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«Per far che cosa?»

«E la moglie di papà.»

«Te la raccomando. Non era nemmeno all’ospedale. Perché non c’era? Una moglie non dovrebbe stare con il marito quando è mezzo morto in un ospedale?»

«Non è mezzo morto.»

«Davvero? Tre quarti? Sette ottavi?»

«Piantala, Mel.»

«La mamma sarebbe rimasta con lui.»

«Ci hanno lasciato restare solo per cinque minuti.»

«C’è una sala d’attesa.»

«Senti, per quello che ne sappiamo, Joyce potrebbe essere rimasta tutta la notte.»

«Ci scommetto.»

«Forse sarà meglio che tu non la veda, se hai intenzione di comportarti in questo modo.»

«Mi è venuta un’idea grandiosa. Perché non vai a trovarla senza di noi? Salutala per me.»

«D’accordo.»

Raggiunsero il furgone di Bodie e salirono. Lui avviò il motore. «Dove vado?» chiese.

«A casa mia», disse Pen. «Prendo la mia auto per andare a casa di papà, così voi due potrete dormire un po’.»

«Non fa niente», intervenne Melanie. «Voglio vedere Joyce, dopo tutto.»

«Sei sicura?»

«Sono sicura. Ho un paio di domande da farle.»

Pen si girò sul sedile. Il movimento tese la camicetta, formando un’apertura fra due bottoni. Bodie vide la pelle liscia di un seno. «Per esempio?» volle sapere Pen.

«Per esempio dov’era lei quando papà è stato investito.»

«Era con lui», spiegò Bodie. «Era presente quando è stato portato al Pronto Soccorso.»

«Come mai non è rimasta ferita?»

«Lo sapremo», replicò Pen. La camicetta si tendeva sul seno. La stoffa leggera aderiva completamente al seno rotondo che aveva la forma di un disco. Bodie guardò di nuovo la pelle che si vedeva dall’apertura. «Ma non facciamole un processo», aggiunse Pen. «Joyce è la moglie di papà, a prescindere da quello che pensi di lei, papà le vuol bene, perciò dobbiamo trattarla con rispetto. Okay?»

«Penso di sì.»

Pen tornò a voltarsi sul sedile.

«Da che parte vado?» chiese Bodie guardandola in faccia, attento a non abbassare gli occhi. Il viso di lei era uno spettacolo.

«Al semaforo svolta a sinistra.»

Lui annuì, guardò nello specchietto retrovisore per controllare il traffico e si allontanò dal marciapiede.

Si accorse di sentirsi abbastanza bene, ora, un bel cambiamento rispetto a pochi minuti prima.

Guardare Pen lo tirava su di morale.

Se ci fermiamo da lei, avrò un sacco di opportunità.

Si pentiva di aver nominato un motel. Era abbastanza chiaro che Melanie preferiva alloggiare in un motel piuttosto che nell’appartamento di sua sorella.

Funzionerà, pensò Bodie.

Dirò che non c’era posto.

Tranne Pen che dava istruzioni occasionali sulla direzione da seguire, le sorelle rimasero silenziose durante la corsa. Bodie ne dedusse, che entrambe stavano riflettendo sulla situazione, chiedendosi come il loro padre s’era fatto investire e se sarebbe guarito. Forse ricordavano i momenti che avevano trascorso assieme a lui.

Melanie aveva qualcosa di più di una tragedia su cui riflettere. Aveva anche il suo fardello di colpa.

Melanie aveva portato rancore al padre, lo biasimava per la morte della madre, si era accanita contro di lui quando aveva sposato Joyce.

Probabilmente desiderava di non esser stata così dura.

«Ora svolta a destra», disse Pen.

Bodie seguì l’indicazione. Si trovavano a San Vicente, l’aria che entrava dal finestrino abbassato era più fresca di qualche minuto prima. Bodie pensò che si stavano avvicinando all’oceano, sebbene non se ne vedesse nessun segno.

La strada aveva un’ampia striscia erbosa nel mezzo, probabilmente riservata agli appassionati di jogging.

Dev’essere fantastico per i polmoni, pensò Bodie, correre in mezzo a una strada trafficata.

«Meglio che rallenti», lo avvertì Pen. «Ci siamo quasi e non si vede la strada finché non ci sei sopra.»

Bodie controllò lo specchietto e rallentò. La zona era circondata da boschi. Non vedeva ancora la strada.

Mise la freccia, premette leggermente il freno e notò la strada laterale nascosta fra alberi e cespugli. Svoltò. Proseguì sul viale a corsia unica. Sebbene non vedesse case, notò le tracce: tratti di recinti visibili dietro i cespugli, cassette per le lettere sui paletti, di tanto in tanto un garage, un viale d’ingresso con un cancello, poche auto parcheggiate per metà sulla strada. Dovette sterzare per evitarle.

Tutte auto di lusso: una Jaguar, una Porsche, una Ferrari, una Mercedes che sembrava immensa e fuori posto fra le snelle auto sportive.

«Puoi fermarti dietro la Mercedes», suggerì Pen.

A proposito di note stonate… il suo furgone fra quei veicoli stratosferici. La gente avrebbe pensato che apparteneva a qualche domestico. O a un ristorante con servizio a domicilio. Un party in casa Conway.

Una veglia.

Fermò l’auto sulla destra, il più lontano possibile dalla strada. I cespugli graffiarono il fianco della vettura. Era ancora abbastanza vicino al centro del viale, ma non più alla Mercedes.

Bodie saltò giù. Invece di uscire schiacciandosi contro la portiera del sedile del passeggero, Pen volteggiò le gambe sul sedile di guida e si spinse avanti. Afferrò il volante per scendere. Bodie cercò di non guardare la camicetta.

Le tese la mano. Pen la prese e lui l’aiutò a uscire.

«Grazie.»

Lui le lasciò la mano, un po’ troppo precipitosamente, forse. Melanie aveva spinto avanti lo schienale. Bodie l’afferrò gentilmente all’avambraccio e la sostenne mentre scendeva.

Passarono di fianco alla Mercedes grigia. Melanie la guardò corrugando la fronte.

Vicino al muso dell’auto c’era una cassetta per le lettere come le altre lungo la strada. Questa portava il nome CONWAY a lettere metalliche nere.

Attraverso un’apertura fra i cespugli si vedeva un cancello di legno. Più avanti, sulla strada, in una breccia nel fogliame si intravvedeva un garage. La porta chiusa del garage era solo a poco più di un metro dalla strada.

Dev’essere un bel casino uscire a marcia indietro, pensò Bodie.

Pen, che faceva strada, aprì il cancello centrale. Lo attraversò seguita da Melanie. Ultimo Bodie, che lo chiuse.

Il prato era un magnifico tappeto d’erba, per la maggior parte nascosto dagli alberi, che bloccavano la vista del piano superiore della casa. Il vialetto fiancheggiava una piccola fontana di cemento. Al centro della fontana un cherubino con un malizioso sorriso, vestito di niente. L’acqua sgorgava dal pene del cherubino.

Bodie si chiese se fosse stata un’idea di Whit. Era il simbolo, pensò, di una classe aristocratica e sofisticata, oppure di una persona dotata di senso dell’umorismo. Meglio quest’ultima ipotesi, concluse.

La casa di stucco bianco aveva l’aspetto di una hacienda. Un portico vi correva tutt’intorno, riparato da un piccolo tetto di regole rosse. Alcuni vasi di fiori erano sospesi al soffitto con le funi. Dietro i vasi alcune sedie di ferro battuto e una panca, che non doveva essere molto comoda, ma offriva una nota di allegria. Grandi finestre si aprivano ai lati della porta d’ingresso.

Pen salì sul portico e suonò il campanello.

La porta fu aperta da una giovane donna con la faccia segnata dal dolore, che rimase a bocca aperta. «Oh, tesoro!» esclamò e gettò le braccia al collo di Pen. Dopo un rapido abbraccio e un bacio sulla guancia, la donna parve notare l’altra sorella. «Melanie?»

Melanie ricevette abbraccio e bacio restando immobile con le braccia penzoloni. Non oppose resistenza, li accettò come una bambina salutata da una parente lontana e noiosa.

Concluse le effusioni, Joyce scosse la testa. «È terribile. Sono contenta che siate qui.»