Dal diario di Sanders Nicholas,
addetto alle informazioni presso lo staff
del Primo Difensore Ettin Gwarha
CODIFICATO PER LA SOLA VISIONE DI ETTIN GWARHA
7
Il mattino seguente, Anna ricevette un’altra telefonata da Ray. Lui sembrava stanco e preoccupato.
— Ancora la stessa cosa? — domandò lei.
Lui disse di sì.
Anna andò nel suo ufficio. Il maggiore era sulla stessa sedia dell’altra volta. Ora portava orecchini d’argento: piccoli pipistrelli con le ali spiegate, lucenti alla luce del sole del mattino presto.
Anna si sedette e si sporse in avanti, dando un’altra occhiata.
Il maggiore disse: — Faccio parte di un’organizzazione che si dedica alla conservazione dei pipistrelli.
Pipistrelli?, pensò Anna.
— Sono animali utili e interessanti e Dio sa quante specie si sono estinte negli ultimi duecento anni. Abbiamo fatto cose terribili sulla Terra, signora Perez. — Tacque per un momento, pensando ovviamente a qualcosa che la faceva arrabbiare. — Nove miliardi di persone! Come abbiamo potuto? — Lanciò un’occhiata a Ray, dietro la sua grande e imponente scrivania come dietro a una barricata. — Può andare, Sab Medawar. La ringrazio per l’aiuto.
Ray aprì la bocca, poi la richiuse e si alzò. Dopo che la porta si fu chiusa, il maggiore guardò Anna. — Nicholas Sanders è venuto a cercarla.
— Sì.
— Ha idea del perché?
Anna ci pensò sopra un momento. — Posso dirle cosa mi ha detto. Voleva informazioni sulla mia ricerca, e fare una passeggiata in compagnia.
Il maggiore mosse la testa, mettendo da parte il problema. — Le persone non hanno sempre delle buone ragioni per quello che fanno. Certo non hanno sempre ragioni che noi riusciamo a comprendere. Le chiedo il suo aiuto nel trattare con quest’uomo.
— Perché?
— È possibile che non venga più a farle visita. Se lo facesse, vorremmo che si portasse dietro un registratore e che ci facesse un rapporto. La sua vita è l’osservazione; ci interesserebbe quello che pensa di vedere.
— Perché dovrei aiutarla?
Il maggiore guardò uno schermo che aveva su un ginocchio. Premette un pulsante. — Mi piace fare liste di tutto. Mi sono venute in mente tre ragioni. Aiuterà il suo governo e la sua specie. Il suo campo è l’intelligenza non umana; e l’unico, indiscutibile esempio di intelligenza non umana… — Fece una pausa e rimase in ascolto. — …vola sopra di noi, proprio in questo istante. I hwarhath. Molte delle informazioni su di loro sono protette. Io posso accedere a qualcuna di esse per lei. Non potrà renderle pubbliche ma ne sarà a conoscenza.
— La cosa mi tenta molto — disse Anna.
— La ragione numero tre è la sua medusa. — Il maggiore tacque di nuovo. — Ci troviamo di fronte a un dilemma, in questa zona. Se a Sanders interessano quelle creature, allora deve essere interessata anche la gente per cui lavora e, se lo è, allora forse le informazioni su di loro sono strategiche. Anche se non possiamo immaginare come. E, in ogni caso, forse dovrebbero essere protette.
— Aspetti un momento — disse Anna.
Il maggiore sollevò una mano. — Aspetti ad arrabbiarsi. Noi propendiamo per lasciare la situazione così com’è. Siamo interessati di più a Sanders.
— Quello che credo di capire — fece Anna — è che dovrei lavorare per lei per proteggere lo stato della mia ricerca. Se non lo faccio, potrebbe pensarci lei e io non potrei renderla pubblica.
Il maggiore annuì. — Esatto. Una minaccia, una fregatura per lei e un appello al patriottismo. Ecco cosa le offro.
— Devo pensarci sopra.
— È naturale — commentò il maggiore.
Anna si diresse alla porta. Alle sue spalle, il maggiore disse: — Sappiamo che ha parlato a Sanders del registratore che il marine Ling si porta dietro. Se decidesse di aiutarci, signora Perez, si ricordi che la sua lealtà dev’essere assoluta.
— D’accordo — ribatté Anna.
La giornata era mite, con pochissimo vento. Anna camminò lungo la stretta spiaggia ghiaiosa che delimitava la baia. Qualche insetto correva tra i sassi e il sole del mattino si rifletteva nell’acqua esattamente ad angolo retto. Qua e là, Anna riusciva a scorgere qualcosa di scintillante sotto la superficie. Una campana ondeggiante. Un tentacolo che si muoveva. A quell’ora, gli pseudosifonofori avevano cominciato il lento e attento rituale della rassicurazione e della… Esitò. Era giusto chiamarla seduzione?
Gli animali erano abbastanza vicini da toccarsi l’un l’altro, ora. Gli aculei-tentacoli venivano tenuti giù e, di tanto in tanto, si contorcevano. Era molto difficile per quegli animali non attaccarsi. A quel punto, ne era quasi sicura, i tentacoli dell’accoppiamento erano ancora arricciati al sicuro. Ma presto… nei giorni seguenti… si sarebbero distesi. L’attuale scambio di materiale era molto breve: e poi c’era il lungo e lento processo di svincolamento… non fisico, il che era facile e quasi immediato, ma emotivo. Stava di nuovo usando parole grosse, introspettive.
In seguito, per giorni, gli animali avrebbero ripetuto i loro messaggi di rassicurazione e le loro affermazioni di identità. Sono io. Non rappresento niente di male. Poco per volta, i colori si sarebbero sbiaditi; i ritmi avrebbero rallentato; gli schemi sarebbero diventati più irregolari; a uno a uno, gli pseudosifonofori si sarebbero trasferiti nell’oceano.
Si fermò a guardare la baia. Amava gli animali. Non sopportava l’idea di non rendere di dominio pubblico la loro esistenza. Chi era Nicholas per lei? Uno straniero, un traditore. Avrebbe detto di sì al maggiore.
Tornò velocemente in camera sua, temendo di cambiare idea, e telefonò in giro finché non trovò il maggiore.
Quando diede la sua risposta, il viso scuro si illuminò in un sorriso. — Brava. Venga alla zona diplomatica, questa sera. C’è qualcuno che voglio che incontri. Credo che le piacerà. E, signora… d’ora in poi, per quel che riguarda la nostra conversazione di questa mattina, tutto ciò che le dirò sarà confidenziale.
Anna annuì.
Andò a letto ma non riuscì a dormire. Non era una bella situazione. Si stava mettendo in qualcosa che era eticamente ambiguo e forse stupido e sicuramente al di sopra delle sue forze. Dopo un po’, si addormentò ed ebbe degli incubi in cui c’erano sempre la barca e molti tentacoli.
Fu svegliata dall’orologio. Si alzò, si fece una doccia, si vestì e andò nella zona diplomatica. La sera era ormai vicina e il cielo era abbastanza scuro per mostrare le stelle. Il centro della galassia risplendeva sopra di lei, striscia di luce pallida. Erano visibili due dei giganti gassosi: uno proprio sopra la sua testa (rossastro), l’altro sopra la zona (giallo).
La guardia alla porta aveva il suo nome. Un altro soldato la condusse nell’ufficio del maggiore: una stanza ampia, con le pareti ricoperte da un qualche cosa che non poteva essere legno ma ne dava una convincente impressione. Su una parete un ologramma della Terra, ripresa dallo spazio, con bianche nuvole che si muovevano e l’intero pianeta che ruotava molto lentamente.
Non c’erano scrivanie ma solo quattro sedie, basse e comode, messe in cerchio attorno a un tavolo. Sul tavolo, un servizio da tè d’argento e tre tazze di porcellana. Più o meno l’ultima cosa che Anna si era aspettata di vedere. Forse non era entrata nel mondo dello spionaggio. Forse quello era il Paese delle Meraviglie, oppure Oz.
Guardò il maggiore. Non si era trasformata nel Cappellaio Matto o nello Spaventapasseri, e l’ometto che sedeva nella sedia accanto era perfettamente comune.
— Questo è il capitano Van — disse il maggiore. — È uno dei nostri traduttori.
Lui si alzò, strinse la mano ad Anna e si sedette nuovamente. Il maggiore versò il tè. Era scuro. Indiano. C’era un piatto di piccole tartine. Il maggiore le offrì.
Il capitano Van disse: — Il maggiore ha uno strano senso dell’umorismo. Se lavorerà con noi, sarà meglio che lo sappia. Non tocca la qualità del suo lavoro.