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Anna scrollò le spalle. — Non ho avuto fortuna; o forse sono un carattere solitario; o forse non ho mai accettato il fatto che la gente sia imperfetta.

Dopo un momento, lui disse: — Credo che io e il generale riusciremo a escogitare qualcosa. Le zie saranno d’aiuto. Continuano a martellare Gwarha. Come poteva chiedere a un uomo qualsiasi, persino un umano, di abbandonare una parente femmina? Ecco quello che vedono quando guardano la situazione… un uomo che agisce per proteggere una parente femmina; e per ciò che li concerne, è un comportamento giusto. Avrebbe dovuto sentire Ettin Per. "Possa la Divinità impedire che un qualunque figlio di Ettin faccia mai ciò che tu ti aspettavi che facesse Sanders Nicholas."

Anna rise. — E Matsehar? Ha parlato con lui?

Nick annuì. — Gli ho detto che stava succedendo qualcosa, e che avrebbe dovuto tenersi il più possibile alla larga. Lo doveva alla sua arte. Il piccolo stronzo ha cominciato a parlare di lealtà e di onore, come se non li avesse attaccati nelle sue commedie negli ultimi dieci anni. "Sei mio amico, Nicky. Non posso lasciarti alle prese con qualunuque cosa stia accadendo."

— Così abbiamo avuto una discussione, e adesso ha il broncio. Quando comincerà a passargli, gli parli… diavolo, gli dica che gli voglio bene, e che dovrebbe fare le cose in cui è bravo, e lasciare a me i miei problemi.

— Vuole davvero che glielo dica?

— Lei gli piace, Anna. Il generale no. Non posso usare Gwarha come messaggero. Gli consegnerebbe qualsiasi messaggio gli dessi con meticolosa precisione e ovvia disapprovazione. — Nick scese dal tavolo. — Credo che dovremo finirla qui. Gwarha aspetta per scortarla.

Anna si alzò. Lui l’abbracciò e la baciò rapidamente, poi si ritrasse. — Courage, ma brave. Credo… spero… che andrà tutto bene.

Lei non riuscì a trovare cosa dire. Gli prese una mano e gliela strinse forte, poi la lasciò e si diresse alla porta. Si aprì. Ettin Gwarha era nell’anticamera, attento ma rilassato, come se avesse potuto aspettare anche tutta la giornata.

— Signora?

Lei lo seguì fino agli alloggi delle donne. Il generale l’accompagnò alle sue stanze. Anna aprì la porta ed esitò, poi chiese: — Può entrare?

— Sì.

Gwarha entrò. L’ologramma era acceso e mostrava la collina sopra la stazione di ricerca degli umani su Reed 1935-C. Questa volta, era tardo pomeriggio. Pioveva. Alcune luci erano accese tra le costruzioni. La baia era scura: nessun messaggio scintillava sull’acqua grigio acciaio.

Anna attese che la porta fosse chiusa, poi disse: — Nick è convinto che andrà tutto bene.

Ettin Gwarha fece quel rumore di tosse che era la risata hwarhath. - Non c’è modo di far indietreggiare Nick. Si mette per un momento da parte e poi si prepara e proseguire di nuovo. Crede sempre di poter trovare un nuovo sentiero davanti a sé. — Rimase silenzioso per un minuto o due, guardando la pioggia che cadeva su Reed 1935-C. — Non lo so, signora Perez. Se saremo cauti e fortunati, se le mie zie saranno abili, se la nonna raccoglierà i debiti che le sono dovuti da sessant’anni e più, se la Divinità deciderà di non cedere alla sua passione per gli scherzi maliziosi… allora, forse andrà tutto bene. Possiamo soltanto andare avanti.

Fece una pausa e aggiunse: — Dovrei tornare nel mio ufficio. Se vuole parlare, se ha dei problemi, dica ad Hai Atala Vaihar di chiamarmi. Risponderò.

Anna lo ringraziò.

Lui si diresse alla porta, poi si girò. — E sarà meglio che le mandi dei nuovi ologrammi. Non è possibile che voglia trascorrere tutto il prossimo anno a guardare quella scena.

2

La nave partì, e Matsehar fece di nuovo la sua comparsa qualche mattina dopo. La commedia era finita, disse mentre camminavano per i corridoi della stazione. — Non grazie a Nicky. Non è stato facile per me concentrarmi sul copione dopo la lite che abbiamo avuto.

Anna gli riferì il messaggio di Nick. Tipico, commentò Mats. Nicky diventava sempre affettuoso dopo che si era mostrato ostinato. — Ti allontana da sé, e poi parla d’amore e d’amicizia, come se questo ti ricompensasse per ciò che ha fatto.

Anna rimase silenziosa.

— E adesso se n’è andato, proprio quando avevo bisogno della sua opinione per la nuova commedia. — Mats la guardò di sbieco. — Le andrebbe di leggerla?

— Non conosco la vostra lingua.

— Dovrebbe impararla, Anna. Non è facile, ma è molto bella! Nel frattempo, posso farle una traduzione. Terrei veramente alla sua opinione.

Come resistere allo sguardo che lui le lanciava? Sembrava quello di un licantropo malinconico. Poveretto! Desiderava tanto mostrare la sua commedia a un umano. Anna annuì.

— Uh-uhu — disse.

Mats ebbe bisogno di un paio di settimane per tradurre la commedia: un lavoro veloce per un uomo che non faceva il traduttore di professione. Il titolo era Il Cancello della Punizione. Anna trascorse una serata a leggerla.

Lui aveva ridisegnato l’opera in modo da concentrarla sul cancello del castello di Macbeth, che era anche il cancello per l’inferno. C’era una guardia, che a volte era un comune essere umano, un ubriacone comico, e a volte un mostro o demone. Tutti i personaggi si muovevano attorno e attraverso quella porta in una specie di danza: maghi e guerrieri, fantasmi, la terribile madre e il frontista assassinato. Certe volte, si rivolgevano alla guardia. Altre, lui descriveva cosa accadeva mentre danzavano.

Gesù Maria, quella sì che sarebbe stata una commedia da vedere! Anna immaginava i maghi vestiti di nero che danzavano attorno a Macbeth in armatura rosso sangue, e il monologo con il quale la guardia (ora un demone) descriveva il banchetto. Naturalmente, questo sarebbe avvenuto fuori scena. I hwarhath erano infastiditi dal cibo; o era disgustoso?

Non smise di leggere finché non arrivò alla fine. Macbeth giaceva morto al centro del palco. La guardia, che indossava per il momento lo splendido costume di un essere soprannaturale, si toglieva il vestito e lo lasciava cadere. Sotto, portava la divisa della guardia umana. Il suo compito era finito, annunciava al pubblico. Il cancello era tornato a essere una comune porta, che conduceva a nient’altro che al castello. Ricordate le regole dell’ospitalità, diceva, e le terribili conseguenze della troppa ambizione. Prendeva il suo calice di halin e si allontanava con passo strascicato. Fine.

— Wow — fece Anna e spense. Fissò la parete opposta, senza vedere il legno grigio. Vedeva invece il cancello e la guardia, che si trasformava da essere umano vestito di nero in uno scintillante demone coperto d’oro e d’argento. Le didascalie dicevano che l’attore doveva aumentare in grandezza quando diventava un demone. Com’era possibile? Imbottendo il costume da demone? O con scarpe speciali? L’avrebbe chiesto a Matsehar.

L’inglese in certi punti era inelegante, ed era difficile leggere il famoso monologo, il discorso finale di Macbeth: — Domani, e domani, e domani. — Il passaggio attraverso la lingua hwarhath l’aveva cambiato. Assomigliava a un oggetto familiare visto attraverso l’acqua o in uno specchio che distorceva l’immagine.

Sorprendente! Anna andò a letto.

Il giorno dopo, Matsehar le fece da scorta. — L’ha letta? Che cosa ne pensa?

— Perché mi accompagna avanti e indietro? Che cosa ci fa in questa stazione? Lei è un genio.

Lui si fermò nel corridoio e la guardò, occhi negli occhi. — Vuol dire che le è piaciuta?

— È meravigliosa. È splendida.

Lui doveva essersi ricordato che non erano parenti perché abbassò velocemente lo sguardo. — Sono qui per studiare gli umani, e le faccio da scorta perché Nicky mi ha chiesto di farlo. Credo che volesse qualcuno di cui si fidava, e di qualcuno che non si divertisse con la politica, e di qualcuno che non provasse repulsione per le note abitudini dell’umanità.