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«A terra,» fece eco un vecchio pirata, stancamente. «Stai per andare a terra.»

«Certo,» borbottò Shandy. Armeggiò senza risultato coi nodi delle corde che lo sorreggevano, ostacolato dagli occhi offuscati e dalle mani sanguinanti. «Qualcuno salga qui ad aiutarmi a scendere. Devo…» Capì che stava di nuovo per perdere conoscenza, ma resistette. «Devo andare a una cena.»

Il Carmichael impiegò diverse ore per arrivare all’estremità meridionale del porto di Kingston, perché la nave non era in grado di dirigere la prua nel vento, e così dovette tornare indietro sul suo percorso e continuare a far girare le vele al fine di spostare il vento da un lato all’altro della prua. E dal momento che il vento stava soffiando su di loro da Kingston, dovettero eseguire una serie diligente di “otto” per portarsi sopravvento, e il tragitto fu di sessanta miglia di costante fatica invece che di circa venticinque miglia in linea retta, come sarebbe stato per un vascello non danneggiato. Shandy ebbe un mucchio di tempo a disposizione per accorciarsi e rasarsi là barba, picchiettata di grigio e rigida per il sale marino, abbigliarsi con uno dei vestiti di Hurwood, e infilare le mani fasciate in un paio di guanti di pelle di capretto.

Il sole era alto quando finalmente fu in grado di fissare attraverso la foresta degli alberi delle navi nel porto i tetti rossi della città e, al di là e al di sopra di essi, il porpora e il verde delle montagne. Gli venne in mente che stava finalmente guardando Kingston, e dal ponte del Carmichael… sebbene con sei mesi di ritardo. Rammentò come lui e Beth Hurwood avessero prematuramente celebrato la fine imminente del viaggio gettando biscotti verminosi a un gabbiano planante, e come avesse progettato di andare a cena quella sera con Capitan Chaworth.

Fece segno al nocchiere di non avvicinarsi troppo a riva, e poi si voltò verso Skank. «Fai impacchettare il cadavere di Hurwood e fallo mettere in una scialuppa prima che sia calata. E poi falla calare con cura. Ora ho bisogno di qualcuno che mi porti a terra — dopodiché condurrai il Carmichael a sud, intorno alla Scogliera dei Relitti, e ci aspetterai là… e se non saremo tornati alla nave entro metà mattina di domani, salpa — probabilmente saremo stati catturati, e con tutte queste imbarcazioni della Navy qua intorno, il pericolo aumenterà ogni ora che passa. Sarai tu il capitano, Skank. Scappate lontano, dividetevi il bottino, e andatevene a vivere come re da qualche parte. Non so se questa sia stata o no una violazione del nostro perdono, per cui andatevene in qualche posto dove non abbiano mai sentito parlare di noi. Ingrassate, stendetevi al sole e ubriacatevi tutti i giorni, poiché berrete anche per me.»

Skank probabilmente era incapace di piangere, ma i suoi occhi piccoli luccicavano quando strinse la mano di Shandy. «Cristo, Jack, tornerai. Sei stato in posti peggiori.»

Shandy sogghignò, approfondendo le rughe sul volto. «Già, hai ragione, in non pochi posti del g’enere. Beh, manda i ragazzi a prendere Hurwood…»

«Lasciate il cadavere a bordo, per ora,» lo interruppe una voce rombante dalla scaletta che conduceva sottocoperta. Sia Shandy che Skank riconobbero la voce, e guardarono, con terrorizzato stupore, Woefully Fat che saliva pesantemente la scaletta. Il nero gigantesco si era drappeggiato addosso un pezzo di vela, a mo’ di toga, che ricopriva l’estremità spezzata del pennone sporgente dal suo petto. Si muoveva più lentamente del solito, ma per il resto sembrava quello di sempre — vigoroso, severo e impassibile. «Brucerete dopo il corpo di Hurwood. Ti porterò io a riva, adesso. Devo andare a morire sul suolo della Giamaica.»

Shandy scambiò un’occhiata smarrita con Skank, ma poi si strinse nelle spalle e annuì. «Io, uh, credo di non aver bisogno di un rematore, dopo tutto. Beh…»

«Certo che ne hai bisogno, Jack,» disse Skank. «Pare che il bocor di Davies resterà a terra, e tu non potrai remare al ritorno con le tue mani ferite.»

«Questo accadrà domani. Ci riuscirò.» Si voltò nervoso verso il bocor. Ricordando per una volta che quell’uomo era sordo, Shandy fece un gesto che significava «dopo di te» verso la battagliola e la barca che oscillava dalle gru.

CAPITOLO VENTOTTESIMO

Il Carmichael virò dopo aver calato la scialuppa. Il vento riempì le sue vele, e la nave scomparve dietro la punta meridionale prima che Woefully Fat avesse dato cinquanta colpi di remo. Shandy si sedette rilassato sulla traversina di poppa e, distogliendo gli occhi dalla faccia bizzarramente placida del bocor, si permise di assaporare il sole, il panorama e gli odori intensi portati dalla brezza. Ora che la nave che poteva incriminarli si era ritirata, loro erano semplicemente due uomini in una barca a remi — anche se uno sguardo dentro la toga di Fat avrebbe senza dubbio sorpreso anche il più navigato dei capitani di porto — e Shandy pensava che con tutta probabilità avrebbero potuto sbarcare senza suscitare un particolare interesse.

Anche quando una corvetta della Royal Navy venne obliquamente verso di loro, con le decorazioni metalliche che scintillavano e il suo alto fiocco bianco e intimidatorio nel sole meridiano, pensò che probabilmente l’imbarcazione aveva lasciato il porto per qualche scopo che non aveva niente a che fare con lui. Fu solo quando la corvetta tagliò loro la strada ponendosi di traverso a prua della barca a remi e poi sciolse tutte le vele e venne a fermarsi, rollando, davanti a loro che Shandy cominciò a preoccuparsi. Attirò l’attenzione di Woefully Fat e riuscì a trasmettere al bocor che c’era un ostacolo davanti a loro.

Woefully Fat guardò al di sopra della sua spalla, annuì, e sollevò i remi dall’acqua. Pochi secondi dopo la barca a remi urtò debolmente il vascello della Navy.

Affiancato da una dozzina di marinai con le pistole, un giovane ufficiale avanzò fino alla battagliola della corvetta e abbassò lo sguardo sui due uomini nella barca. «Siete John Chandagnac, altrimenti conosciuto come Jack Shandy, e lo stregone noto come Grievously Fat?» chiese nervosamente.

«Stiamo andando in Giamaica,» intervenne il bocor nel bel mezzo della domanda dell’ufficiale.

«È inutile parlargli…» cominciò Shandy.

«Ebbene? Siete voi?» domandò l’ufficiale.

«No, maledizione,» strillò Shandy, disperato, «io sono Thomas Hobbes e questo è il mio servo Leviatano. Stiamo solo…»

«Guai a te, guerriero di Babilonia,» intonò Woefully Fat con la sua voce più profonda, puntando un dito verso l’ufficiale e spalancando gli occhi preoccupanti. «Il Leone di Giuda i tuoi virgulti calpesta e lo scotto pagherai!»

«Siete in arresto!» strillò l’ufficiale, sfoderando anche lui la pistola. A uno dei suoi aggiunse, «Vai giù, assicurati che siano disarmati, e poi conducili a bordo come prigionieri!»

Il marinaio fissò l’ufficiale. «Sissignore. Ma perché, esattamente?»

«Perché? Non hai sentito cos’ha minacciato di fare al mio scroto?»

«Ha detto scotto, veramente…» cominciò Shandy, ma si fermò quando l’ufficiale puntò la pistola direttamente contro la sua faccia. Allora sollevò le mani aperte e fece un largo sorriso. «Ottimo lavoro, uomo,» sussurrò al bocor sordo.

I marinai della Navy calarono una scaletta di corda, e Shandy e Woefully Fat si arrampicarono sul ponte della corvetta mentre un paio di marinai assicuravano una cima alla barca a reni per rimorchiarla. E quando i polsi dei prigionieri furono legati davanti a loro l’ufficiale li fece condurre da lui nella linda ma stretta cabina sottocoperta. Woefully Fat dovette piegarsi quasi in due per entrare nella stanza. Shandy rammentò, sgradevolmente, la sua breve visita a bordo della nave da guerra che aveva catturato la Jenny.

«Prigionieri,» cominciò l’ufficiale, «siete stati visti sbarcare dal vascello pirata chiamato Orfeo Risalito. Abbiamo ricevuto dalla colonia di New Providence l’informazione che John Chandagnac e Woefully Fat hanno lasciato quell’isola il tredici dicembre, salpando per la Giamaica con l’intento di incontrarsi col pirata Ulysse Segundo. Negate di essere questi due uomini?»