, debolmente.
«Ordina a uno dei ragazzi di andare a prendere Hurwood e di portarlo qui. È quasi il momento per lui di entrare in scena.»
«Sì, capitano.» Skank si allontanò barcollando nel buio, e lasciò Shandy solo a prua.
Shandy fissò l’orizzonte indistinto, cercando di scorgere di nuovo la Giamaica senza l’aiuto del telescopio, ma dopo aver trascorso due notti senza dormire, mettere a fuoco gli occhi era un vero e proprio sforzo fisico, e tutto ciò che poté vedere furono delle trasparenze illusorie che roteavano in diverse direzioni ogni volta che muoveva gli occhi. Non vedeva l’ora di salvare Beth, ma più perché non riusciva a rilassarsi e ad andare a dormire da qualche parte che per la gloria o l’appagamento che avrebbero potuto derivargli dall’esserci riuscito.
Con l’intorpidita obiettività che segue uno sforzo totale ed estenuante, si domandò se fosse stato catturato in Giamaica… e cosa sarebbe successo. Avrebbe potuto affermare di non aver violato il suo indulto, dal momento che la sola nave che aveva preso era quella, e Hurwood non ne era di certo il legittimo comandante. Rubare una cosa rubata è meno biasimevole che pianificare un furto? Beh, anche se fosse stato catturato, e la sentenza fosse stata a suo sfavore, avrebbe prima liberato Beth Hurwood… e le avrebbe fatto ascoltare la storia che suo padre aveva da raccontare, mostrandole che le cose stavano… diversamente da come lei le aveva immaginate.
Si strofinò gli occhi doloranti e, di nuovo senza una particolare emozione, pensò a tutte le cose che quell’estate e quell’autunno gli erano costate: le sue rette convinzioni, la posizione legale, il suo scetticismo, la sua giovinezza, il suo cuore… e sogghignò nelle tenebre gelide quando comprese che, quasi come di tutta l’innocenza e degli amici defunti, sentiva la mancanza di quella vecchia, malconcia, scalcagnata, rabberciata e leale corvetta chiamata Jenny. Con nessuno a manovrare le pompe di sentina durante il combattimento e il recupero del giorno prima, si era riempita ed era affondata, cosicché le cime dei grappini si erano tese e avevano fatto sbandare il Carmichael a babordo in maniera percettibile. Con tristezza aveva dato l’ordine di liberarla, e c’erano state lacrime nei suoi occhi quando aveva visto l’albero e le vele rattoppate chinarsi verso l’acqua mentre lo scafo s’inabissava a poppa… e sebbene il suo udito fosse ancora imperfetto, o forse a causa di questo, gli era parso per pochi momenti di sentire un mormorio di voci che si affievolivano, con una di esse che ancora insisteva di non essere un cane…
Udì uno scalpiccio sul ponte dietro di lui, e Skank gli diede un colpetto sulla spalla. «Uh, capitano?»
Shandy si voltò. «Sì? Dov’è Hurwood? Non m’importa se non si sente bene, deve…»
«Capitano,» disse Skank, «è morto.»
Shandy sentì delle lacrime di rabbia riempirgli gli occhi. «Morto? Cosa? No, figlio di una cagna, non può, non…»
«Capitano, è freddo e non respira più… e non sanguina se lo pungi con un coltello.»
Shandy ricadde contro la battagliola e scivolò giù finché non si sedette sul ponte. «Dio maledica quell’uomo,» stava sussurrando, con voce stridula, «Dio lo maledica, adesso dovrei nuotare fino a riva e arrampicarmi sulla scogliera e scovare questo Hicks? Come diavolo faccio a…» Abbassò la testa nelle mani, e per diversi secondi lo sgomentato Skank pensò che stesse piangendo; ma quando Shandy finalmente sollevò la testa e parlò, lo fece con voce stridula ma controllata.
«Portalo qui comunque.» Shandy si alzò lentamente in piedi, fronteggiando la Giamaica e flettendo le mani irrigidite. Il cielo si stava illuminando a est — il sole sarebbe salito terribilmente presto.
«Uh… sicuro, capitano.» Skank fece per avviarsi, ma si fermò. «Uh… perché?»
«E un paio di grossi pezzi d’alberatura lunghi una iarda, e un rotolo della corda più robusta e sottile,» Shandy proseguì, ancora fissando l’isola, «e un…» Fece una pausa, e parve soffocare.
«E cosa, capitano?» chiese piano Skank.
«Un ago acuminato da velaio.»
A cosa è servito lasciare Port-au-Prìnce, si chiese Sebastian Chandagnac, di cattivo umore, mentre cercava di trovare una posizione confortevole fra le rocce e l’erba umida di rugiada, se in questa nuova identità di Joshua Hicks sto ancora ad aggirarmi per rive desolate all’alba in attesa di segnali dalle navi pirate? Rabbrividì, si strinse ancora di più nel mantello e bevve un altro sorso dalla fiaschetta di brandy, e si sentì riscaldato sia dall’alcol che dall’invidia per il vetturino che aspettava sulla carrozza diverse iarde dietro di lui.
Guardò con cipiglio l’orizzonte, poi s’irrigidì, poiché riuscì a vedere una luce grigia che punteggiava la superficie scura del mare. Sollevò nervosamente il telescopio davanti all’occhio e scrutò attraverso di esso. Sì, era una nave, alta e a vele quadre. Impossibilitato a saperne di più per il momento, abbassò il telescopio.
Dev’essere lui, pensò. Quale altra nave passerebbe al largo di Portland Point all’alba di Natale? Lanciò un’occhiata alla carrozza alle sue spalle — il vetturino stava guardando sdegnato uno dei cavalli che batteva impaziente gli zoccoli e soffiava un pennacchio di vapore — ma non tornò verso di essa, poiché Ulysse gli aveva ordinato di attendere finché non avesse visto lui in persona sul ponte. «Potrebbe essere la mia nave, capisci,» aveva detto Segundo, con quel suo sorriso che, sebbene divertito, sembrava esporre troppi denti, «ma io potrei non essere a bordo… potrei anche essere rinchiuso da qualche parte, o forse ucciso, così soltanto dopo Natale sarei in grado di tornare qui. E lo… spossessamento dell’anima dev’essere fatto a Natale. Così fai in modo di eseguirlo tu, a meno che non mi vedrai agitare un braccio.»