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«Maledizione!» masticò Melanie.

«Peccato che non sia andato a messa con Joyce», commentò Bodie.

La casa di Harrison, a differenza di quelle dei vicini, era una costruzione a un piano stile ranch. Sembrava più moderna delle altre. Mattoni rossi, il tetto a tegole pure rosse, davanti alla Mercedes un cancello di ferro battuto.

La testa di Pen bloccò la visuale di Bodie quando lei si sporse fra i sedili per guardar fuori dal finestrino di Melanie. Quando si tirò indietro, avevano già superato la casa.

«La Porsche dev’essere in garage», concluse Pen.

«Allora che facciamo?» domandò Bodie.

«Non possiamo far niente mentre lui è in casa.»

«Perché non andiamo a far colazione?»

«D’accordo.»

Bodie si fermò all’angolo, diede la precedenza a una Mustang, poi mentre attraversava l’incrocio vide ferma vicino al marciapiede una Lincoln Continental. Il cuore diede un balzo.

«Mio Dio!» ansimò Melanie.

Bodie frenò di colpo.

Pen tornò a sporgersi avanti. «È la macchina di papà.»

«Sei sicura?»

«Quel portapipe sul cruscotto. Gliel’ho regalato io qualche anno fa per Natale.»

Bodie scosse la testa. «Dunque qualcuno non è a messa.»

«Miserabile puttana», sibilò Pen. «Gli fa le corna con… Oh, che squallida storia…»

«Io l’ho sempre saputo.» Melanie sembrava orgogliosa di se stessa.

«Dio, se papà lo sapesse, ne morirebbe. Come può fargli una cosa simile?» Pen si tirò indietro. «Voglio andare a casa», decise con un filo di voce.

Bodie ripartì.

«Non a casa di quella puttana», dichiarò Pen tirando su con il naso. «Non voglio rivederla mai più.»

Melanie sogghignò.

«A casa tua?» domandò Bodie.

«Sì, per favore.»

«E quello delle telefonate?»

«Chi se ne importa?»

14

Bodie insistè per accompagnare Pen nell’appartamento. Melanie rimase con loro. Questa volta nessun biglietto era stato lasciato sotto la porta.

«Sei sicura che starai bene?» domandò Bodie.

«Ho solo bisogno di restare sola.»

«Non capisco perché sei sconvolta, così all’improvviso», osservò Melanie. «Pensavo fossi già convinta che quei due vanno a letto insieme. Quanto è successo non fa che confermarlo.»

«Sì, è una conferma. Ragazzi, ci vediamo più tardi, d’accordo? Vi dispiace farmi il favore di portarmi la mia roba? Non voglio tornare in quella casa, a meno che vi sia costretta.»

«Certo», acconsentì Bodie. «Forse dovresti ricollegare uno dei telefoni, nel caso dovessimo metterci in contatto.»

Pen annuì.

Poi i due se ne andarono.

Pen sedette sul divano, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e affondò il mento fra le mani. Fissò la parete.

Accidenti, lei non aveva creduto che Joyce se l’intendesse con Harrison. L’aveva sospettato, naturalmente, ma non l’aveva creduto. Era terribilmente immorale.

Probabilmente in quel momento lei era nel letto di Harrison. E papà in ospedale, vivo per miracolo.

E l’avevano fatto anche ieri, sicuro. Appena tornati dall’ospedale, nel letto di papà.

Che razza di donna era Joyce?

Una donnaccia che avrebbe cercato di uccidere papà. Perché no? Una puttana del tutto priva di coscienza.

E Harrison?

Sicuro, lui.

Papà si fidava di lui, lo trattava come un figlio, credeva che avessi perso l’uso della ragione quando mi sono rifiutata di rivederlo; probabilmente sperava che ci sposassimo e non vedeva l’ora di avere dei nipotini. Quasi mi mettevo a piangere vedendo l’espressione delusa del suo viso. «Voi due siete fatti l’uno per l’altra.» Giusto, papà, ma lui è uno sporco, sadico egocentrico. Solo che non potevo dirtelo, non potendo denunciarlo per non darti un grosso dispiacere. Grave errore.

Sì, papà, Harrison, il tuo protetto, mi ha violentata. Che ne dici? E non l’ha fatto troppo gentilmente. Vuoi vedere i lividi, i segni dei denti?

Tremando, Pen si appoggiò ai cuscini del divano, ne strinse uno al petto.

Era stata una stupida a permettergli di portarla a casa sua, quella sera.

Avevano cenato da Scandia dove lui s’era mostrato affascinante e divertente. Avevano bevuto due bottiglie di champagne dopo i margarita. Lei si sentiva bene, quando erano usciti dal ristorante.

«Che cosa ci facciamo qui?» aveva chiesto Pen quando aveva visto che l’auto s’era fermata nel viale della casa di lui.

«Il falcone maltese comincia fra cinque minuti. Vuoi vederlo, no?»

«Guardiamo la televisione?»

«Prendiamo un caffè, ci rimettiamo in sesto e dopo ti accompagno a casa.»

La sua mente le aveva lanciato un avvertimento, ma lei lo aveva ignorato. Erano entrati. Pen si era seduta sul divano. Harrison era andato in cucina a preparare il caffè. Quando era tornato, s’era seduto accanto a lei. Le aveva tenuto la mano, cosa perfettamente accettabile.

Si era assentato di nuovo dopo il primo spot pubblicitario ed era riapparso con il caffè nelle tazze.

«Scommetto che non sapevi che facevo il detective privato. Un vero Sam Spade.»

«Facevi l’investigatore privato?»

«Scommetto che non lo sapevi.»

«Scommetto che non ci credo.»

Lui si era allontanato, Pen aveva bevuto qualche sorso di caffè. Lui era rientrato con una scatola da scarpe e si era seduto vicino, con la scatola sulle ginocchia. Ne aveva levato una pistola in una fondina. «La mia calibro 38 a canna mozza», aveva detto.

Eccoci qui sbronzi e lui tiene in mano una pistola. «Vediamo», aveva detto Pen. Lui le aveva dato la pistola. Lei l’aveva sfilata dalla fondina e aveva girato la canna verso la faccia.

«Ehi, attenta!»

Nel cilindro erano visibili i proiettili. «Cristo, è carica!» aveva esclamato Pen.

«Naturalmente.»

Lei aveva posato l’arma sul tavolino davanti a loro. «Hai mai sparato a qualcuno?»

«No, ma ho dovuto estrarla un paio di volte. La ditta per cui lavoravo si occupava anche di Security.»

«Dev’essere stato eccitante.»

«All’inizio sì. Poi è diventato noioso.»

Lui aveva preso dalla scatola un portafoglio di pelle e glielo aveva dato. Dentro c’era un distintivo con inciso sopra Agente Speciale. Nella custodia c’era la sua carta d’identità e l’attestazione che Harrison era un agente della Robert Abrams Private Investigations, Inc. «Magnifico», aveva detto Pen. «Dunque sei stato veramente un detective privato.»

«Per due anni, mentre frequentavo la facoltà di legge. Avevo bisogno di soldi e ho pensato che sarebbe stata una buona esperienza. Avevo anche queste.» Harrison aveva sollevato dalla scatola un paio di manette.

«Le hai mai usate?» s’era informata Pen.

«Certo. Ho eseguito un paio di arresti. Ti faccio vedere come si fa?»

«Mah, non so.»

«Ehi, vuoi fare la scrittrice, no? Devi sapere queste cose. Alzati.»

«Che cosa vuoi fare?»

«Tu sei un tipo sospetto. Ti ho appena beccato.» Harrison si era alzato puntando l’indice verso di lei, e aveva fatto scivolare in tasca le manette. «In piedi.»

Ridendo, Pen si era alzata.

«Al muro.»

«Questo è solo un pretesto per tastarmi», aveva osservato.

«Mani contro il muro.»

Lei aveva premuto le mani contro il pannello, sopra la testa.

Harrison le aveva dato un colpetto al fianco. «Non tentare di fare trucchi.»

«Hai detto proprio così?»

«Credo di aver detto: ‘Fa’ una mossa e sei morto’.»

«Peggio ancora.»

Con un piede l’uomo aveva agganciato la caviglia destra di Pen e le aveva piegato il piede. Stessa operazione con l’altro piede. Senza l’appoggio del muro, lei sarebbe caduta.