«Ti ho immobilizzata», aveva spiegato Harrison. «Ti servono tutte e due le mani per tirarti su.»
«Vero.»
Lui le aveva cacciato un dito contro la schiena e aveva cominciato a palpare con la mano sinistra.
Ci siamo, aveva pensato Pen. «Non lasciarti trasportare eccessivamente, eh?»
«Devo assicurarmi che non sei armata.»
Harrison le aveva passato le mani sui fianchi e sulle gambe. Non le aveva sfiorato i seni, né l’inguine e il posteriore. Pen era impressionata. Forse l’ho giudicato male, aveva pensato. Forse è un bravo ragazzo, dopo tutto.
«Va bene, sei pulita», aveva confermato lui. Poi le aveva fatto scattare un bracciale attorno al polso destro e le aveva piegato il braccio dietro la schiena. Aveva abbassato il braccio sinistro di Pen scostandola dalla parete e aveva fatto scattare l’altro bracciale attorno al polso. «Qualche domanda?»
«Hai una chiave per le manette?» aveva chiesto lei e si era voltata.
E aveva visto l’espressione della sua faccia.
«Ora la prigioniera è sotto il mio controllo.»
«Harrison.»
«Sei in arresto.»
«Lasciami andare.»
«Uh, uh.»
Lei era indietreggiata contro la parete. «Non farlo.»
Lui aveva allungato il braccio per abbassarle le spalline dell’abito da sera.
«Guarda che mi metto a urlare.»
«E io ti caccio qualcosa in bocca, così ti sarà difficile respirare. Rilassati.» Le spalline si erano allentate, lui le aveva abbassate denudandole i seni. Aveva gli occhi vitrei, la faccia arrossata. Aveva tirato l’abito di Pen finché era scivolato ai piedi. Lui si leccava le labbra e le stringeva i seni.
«Ti farò arrestare», aveva sibilato Pen con voce tremante. «Sarai radiato dall’albo.»
«Balle. Lo sanno tutti che esci con me. Sei venuta qui dopo una lussuosa cena. Chi crederà che sei stata costretta?» Le mani di Harrison scivolavano sul corpo di lei, le dita si erano infilate sotto l’elastico delle mutandine.
«Bastardo!» Lei gli aveva sferrato una ginocchiata; ma aveva fallito il bersaglio, colpendolo alla coscia.
Lui aveva lanciato un grido, era barcollato all’indietro, poi si era lanciato verso di lei spingendola con una spalla contro il muro. Un pugno era calato sul ventre di Pen. Con il fiato mozzo, lei si era piegata in due.
Poi s’era ritrovata sul pavimento, intontita e ansante mentre lui le toglieva le mutandine. «È giunto il momento, baby», aveva mormorato Harrison. «È ora.» Le aveva sfilato le mutandine. «È ora di pagare, baby. Non puoi menare per il naso un poveraccio in eterno.» Lui s’era slacciato la cintura. «Un uomo non è fatto di legno. Che ci vuole? Non sono abbastanza bello per te? Sei lesbica? È così?» Lui aveva gettato da parte i pantaloni.
«Bastardo.»
«Sono io, sono io.» Harrison si era abbassato gli slip e li aveva sfilati. «E tu chi sei? Un fottuto iceberg. Che cosa ci vuole per farti abbassare le mutande? Un atto del Congresso?» Lui aveva riso bruscamente. «Le manette, ecco che cosa ci vuole.» Le aveva allargato le gambe con un calcio, si era messo in ginocchio e s’era strappato di dosso la camicia.
«Non farlo!» lo aveva supplicato Pen.
«È ora di pagare, baby. Ti fotto fino a farti saltare il cervello. E vuoi sapere una cosa? Ti piacerà. Sicuro. Quando è stata l’ultima volta che ti è saltato il cervello?»
«No!»
Che cosa aveva detto? Saltare il cervello.
L’aveva detto realmente? La stessa frase che aveva pronunciato l’individuo al telefono.
Pen sentì le lacrime spuntare agli angoli degli occhi.
Era appoggiata all’indietro sul divano, i denti serrati, il cuscino schiacciato contro il petto, le gambe così unite da farle male. Si raddrizzò. Si asciugò gli occhi con la manica della camicetta. Una lacrima le era scivolata nell’orecchio destro. Avvolse la punta di un dito nel lembo della camicetta e si asciugò l’orecchio.
Cristo, lo stupro.
Harrison si era poi profuso in mille scuse. Quella notte stessa e la mattina dopo al telefono. Le aveva perfino mandato una dozzina di rose rosse. Pen sapeva che non provava nessun rimorso; aveva solo paura che lo denunciasse.
Ero ubriaco, non sapevo quello che facevo.
Lo sapevi, eccome.
Saltare il cervello.
Poteva essere Harrison quello che aveva telefonato venerdì sera? La voce non sembrava la sua. Forse l’aveva camuffata.
Ma perché chiamarla? Lui e Joyce…
Non era lui, concluse Pen.
Sei sicura?
Andò in bagno. Si soffiò il naso. Allo specchio, i suoi occhi erano arrossati, le palpebre gonfie. A un tratto li socchiuse.
Si affrettò nello studio. La cassetta era ancora inserita nella segreteria telefonica da quando Melanie e Bodie ve l’avevano lasciata. Riavvolse il nastro e lo azionò.
Ascoltando la voce, rivide mentalmente Harrison che si inginocchiava sopra di lei, nudo. Le si serrò lo stomaco, le martellava il cuore. Le gambe si piegavano. Lei era sul pavimento, Harrison la penetrava mordendola, le braccia ammanettate dietro la schiena doloranti, le parole oscene le riempivano la testa.
Poi risuonò la voce di Joyce. Pen spense la segreteria telefonica e si lasciò cadere sulla sedia della scrivania.
La voce non suonava affatto come quella di Harrison.
L’uomo delle telefonate oscene, lo stesso che aveva lasciato il biglietto sotto la porta, non era Harrison.
Ma aveva l’anima sporca di Harrison.
«Va’ all’inferno, bastardo», mormorò Pen.
Bodie finì di leggere il rapporto e lo passò a Melanie. L’agente dall’altra parte della scrivania era occupato al computer. Batteva velocemente i tasti con aria efficiente. Ben diverso dal poliziotto che batte a macchina con due dita, pensò Bodie. Ma già, qui siamo a Beverly Hills. Evidentemente i poliziotti di qui non assomigliano agli altri.
Quando Melanie ebbe finito di leggere, posò il rapporto sulla scrivania dell’agente. Lui piroettò sulla sedia girevole e li guardò. «Avete trovato quello che cercate?» domandò con voce gradevole.
Sembrava più giovane di Bodie.
«C’era soltanto quell’unico testimone?» s’informò Bodie.
«La moglie? Lei è l’unica di cui siamo al corrente, per il momento.»
«Che succede adesso?» volle sapere Bodie.
«Abbiamo diramato una comunicazione a tutte le autofficine di Los Angeles e Orange County. Sono state avvertite di comunicarci subito se un’auto sportiva viene lasciata per una riparazione alla parte anteriore del veicolo. Inoltre stiamo controllando i furti d’auto. Se un automobilista è coinvolto in un incidente e fugge, di solito la prima cosa che fa è quella di denunciare il furto della sua macchina.»
«Logico», commentò Bodie.
«Abbiamo ricevuto più di due dozzine di denunce di auto rubate dal giorno dell’incidente e stiamo esaminandole. Credo che ci sia una buona possibilità che una di queste risulti essere il veicolo che ha investito il signor Conway.»
«Lo spero», disse Bodie e guardò Melanie.
«Suppongo che sia tutto», convenne Melanie e si alzò. «Grazie dell’aiuto.»
«Sono qui per questo. Se possiamo esservi utili, non esitate a telefonare o a venire.» L’agente tese a Melanie il suo biglietto da visita, lei lo guardò e annuì.
«Perché non gliel’hai detto?» domandò Bodie mentre attraversavano il parcheggio.
«Non era nelle mie intenzioni.»
«Ma loro avrebbero potuto accentrare le indagini su Harrison.»
«Che dovevo dire? Che so che è stato quel bastardo perché io sono dotata di facoltà mediamene?»
«Potevi almeno dirgli che Harrison e Joyce hanno una tresca.»
«Potevi dirglielo tu.»
«Non mi sembrava che spettasse a me tirar fuori qualcosa del genere. Voglio dire, si tratta della tua famiglia. Se volevi che si sapesse, era l’occasione buona.» Bodie aprì la portiera per Melanie, girò attorno al veicolo e salì al posto di guida.