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«Melanie è arrivata ieri sera», spiegò Pen. Si guardò attorno e soggiunse: «Questo è il suo ragazzo, Bodie».

«Lieto di conoscerla», disse Bodie e si fece avanti per stringere la mano della donna.

La matrigna aveva l’età giusta per essere una sorella maggiore e aveva i lineamenti e il fisico da modella. In quel momento portava una tuta sportiva bianca allacciata in vita. La tuta aveva tasche con la lampo ai seni e alle cosce, e una più lunga sul davanti. Ciascuna lampo aveva una linguetta dorata.

La donna aveva una sottile catena d’oro al collo.

Era leggermente abbronzata, aveva guance rotonde, grandi occhi e sottili sopracciglia, un po’ più scure dei capelli biondi. I capelli erano tagliati alla maschietta e mettevano in mostra le orecchie. Portava dei grandi orecchini.

Whit, era chiaro, era stato un uomo molto fortunato, prima di quella notte.

«Entrate, vi prego», invitò Joyce.

Precedette gli ospiti attraverso un foyer a mattonelle rosse. Nonostante la tuta fosse comoda, la donna camminava tendendo la stoffa sulle natiche.

Nel soggiorno un magnifico tappeto dello stesso color borgogna della camicetta di Pen. Sul divano era seduto un uomo, che si alzò quando entrarono.

Melanie si fermò di botto.

«Harrison», disse Pen a voce bassa.

«È stato un tesoro in questa occasione», intervenne Joyce.

«Pen», disse l’uomo, poi prese la mano della ragazza e le diede un colpetto. «Mi dispiace tanto.»

Lei ritrasse la mano.

Harrison si rivolse a Melanie, scuotendo la testa. Le prese la mano e gliela strinse. «Una cosa terribile», mormorò. «Terribile.»

«Questo è il ragazzo di Melanie, Dobie», presentò Joyce.

«Bodie», la corresse lui e strinse la mano a Harrison.

L’uomo aveva una stretta salda. Era più alto di Bodie. Magro, ma con solidi muscoli sotto la polo. Bodie gli strinse la mano un po’ più energicamente del necessario. «Harrison Donner», si presentò l’altro. «Sono il socio di Whit e un vecchio amico di famiglia.»

Il vecchio amico di famiglia non doveva avere più di trent’anni.

«Lieto di conoscerla», disse Bodie, infondendo alla sua voce un vigore eccessivo.

L’uomo aveva un atteggiamento sicuro e calmo, ai limiti dell’arroganza.

Sono sicuro che è un individuo formidabile, pensò Bodie. Un vero uomo.

Senza dubbio era il proprietario della Mercedes parcheggiata fuori, sebbene una Porsche sembrasse più appropriata.

«Perché non ci sediamo e ci mettiamo comodi?» suggerì Joyce. «Vado a preparare il caffè.» La donna uscì.

Harrison riprese il suo posto sul divano. Pen si guardò attorno nella stanza finché lui fu seduto, poi andò all’estremità opposta del divano. Bodie prese posto su una poltroncina imbottita. Melanie sedette sul tappeto ai suoi piedi. Gli appoggiò un braccio sul ginocchio e lui glielo accarezzò.

«Siete stati all’ospedale?» s’informò Harrison.

«Sì», rispose Pen.

«Joyce e io abbiamo assistito all’operazione. Lei si è comportata proprio bene, date le circostanze.»

Con l’altra mano, Melanie coprì quella di Bodie, e la premette dolcemente.

«Eri presente all’incidente?» volle sapere Pen.

Harrison scosse la testa. «Joyce mi ha telefonato dal Pronto Soccorso. Prima ti aveva chiamato, ma evidentemente non c’era in casa nessuno, perciò ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Aveva bisogno di avere vicino qualcuno.»

«Perciò ha chiamato te», osservò Melanie.

«Tu non eri disponibile, signorina. Infatti Joyce ti ha chiamato al numero di Phoenix, ma inutilmente.»

«Probabilmente eravamo già in viaggio», disse Bodie.

Harrison parve perplesso.

Entrò Joyce con un vassoio d’argento. Lo posò sul tavolino davanti a Harrison e cominciò a versare il caffè nelle tazzine. Compiuta l’operazione, chiese chi voleva latte e zucchero. Nessuno. Lei distribuì le tazzine. Tremava tanto da farle sbattere sui piattini.

Ne prese una per sé e sedette su una sedia accanto a Pen, lontano da Harrison quanto lo permetteva la disposizione dei mobili.

Per Bodie, la scelta aveva un significato di colpevolezza.

Chiaro che la donna immaginava che impressione avesse fatto alle due sorelle trovarla in casa con Harrison.

Bodie si sentì dispiaciuto per lei.

Harrison aveva sempre un’espressione perplessa. Si rivolse a Pen. «Fammi capire se afferro la sequenza degli avvenimenti. Melanie e il suo ragazzo erano già in viaggio per Los Angeles quando Joyce ha tentato di telefonare. Pertanto, tu hai telefonato a tua sorella con la notizia dell’incidente. Dimmi, allora, dove sei stata fino allora? Non eri preoccupata delle condizioni di tuo padre?»

«Harrison, smettila», intervenne Joyce.

Pen parve grata per l’aiuto inaspettato. «Il fatto è», disse, «che non ho ricevuto il messaggio fino a stamattina.» Corrugò la fronte in direzione di Harrison. «Non capisco perché ne discutiamo. Quello che conta in realtà è papà. Voglio dire, Mel e io non sappiamo neppure come è stato investito.» E rivolgendosi a Joyce soggiunse: «Eri con lui?»

La donna annuì.

«Di questo ne parleremo a suo tempo», riprese Harrison. «Vorrei capire come Melanie ha saputo dell’incidente, se tu non glielo hai detto ieri sera.»

«Perché t’interessa tanto?» domandò Melanie.

«Diciamo che le incoerenze mi impensieriscono. Sono un avvocato, dopo tutto. Dedico la maggior parte del mio tempo ad analizzare le incoerenze. È così che si scopre la verità.»

«Vuoi la verità?»

Harrison annuì.

«L’ho visto accadere.»

«Oh!»

«Ho avuto una visione.»

«Fammi capire, stiamo parlando di telepatia o cose del genere?»

«Esatto», confermò Melanie.

«E la tua visione ti ha spinto a compiere questo lungo viaggio?»

«Prima ha telefonato», intervenne Bodie. «In casa non c’era nessuno.»

Harrison si sporse in avanti, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e fissò la ragazza. «Sorprendente», disse. «A che ora hai avuto la visione?»

Melanie si strinse nelle spalle.

«Fra le cinque e le nove», rispose per lei Bodie. «Vale a dire fra le quattro e le otto, ora del Pacifico.»

Harrison inarcò un sopracciglio e guardò Joyce.

«È proprio quando è successo», confermò Joyce. Sembrava leggermente spaventata.

«Che cosa hai visto, esattamente?»

«Ho visto papà che veniva investito da un’auto.»

«Puoi descrivere la macchina?»

«Credo di no.»

«Il conducente?»

Melanie scosse la testa.

«Peccato che la tua visione non fosse più dettagliata. Queste informazioni non sarebbero da tenere in considerazione, ma se si potesse stabilire l’identità del guidatore, potremmo trovare prove sufficienti a inchiodarlo. Detesto l’idea che qualcuno se la cavi dopo quanto è accaduto.»

Pen si rivolse a Joyce. «Tu eri là. Hai visto che cosa è successo?»

«Non molto bene. Era buio e pioveva. Quello che so per certo è che si trattava di un’auto sportiva. Non mi ricordo neppure il colore.»

«Non hai preso il numero di targa?»

«È successo così in fretta.»

«Come è successo?» volle sapere Melanie.

«Eravamo andati a cena da Gerard’s

«Un locale di Beverly Hills», spiegò Harrison. «Sul Cañon.»

Pen annuì. «Ci sono stata. È il ristorante preferito di papà.»

«Ci siamo andati quest’anno per il tuo compleanno», riprese Joyce. «Ti ricordi dove aveva parcheggiato?»

«Nel parcheggio della banca di fronte.»

«È là che ha parcheggiato ieri sera. Mette sempre la macchina in quel punto, quando andiamo da Gerard’s.» Joyce guardò Harrison. «Whit preferiva percorrere qualche isolato a piedi piuttosto che lasciare l’auto nelle mani di un addetto al parcheggio.»