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Alla fine, ho detto: — Perché le hai raccontato quella storia?

— Del primo anno che hai trascorso tra il Popolo?

Ho annuito. Lui ha preso la statua della Divinità e l’ha tenuta per un momento, poi l’ha posata nuovamente. — Lei non appartiene al perimetro. Nessuna donna vi appartiene. Ma la vostra specie fa di tutto un miscuglio. Niente è sicuro. Nessuno è protetto. Non so se tu le debba qualcosa. Ha tentato… quando l’ha capito… di salvarti la vita e, così facendo, si è messa in pericolo. Ho cercato di farle capire che non doveva intromettersi negli affari di uomini.

— Tanto per parlare.

È sembrato sorpreso e ha proseguito. — Di farle capire qualcosa sulla violenza del perimetro. La vostra gente deve mentire costantemente l’uno con l’altro sulla natura di tutto ma, soprattutto, sulla natura della violenza. Non penso veramente che abbia compreso in che cosa si era cacciata. Volevo darle qualche idea. Volevo spaventarla e farla sentire disgustata e inorridita.

— Probabilmente, ci sei riuscito.

— Bene. Come dico, non sono sicuro che le dobbiamo qualcosa. Ma se così fosse, mi piacerebbe tirarla fuori da questo pasticcio. — Prese il pugnale. L’impugnatura era d’oro con una gemma incastonata nel pomo che lanciava riflessi rosso-porpora e verdi. Un’alessandrite, ne ero quasi certo. La lama era lunga trenta centimetri, affilata come un rasoio.

— C’erano delle donne nella zona diplomatica. Ne abbiamo uccisa una, anche se, fortunatamente, l’abbiamo scoperto solo dopo, e nessuno sa chi l’abbia uccisa. Non è stato necessario che qualcuno chiedesse l’opzione. Abbiamo detto alla nave umana che l’avremmo distrutta se fosse uscita dall’orbita. So che ci sono donne a bordo. Abbiamo tenuto in ostaggio l’intera popolazione umana del pianeta, senza fare distinzione tra uomini e donne; e ci siamo lasciati alle spalle i missili per tenere d’occhio il pianeta fino alla nostra partenza. I loro programmi sono stati modificati e ora non fanno più discriminazioni. Non risparmieranno nessuno.

— Gesù Cristo — ho detto.

— Ho fatto questo perché non riuscivo a vedere un’alternativa; ma adesso devo andare dagli altri frontisti a chiedere loro come combatteremo un nemico simile. C’è un’altra domanda che non farò loro, dal momento che non mi fido del fatto che mi diano una buona risposta. Ma la porrò a te, Nicky. E da tanto che so di essere rahaka. Non accetterò l’opzione, se esiste un modo per evitarla. Come farò a vivere con quello che ho fatto?

Vivrai perché devi, maledetto pazzo. (Ah.)

Dopo averlo lasciato, sono andato a trovare Shen Walha, il capo delle operazioni del generale. La prima volta che ho visto quest’uomo, ho capito che era un Wally, un Inetto. È grande e grosso e dall’aria dolce con la peluria che si avvicina al bianco candido. Ha delle macchie sulla schiena e sulle spalle e sulla parte superiore delle braccia. Le macchie sono simili a quelle di un leopardo delle nevi: larghi anelli pelosi, vuoti al centro e spesso interrotti. Di un grigio pallidissimo.

Un tipo grande, grosso e chiazzato che assomiglia un po’ a un orsacchiotto. Naturale che sia un Wally. Mi sono accorto che quasi tutti lo usano come soprannome, perfino il generale.

Proviene da un’isola molto a sud del pianeta originario dei hwarhath. Il tempo, lassù, passa dalla pioggia alla grandine alla neve e da capo, e la gente ha pelo lungo e folto. Sembrano tutti grossi, morbidi e coccoloni. Hanno invece una reputazione di estrema durezza.

Sedeva nel suo ufficio, con l’abituale costume: un paio di pantaloncini corti. Il povero Wally ha sempre caldo. Aveva le mani incrociate sul largo ventre peloso. Mi ha guardato con i pallidi occhi gialli.

— So di doverti ringraziare per la mia vita.

— Per la tua libertà. Non credo che gli umani ti avrebbero ucciso. Siediti, se vuoi. — Si è grattato il petto, poi ha sbadigliato, lasciandomi ampiamente vedere i suoi quattro denti appuntiti. Nella maggior parte del Popolo, questi denti sono più lunghi, come i canini umani; ma quelli di Wally sono lunghi e appuntiti e lui sbadiglia molto. Afferma che il caldo gli fa venir sonno. Credo che sia una forma di esibizione.

— Il primo difensore ha detto di chiedere a te dell’operazione.

— È venuto da me venti giorni fa e mi ha detto che tu eri preoccupato, e ha pensato che non si trattasse di niente. Ma che poteva essere una buona idea quella di avere un piano d’emergenza del quale tu non dovevi essere a conoscenza.

— Perché?

— Non posso dirti le ragioni di Ettin Gwarha. Quanto a me, non mi fido di te. Non mi sono mai fidato.

— Oh, sì. Certo.

— Così ho cominciato ad ammassare uomini e armi a nord della base principale: un po’ ogni giorno, o quasi, sul volo regolare. Gli umani non se ne sono accorti. Erano troppo occupati a spostarsi sui loro aerei invisibili da una all’altra delle loro basi nascoste nel terreno. Dopo la nostra invasione, abbiamo scoperto due aerei e due basi, e quasi certamente ci saranno altri aerei e altre basi. Follia inutile! Ma li teneva occupati.

— Abbiamo messo tutto… uomini e armi… nelle zone di massima sicurezza della base.

Dove a me non era concesso di entrare.

— E quando il nemico ha fatto la sua brillante mossa, siamo stati in grado di ricambiare.

— È stato abbastanza semplice. Espugnare la pista d’atterraggio. Distruggere lo shuttle a terra. Lanciare uomini nella zona diplomatica e sulla stazione. Spianare le armi e sparare a qualcuno dei nemici, quelli che sono insolitamente stupidi o coraggiosi. Dire alla nave in orbita che abbiamo schierato missili intelligenti. Tanti, troppi per trovarli e fermarli. Se il nemico fa qualcosa, se comincia a muoversi, lo distruggeremo assieme a tutti gli umani del pianeta. Non esiste minaccia come una grande minaccia, Nicky.

Ha aggrottato la fronte e si è grattato il grande naso piatto e peloso. — C’era soltanto un problema. La seconda nave umana. Ho detto al primo difensore che volevo distruggerla. Era troppo vicina al punto di trasferimento. Ho pensato che ci saremmo presi un certo vantaggio. Lui ha detto di no. Voleva che bluffassi. È stato uno sbaglio, Nicky. Se avessi distrutto quella nave, avremmo potuto prendercela comoda sul pianeta. Studiare con calma tutti i sistemi dati e interrogare gli umani. Il primo difensore è convinto di poter salvare i negoziati. Non desiderava più violenza del necessario. È sempre una cosa stupida essere moderati in guerra.

— C’erano quasi certamente delle donne su quella nave. L’avresti distrutta ugualmente?

— Sì. Naturalmente. — Si è sporto in avanti e ha posato sul tavolo le braccia robuste. — Questi alieni pervertiti non sono i primi ad aver tentato di nascondersi dietro donne e bambini. Non sono i primi ad aver infranto le regole della guerra. Abbiamo saputo in passato come trattare con simili peccatori contro la Divinità.

La solita tecnica è di formare un’alleanza. Le antiche discordie vengono messe da parte, almeno per il momento. I nemici più acerrimi si uniscono e tutti si muovono contro la stirpe peccatrice.

Se possibile, alle donne e ai bambini non viene fatto del male, almeno non direttamente. Ma se la stirpe criminale non può essere fermata senza colpire donne e bambini, be’, allora accade; e gli uomini che fanno del male accettano l’opzione in quanto conveniente. (Una delle cose che mi piace veramente dei hwarhath è che si può infrangere quasi ogni regola purché, dopo, si sia pronti a suicidarsi. Secondo loro, ciò impedisce alla gente di sviluppare cattive abitudini.)

Nessuno negozierà con una stirpe che ha infranto le regole della guerra ed esiste una sola conclusione: una soluzione finale. La stirpe peccatrice viene completamente distrutta. Gli uomini vengono uccisi e le donne e i bambini non vengono accettati da nessun’altra stirpe. Diventano vagabondi, dei paria. Quando i bambini maschi maturano, vengono uccisi.

Se le donne hanno altri bambini, cosa che qualche volta era avvenuta, in passato, sebbene i hwarhath odino ammetterlo, i nuovi bambini ricevono lo stesso trattamento degli altri. Non c’è posto per loro tra il Popolo. Anche loro sono criminali.