Ho cominciato a fare una serie di esercizi hanatsin: lentamente, concentrandomi sull’esatto movimento di ciascuno. Mi è servito. Sono passato a una seconda serie, perfino più lenta, e poi a una terza che comprende posizioni di mantenimento. È a questo punto che solitamente arrivo al giusto ritmo di respirazione.
Nella terza serie, le irritazioni minori svaniscono. Nella quarta, non si è più consapevoli nemmeno di se stessi. Alla fine della quinta, si raggiunge la giusta condizione di riposo. Il praticante non si muove più. È vuoto, aperto, quiescente, pronto e chulmar, una parola che non sono mai stato capace di tradurre appropriatamente. Usata nella conversazione ordinaria, significa pio, o in possesso di ottimo senso dell’umorismo. In hanatsin proprio non so.
Ho raggiunto la fine della quinta serie e sono rimasto lì per un po’, poi mi sono riavuto. I corridoi non erano cambiati e io avevo freddo. Mi sono guardato attorno e ho scoperto le telecamere che controllano l’incrocio: due, alte e quasi nascoste nell’ombra. Doveva probabilmente esserci qualcuno in qualche posto della sicurezza davanti agli schermi a domandarsi che cosa stesse facendo questa volta Sanders Nicholas. Se voleva praticare hanatsin, perché non andava in una palestra hanatsin?
Un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto, come soleva dirmi mio padre a proposito del suo capanno per gli attrezzi e della sua biblioteca.
Quando sono tornato nelle mie stanze, c’era la luce ambrata accanto alla porta che dava negli alloggi di Gwarha. La porta non era chiusa. Voleva che andassi. Non ero più arrabbiato ma ero stanco e rimaneva ancora in me un po’ dell’umore creato dagli esercizi hanatsin. Non volevo perderlo ascoltando accuse o spiegazioni di Gwarha. Ho fatto una doccia e sono andato a letto.
La mattina dopo ho trovato un messaggio sul mio computer: da Gwarha e nella lingua principale hwarhath, molto formale, cortese.
Gwarha avrebbe preferito che non avessi alcun genere di contatto con gli umani.
Avrebbe preferito che non accedessi a file che richiedessero una chiave d’ingresso, tranne i miei file personali, naturalmente.
Avrebbe preferito che non andassi nel mio ufficio.
Non c’erano stati cambiamenti nel mio status, spiegava, con cautela. Avevo ancora il mio grado nella sicurezza. Non aveva dato ordini diversi. (Né avrebbe potuto se volevamo tenere segreto ciò che era accaduto.) Ma, come favore personale, potevo dedicare la giornata a qualcosa di assolutamente innocuo?
Certamente, ho detto, al computer.
Sapeva che mi piace camminare nelle sezioni vuote della stazione, e sapeva quanto il camminare fosse importante per me. Ma, sempre come favore personale, potevo limitare le mie escursioni alle parti correntemente in uso?
E mi sarebbe stato grato se lo avessi raggiunto nei suoi alloggi, verso sera.
Certamente.
Ho trascorso la giornata al mio diario, cercando di scrivere tutto prima di dimenticarmene e prima che l’informazione avesse subito dei cambiamenti, come sempre pare che accada. Ci sono problemi con il cervello umano come unità di archivio dati.
In seguito posso rabberciare, cambiare le parole, farle suonare meglio. Anche se è pericoloso: la realtà diventa arte.
La luce accanto alla porta di Gwarha è appena diventata ambrata. Lui è a casa e aspetta che vada a trovarlo. Molto probabilmente ha tirato fuori un boccale di halin ed è seduto sul divano con una coppa in mano e il boccale davanti a lui, ferito e dispiaciuto per se stesso. Il piccolo stronzo. Come ha potuto spiarmi?
Perché ho tradito lui e il Popolo? Tutto quello che posso vedere in questo momento è che sono stato uno stupido.
E chi di noi ha tradito di più? Chi ha ferito di più?
Non che importi. Penso che le donne di Ettin presto mi porteranno via di qui. Se Gwarha e io vogliamo fare pace, dev’essere adesso. Forse la Divinità sarà gentile con noi e avremo tempo anche dopo per discutere e recriminare: tempo per centinaia di visioni e revisioni. Ma al momento voglio pace.
Per una qualche ragione, sto pensando agli animali di Anna: le meduse giganti, prese da paura e lussuria, che segnalano disperatamente le loro buone intenzioni mentre velenosi tentacoli fluttuano attorno a loro.
Sono io. Non voglio fare alcun male. Fammi avvicinare. Lasciami toccarti. Scambiamoci quello che passa per amore.
Finisco la frase, spengo il computer e mi alzo per andare alla porta.
Dal diario di Sanders Nicholas,
addetto alle informazioni presso lo staff
del Primo Difensore Ettin Gwarha
CODIFICATO PER LA SOLA VISIONE DI ETTIN GWARHA
PARTE TERZA
RITORNO
1
Per diversi giorni, non accadde nulla, almeno per quello che Anna poteva sapere. Assisteva ai negoziati maschili, che continuavano come prima, e passava il tempo con i colleghi umani. Nessun hwarhath la chiamò. Non ebbe notizie di Nick, e lui non si fece vedere ai negoziati.
Resta calma, si ripeteva.
La sua scorta era Vaihar o un nuovo giovane, un Chaichik con il pelo d’un piacevole grigio fumo. Parlava inglese con un forte accento e la solita cortesia aliena. I suoi occhi, che lei vedeva raramente… perché propriamente distolti… erano d’un grigio pallido, quasi incolori.
— Che fine ha fatto Matsehar? — domandò a Vaihar.
— Non le piace Chaichik An?
— Ha l’aria di essere un tipo dolce, ma mi manca la descrizione a puntate che Matsehar mi fa della scena della commedia alla quale è arrivato.
Vaihar rise. — L’ha quasi finita, e, proprio alla fine, si è messo nei guai. Ha chiesto del tempo libero per potersi dedicare al copione.
— E va bene? Si è esentato dai suoi doveri per quello?
— La commedia è il suo dovere, Anna. Ricordi che lui appartiene agli Art Corps. La sua assegnazione qui è solo temporanea.
Un paio di giorni dopo, lui la incontrò all’ingresso degli alloggi umani. — Dobbiamo fare una… qual è il termine? …deviazione sulla strada del ritorno alle sue stanze.
— Perché?
— Il primo difensore ha chiesto di vederla.
Era inutile chiedere quale primo difensore. Quando Vaihar parlava, si riferiva sempre a Ettin Gwarha.
— Perché? — domandò di nuovo Anna.
— Sono un ufficiale minore e non un parente. Il primo difensore non mi dice quello che ha in mente.
Lui la condusse nell’ufficio di Ettin Gwarha, che sembrava lo stesso che Anna aveva visto l’ultima volta, tranne che ora c’era un’unica sedia vuota di fronte al tavolo. Ettin Gwarha sedeva dietro la scrivania, vestito da cadetto spaziale. — Non è necessario che tu rimanga, Addetto. Vedrò io che la signora Perez torni nel suo alloggio.
Vaihar se ne andò. La porta si chiuse ed Ettin Gwarha annuì verso la sedia vuota. — Si accomodi, la prego.
Anna lo fece.
Lui intrecciò le mani e la guardò. La stanza era bene illuminata e le pupille del generale si erano contratte in strette bande nere, circondate d’azzurro. Gli occhi la turbavano più di qualsiasi altra cosa dei hwarhath, fatta forse eccezione per le loro mani.
— L’ho trascurata, signora. Mi scuso. Sono successe molte cose.
Anna attese.
— È arrivata una nave. Porterà a casa le mie parenti donne; Lugala Minti ha deciso di andare con loro. Tsai Ama Ul e la sua traduttrice resteranno qui; nessuna donna dovrebbe stare sola nel perimetro. — Gwarha fece una breve pausa, sempre guardandola. — Nicky andrà con le mie zie. Lei e io saremo lasciati qui a… come si dice? …difendere il forte. — Divise le mani e sollevò qualcosa che assomigliava a una matita di metallo. — Questa è una situazione che mi mette molto a disagio. Una donna non dovrebbe essere coinvolta nelle lotte del perimetro.