Bevve un sorso.
Che cosa starà facendo ora? Era uscita a cercare un nuovo appartamento? Stava chiedendosi perché loro non s’erano ancora fatti vedere con la sua roba?
Ehi, sono bloccato qui. Ti avrei portato la tua valigia, se avessi potuto. Fra l’altro, preferirei trovarmi lì con te, invece che qui.
Appena torna Melanie.
Lei si tiene nascosta laggiù finché le si presenta un’occasione per sgusciare fuori.
Naturalmente loro potrebbero prenderla.
Potrei andare laggiù a piedi. Non ci vorrebbe più di mezz’ora.
O telefonare a Pen. Lei ha l’auto. Andiamo da Harrison e poi che cosa? Bussiamo alla porta e chiediamo se c’è Melanie? Davvero ingegnoso.
Ma il pensiero di telefonare a Pen gli accelerò il battito del cuore. Poteva riferirle di Melanie. Potevano discutere insieme la situazione. Forse lei sarebbe venuta lì. Soli in casa. Oh, piantala, ordinò a se stesso.
Sarà meglio chiamarla.
Posò la bottiglia di birra sul tavolo e rientrò in casa. Compose il numero dell’Ufficio Informazioni, diede il nominativo di Pen all’operatore e sentì la voce registrata che trasmetteva il numero. Lo scrisse su un foglietto e lo compose.
Lasciò squillare il telefono dieci volte, poi riagganciò.
Uscì di nuovo e sedette al sole. Bevve un po’ di birra e mise giù la bottiglia. Poi chiuse gli occhi.
Poteva chiamare un taxi e farsi portare da Pen. Era un’idea.
Ciao, ho fatto una scappata per vedere come stai. Melanie? Oh, è nascosta in casa di Harrison a raccogliere indizi.
Pen, incapace di leggere dopo essere tornata dalla lavanderia, aveva acceso il televisore e sedeva fissando lo schermo, la mente concentrata su pensieri confusi. Le telefonate, suo padre, il fucile, cambiare casa, Joyce e Harrison che tradivano suo padre e forse tentavano di assassinarlo, la visione di Melanie, Bodie nella sua camera la sera prima, la gelosia di sua sorella.
Poi era scattato il timer e lei era dovuta scendere di nuovo nella lavanderia.
Il fucile era fuori questione, perciò aveva portato con sé un lungo coltello avvolto in un asciugamano sotto il braccio.
Mentre trasferiva la biancheria umida dalle lavatrici alle asciugatrici, si era aspettata di vedere Manny sgusciare nello stanzone, per aggredirla stavolta, ma lui non s’era visto.
Ora aspettava di nuovo. Il ciclo dell’asciugatrice sarebbe finito fra poco e lei sarebbe dovuta tornare nella lavanderia. L’asciugamano con il coltello giaceva sul tavolo davanti a lei. Non sarebbe andata giù senza il coltello.
Forse Manny era solo uno sbruffone. Non aveva fatto nessun tentativo.
Forse dovrei lasciare il coltello.
Ma Manny era eccitato, si vedeva, voleva saltarmi addosso. Se avessi mostrato il minimo interesse, mi avrebbe sbattuta sul pavimento e…
Manny non è l’uomo delle telefonate.
Manny non ha fatto scivolare il biglietto sotto la porta.
Manny ti affronta nella lavanderia seminudo, e tenta di impressionarti. Non è il tipo che fa telefonate anonime.
Pen si appoggiò allo schienale del divano e corrugò la fronte allo schermo del televisore.
Aveva provato un certo conforto nel credere che si trattava di Manny. Lui era reale, lo conosceva, un nemico contro cui proteggersi. Non ,una presenza senza volto, non un estraneo qualsiasi che la perseguitava. Meglio Manny con il suo sogghigno e gli short da ginnastica gonfi davanti…
S’irrigidì all’improvviso squillo di un campanello.
Voglio venire…
Non era il telefono, era il timer.
Pen si alzò, si batté la mano sulla tasca dei calzoncini per assicurarsi di avere le chiavi, poi prese l’asciugamano con dentro il coltello. Si cacciò l’asciugamano sotto il braccio, prese il cesto della biancheria e uscì di casa.
Le tende di Manny erano scostate. Lei non lo vide a nessuna finestra, ma questo non provava niente; poteva restarsene indietro di pochi passi, nascosto nella penombra di una stanza, osservandola senza farsi vedere.
Si affrettò lungo la balconata e giù per le scale. Passando davanti alla piscina sentì della musica che usciva da un appartamento. Un segno di vita. Rassicurante.
Aveva lasciato lo stanzone della lavanderia chiuso a chiave e lo trovò chiuso quando lo raggiunse.
Naturalmente, Manny aveva la sua chiave.
Pen posò il cesto, frugò in tasca e tirò fuori le chiavi. Aprì la porta e sbirciò dentro.
Nessuno.
Accese la luce. Poi spinse il cesto con il piede attraverso l’uscio e si chiuse dentro.
L’asciugatrice girava ancora.
Lei l’aveva programmata per un’ora.
Avrebbe dovuto fermarsi cinque minuti prima.
Raccolse il cesto e si avvicinò alla macchina. Il timer indicava che mancavano quattro minuti.
Devo aver sbagliato a programmare il timer in cucina, concluse Pen.
Così, oppure qualcuno è stato qui e ha trafficato con il quadrante della macchina.
Sono diventata paranoica, devo piantarla.
Chinandosi, piegò le dita sulla maniglia dello sportello dell’asciugatrice. A un tratto, ebbe paura di aprirla.
Dentro potrebbe esserci qualsiasi cosa.
Magari un gatto morto? Con un biglietto legato alla coda: «Che ne dici del gattino?»
Stai perdendo la testa, Pen.
Si costrinse ad aprire lo sportello. La macchina era ferma; e lei respirò alla vista di un lembo di un lenzuolo.
Si accovacciò e guardò nel cestello buio. Sembrava che non ci fosse niente tranne la biancheria.
Allungò il braccio nell’interno e afferrò la stoffa calda con tutte e due le mani.
Niente le si aggrappò alle dita.
Certo che no.
Non c’era niente di strano, tranne che nella sua mente.
Pen sollevò un mucchio di panni e li lasciò cadere nel cesto.
All’inferno, pensò mentre allungava di nuovo il braccio. Ci sono un sacco di cose che non vanno, il mondo intero non va.
Ma nessuno mi ha lasciato un regalo.
Almeno lo spero.
Finì rapidamente di svuotare il cestello della macchina.
Mise l’asciugamano con il coltello sopra al mucchio di panni, sollevò il cesto e si affrettò a uscire dalla lavanderia.
Metà piscina era in ombra, ma lei camminò sotto il sole e scosse la testa.
Un gatto morto nell’asciugatrice.
Topi famelici.
Dio santo, le cose sono già abbastanza brutte senza che io mi inventi delle sorpresine.
Raggiunse le scale.
Quasi al sicuro.
Mentre le saliva immaginò Manny che la guardava dalla finestra.
Lui è l’ultima delle mie preoccupazioni, pensò Pen. È un verme, non è quello delle telefonate. Posso manovrarlo.
Fu tentata di guardarsi attorno mentre percorreva la balconata, ma se Manny la stava osservando, proprio non voleva saperlo. Aprì la porta, entrò in casa e chiuse l’uscio con la schiena.
Salva.
La serratura scattò dietro di lei. I telefoni erano staccati. Il fucile sotto il letto.
Nessuno può farmi del male, ora.
Pen tirò un lungo e profondo sospiro cercando di calmarsi, poi portò il cesto nella sua camera e lo rovesciò sul materasso.
Cominciò a dividere la biancheria: lenzuola e federe da una parte, un altro mucchio per gli indumenti da stirare. Un terzo mucchio per la biancheria intima. Compiuta l’operazione, prese i reggiseni e li piegò accuratamente nel cassetto. Poi fu la volta delle mutandine. Tranne quel paio di vecchie mutandine bianche che aveva indossato a letto quel famoso venerdì sera, gli indumenti erano nuovi e colorati. Rosse, azzurre, rosa, color lavanda.
Mancavano le mutandine nere.
Sapeva di averle messe in lavatrice.
Perciò, dov’erano?
Frugò fra le altre pile di panni, pensando che le mutandine nere fossero rimaste impigliate in una camicetta o in un lenzuolo. Non c’erano. Controllò il cesto, il pavimento accanto al letto. Poi guardò ancora una volta fra i panni, più attentamente stavolta, sollevando ogni indumento e scuotendolo, sperando che le mutandine saltassero fuori.