— Come quello che ha il marine? Forse ci sta ancora registrando. — Lui si guardò attorno. — Dio, che bella giornata! È tutto dorato e azzurro. Sento veramente la mancanza della vita all’aria aperta. Se la preoccupano i registratori, io ne ho uno. Non dica niente che non vuole che gli uomini della sicurezza dei hwarhath analizzino.
— Mi sembra un modo noioso di vivere. — Erano abbastanza in alto da godere una bella vista dell’oceano punteggiato di cavalloni. Nicholas aveva ragione: una giornata veramente bella.
— Al momento, lo trovo divertente. Probabilmente è per via del tempo e del fatto che non devo stare seduto quasi immobile per ore in una stanza senza finestre.
I due soldati li raggiunsero. Il ragazzo era rosso in viso e aveva l’uniforme stropicciata e macchiata.
— Non lo rifaccia, signore.
— Cosa?
— Andare avanti quando le chiedo di aspettare. Avrei potuto trovarmi nella condizione di doverle sparare.
Nicholas scosse la testa. — Ci pensi a lungo prima di farlo, soldato. Hattin è qui per mantenermi vivo. Ha degli ordini molto precisi al riguardo.
Il ragazzo mostrò un’espressione ostinata. — Farò quello che devo fare.
L’alieno li guardava con un’aria di distacco. Come al solito, non guardava nessuno direttamente negli occhi, ma Anna aveva la forte sensazione che vedesse tutto alla perfezione.
— Non conosce l’inglese, vero? — domandò Anna.
— No e non vuole. Hattin è un ragazzo molto dolce, ma manca di curiosità. Non ha alcun interesse per le anomalie forestiere.
— E non guarda mai nessuno negli occhi.
— Io gli sono anziano di grado. I hwarhath rispettano molto la gerarchia. Un uomo di grado inferiore non fisserà mai chiunque gli sia superiore. Il marine è un suo pari ma è anche un nemico; se si fissa un nemico lo si invita alla lotta; e io gli ho detto che lei è una donna. Gli uomini hwarhath non guardano le donne, a meno che le donne non siano membri della stessa stirpe.
Ripresero a salire. I soldati si tennero vicini. Quando arrivarono sulla cima della collina, Anna disse: — Che cosa intende per anomalie forestiere? Demoni stranieri?
— Qualcosa del genere. Hattin è… come posso descriverlo? …tradizionale. Riconosce il giusto comportamento quando lo vede; è il genere di comportamento che ha imparato a casa, da bambino. Qualunque cosa di diverso lo annoia e lo turba. Guardi che vista!
Da un lato c’erano la baia e la stazione, la zona diplomatica che sovrastava tutto il resto. Le cupole erano state trattate con qualcosa che le rendeva rapidamente corrodibili, perlomeno in superficie; erano verde rame, rosso ruggine e di un opaco dorato.
Dall’altra parte, la collina scendeva verso un’ampia spiaggia e l’oceano. Il fondo era basso. Le onde si rompevano in lunghe linee bianche.
— Com’è finito in questa situazione? — domandò Anna.
Nicholas si mise a ridere. — È il genere di domanda che farebbero i hwarhath. Sono molto diretti, come gruppo. Se vogliono sapere qualcosa, lo chiedono e non si preoccupano molto dell’educazione. Se non si vuole rispondere, basta dire: "non ne voglio parlare".
Fece una pausa e guardò l’oceano. — Non mentono molto. Ricorda i versi sugli antichi Persiani? Sono probabilmente di Erodoto. Ai loro uomini insegnavano ad andare a cavallo, a tirare con l’arco e a dire la verità. I hwarhath assomigliano a loro, solo che le armi che insegnano a usare sono molto più imponenti.
— Il che vuol dire che non ne vuole parlare?
Lui fece un’altra pausa. — Non per il momento.
Camminarono lungo la cresta della collina. Gli steli avevano perso tutte le spore e la loro morbidezza. Il vento li piegava come canne.
Molto bello. Molto rilassante. O forse quella non era la parola giusta. Quella vista rendeva felici. Il vento portava via preoccupazione e stanchezza.
Dopo un po’, Nicholas disse: — Non voglio che si faccia l’idea che i hwarhath siano tutti come Hattin. Variano molto, come l’umanità, anche se in modo diverso. Il generale, per esempio, è molto meno conservatore e molto più curioso.
— A chi sta parlando? — domandò Anna.
Lui sorrise. — A lei, tra le altre persone. Torniamo giù. Voglio saperne di più sui suoi animali.
Scesero alla baia, seguiti dai soldati. Quando raggiunsero la barca, Nicholas si fermò e disse qualcosa all’alieno. Anna entrò nella cabina.
— Abbiamo compagnia, Yosh.
Nicholas entrò a sua volta, chinandosi sotto la porta piuttosto bassa. Yoshi si alzò, educato e un po’ a disagio. Non si sentiva mai del tutto a suo agio con gli estranei.
— Questo è… — Anna esitò. — Ha un titolo o un grado?
Nicholas annuì. — La traduzione letterale sarebbe "addetto". Equivale più o meno a capitano.
— Il capitano Sanders. Il dottor Nagamitsu Yoshi. Il capitano è interessato ai nostri amici nella baia.
Yoshi parve sorpreso. Cercava senza riuscirci di inquadrare Nicholas. Qualcuno della zona diplomatica, ovviamente. Non c’erano stranieri alla stazione. Ma non andava oltre. Anna poteva quasi vedere la sua mente al lavoro nel tentativo di ricordare quale comunità umana usasse un grado come addetto.
— Perché non illustri l’attrezzatura, Yosh?
Yoshi lo fece: il sonar e il radar, le telecamere subacquee e i microfoni, gli strumenti che misuravano il flusso d’acqua nella baia. Spiegò come venivano presi e analizzati i campioni. Alla fine, parlò di Moby.
Durante tutto questo tempo, i soldati rimasero fuori. Il ragazzo era visibile sulla soglia. (Yoshi gli lanciava di tanto in tanto un’occhiata, divertito.) Anna non vedeva l’alieno.
— Parlate con loro, servendovi del galleggiante — osservò Nicholas.
— Comunichiamo — disse Yoshi. — Quanto a questo non ci sono dubbi; ma non siamo sicuri di fare delle conversazioni. Prima di tutto, loro non sembrano avere una grammatica. Abbiamo la tendenza a credere che qualsiasi creatura intelligente debba avere un modo per fare enunciati di relazione, per parlare di causa ed effetto. Diciamo loro delle parole e loro ne dicono altre di rimando o, a volte, le stesse. Possono comportarsi come pappagalli, soprattutto durante la stagione dell’accoppiamento. Deve aver visto le segnalazioni nelle ultime settimane. È qui da tanto?
— Da quando sono arrivati i hwarhath - rispose Nicholas.
— Ah — disse Yoshi. Ancora non si era fatta un’idea di chi fosse l’uomo.
Anna stava assistendo a un bell’esempio di pensiero Watsoniano, cosiddetto (naturalmente) in onore del compagno di Sherlock Holmes, un uomo sul quale si era malignato molto. Il buon dottore non era stupido. Semplicemente non faceva certi tipi di collegamenti… come Yoshi in quel momento, che continuava a spiegare come avessero insegnato agli animali a cantare "Mary ha un Agnellino".
— L’abbiamo tradotto nel codice d’emergenza internazionale e l’abbiamo fatto trasmettere da Moby… durante il periodo dell’accoppiamento, naturalmente… e loro l’hanno colto. Non siamo riusciti a indurli a farlo a turno; continuano a volersi sincronizzare. Una splendida vista, ma non il comportamento di una specie intelligente.
— Perché no? — domandò Nicholas. — Lei parla del cantare in coro. Gli umani lo fanno e lo fanno anche i hwarhath.
— Davvero? — disse Yoshi. — Non lo sapevo. — E ancora l’unità monetaria internazionale non si decideva a cadere. — Mi riferisco alla ripetizione pappagallesca. Ripetono anche troppo… con noi e l’uno con l’altro. Questo non è un segno d’intelligenza.
— Non si tratta di un falso problema? — chiese Nicholas. — Intelligenza è una parola ambigua e lo sono la maggior parte delle parole che possono essere sinonimi. Comprensione, coscienza, apprendimento nell’antico senso, ragione. Fino a che punto è significativo parlare d’intelligenza in un qualsiasi tipo di essere? Gli umani o i hwarhath, i computer, i delfini e le balene? E, comunque, perché se ne cura?