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«Potremmo dormire a turno», suggerì Pen.

«Non mi va molto l’idea», confessò Bodie. Poi si scusò e si diresse verso il corridoio.

Mentre era fuori, probabilmente in bagno, Pen finì di preparare il caffè. Dopo di che portò una sedia della cucina alla porta d’ingresso e la sistemò contro la porta, con lo schienale sotto la maniglia. Proprio come venerdì sera, pensò, e ricordò il terrore della mattina dopo quando aveva visto un braccio infilarsi dall’esterno per scostare la sedia. Era stato Bodie e lei l’aveva accoltellato.

«Non credo che quella sedia impedirà a Mel di uscire», osservò Bodie entrando in soggiorno.

Pen gli sorrise. «Oh, accidenti.»

«A che cosa serve?»

«Giusto nel caso…»

«Hai paura che Harrison faccia qualcosa?»

«Ne dubito. Ma non si sa mai.»

«Sei la persona più prudente che abbia mai conosciuto.»

«Con un pizzico di paranoia», replicò Pen. «Dev’essere una malattia di famiglia.»

Bodie sedette in fondo al divano. «Un orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno e anche i paranoici hanno dei nemici.»

«Qualche volta nemici immaginari. Se pensi che ieri ti ho preso a coltellate.»

«Un graffio.»

«Per fortuna. Ma questo dimostra che cosa può succedere se uno perde il controllo.»

«Diavolo, io cercavo di entrare per forza. Tu non sapevi chi era, perciò direi che l’attacco era giustificato.»

«Giustificato, forse, ma comunque è stato un errore. Il caffè dev’essere pronto.»

Pen andò in cucina, riempì due tazze e le portò in soggiorno. Ne diede una a Bodie. «Hai dato un’occhiata a Melanie?»

«Dorme.»

«Bene. Devo andare a prendere una cosa.» Pen posò la tazza sul tavolo e andò nella sua camera. Le tende tirate tenevano fuori la fioca luce della sera. Melanie era una vaga forma sul letto. Pen si avvicinò. Sentì il suo respiro lungo e regolare.

Dorme come un sasso.

Con quel sonnifero non si sarebbe svegliata per parecchio tempo.

Pen pensò a suo padre in coma.

Sono stata io ad addormentare Melanie.

Lei si sveglierà, papà no.

Sì che si sveglierà. Deve svegliarsi.

Si accovacciò e prese il fucile da sotto il letto. Lo portò in soggiorno. Bodie sbarrò gli occhi. «Che c’è, hai paura?» disse lei.

«Dio santo!» esclamò Bodie. «Di certo mi guarderei bene dal farti arrabbiare.»

«Giusto. Sono una ragazza cattiva.»

«Posso vederlo?» chiese Bodie.

«Certo. Guarda che è carico.»

«Non servirebbe, altrimenti.»

Lei gli consegnò il fucile, poi prese la tazza del caffè e sedette all’altra estremità del divano. Si voltò sul fianco per guardarlo in faccia e sollevò le gambe contro il cuscino dello schienale.

«È una meraviglia», disse Bodie. Imbracciò l’arma e prese la mira, abbassò il fucile sulle ginocchia e sfregò il calcio di legno. «Veramente bello.»

«L’ho comperato stamattina.»

«Calibro 12?»

Pen annuì. «Con proiettili speciali magnum.»

«Ottimi. Meglio che Harrison non ti incontri sul suo cammino.»

«Non pensavo a lui quando l’ho acquistato», confessò Pen e bevve un po’ di caffè mentre Bodie si voltava a guardarla.

«Pensavi a quello delle telefonate?»

«Sì.»

«Me n’ero quasi dimenticato. Con tutto quello che sta succedendo…»

«Vorrei scordarmene anch’io», disse lei e bevve altro caffè.

«Sarà meglio che sistemi il fucile da qualche parte.» E posò la tazza sul tavolo.

Bodie si chinò di fianco e le diede il fucile.

Lei si alzò. «Voglio tenerlo a portata di mano, nel caso.»

«Tu non vuoi che Melanie lo trovi», precisò Bodie.

«Si vede che sai leggere nel pensiero.» Pen appoggiò il fucile contro la parete fra la porta d’ingresso e l’estremità del divano, dietro la tenda. Poi tirò il cordone. Le tende si richiusero. «Un sintomo di paranoia», disse. «Non voglio che la gente guardi dentro.»

«Un mio zio è stato ucciso una sera mentre era in soggiorno con le luci accese e le tende aperte. Qualcuno dalla strada gli ha sparato», disse Bodie.

«Oh Dio, davvero?»

«È stato solo un caso. Probabilmente lui costituiva un bersaglio irresistibile.»

Pen scosse la testa. «Cose che succedono in questo mondo.»

«Non si è mai troppo prudenti.»

«È il mio motto», convenne lei. Accese una lampada e disse: «Vuoi ancora caffè?»

«Volentieri.»

Lei portò le tazze in cucina, le riempì e tornò. Diede a Bodie la sua tazza e si sedette di nuovo all’estremità del divano. «È tutto vagamente pauroso», confessò.

«Stiamo qui a parlare di allarmi, di lotte e aggressioni…»

«Mentre sentiamo strani rumori», osservò Pen.

Bodie le rivolse un largo sorriso. «Ehi, che ne diresti di farmi leggere una delle tue storie?»

Pen provò uno strano vuoto allo stomaco. «D’accordo, se proprio vuoi.»

«Certo.»

Bevve nervosamente un altro sorso di caffè. Poi si alzò, si avvicinò allo scaffale. Tirò fuori una copia di Ellery Queen’s Mystery Magazine e la diede a Bodie. «Ricordati che non sono William Faulkner.»

«Ti pagano per questo, giusto?»

«Sì.»

«Allora, Faulkner o no, è pur sempre una meta raggiunta.»

«Grazie», mormorò lei. «Pagina 93.»

Lui aprì la rivista e cominciò a leggere.

Il mio racconto, pensò Pen. Era contenta anche se imbarazzata. Non sapeva che cosa fare mentre lui leggeva, perciò si accovacciò sopra la valigia e tirò fuori il libro che aveva cominciato a leggere il venerdì sera nella vasca.

Sedette sul divano e lo aprì.

Bodie voltò una pagina.

Lei si chiese se finora gli piacesse il racconto.

È un po’ scarno, veramente.

Pen cercò di leggere il suo libro, ma il suo sguardo continuava a scivolare verso Bodie seduto all’altra estremità del divano. Lui aveva un’espressione solenne. Si tirò indietro una ciocca di capelli dalla fronte, che però ricadde.

Pen scordò il libro che teneva in grembo e scordò di preoccuparsi della reazione di Bodie al suo racconto breve. Lo fissò: i capelli lucidi alla luce della lampada, la camicia arricciata sul petto per come stava seduto, un piede appoggiato sull’altro ginocchio, il mocassino che gli penzolava dall’alluce. Aveva un buco nel calzino.

Avrebbe voluto sedersi al suo fianco.

Ah, ma non lo farai, si disse.

Se è per questo, Melanie non può vedere.

Non pensarci nemmeno.

Bodie, con gli occhi ancora sul racconto, scosse la testa e borbottò: «Oh, Dio». Poi chiuse la rivista. Guardò Pen e scosse la testa. «Accidenti, ero in ansia per la protagonista e invece per tutto il tempo è stata lei a dar la caccia agli altri.»

«Vuoi dire che ti è piaciuto?»

«Hai capovolto ogni situazione, specialmente nel finale. Mi sembra favoloso. Anche una bella prosa. Mi pareva di essere dentro di lei, di sentire tutto ciò che provava la protagonista. Davvero affascinante. Se mi consegnassi il lavoro come studentessa, ti darei un A meno.»

Pen, felice, si costrinse a mostrare un cipiglio. «Perché il meno?»

«Per impedirti di diventare vanitosa.»

Lei rise. «Grazie, a ogni modo.»

«Ne hai altri da farmi leggere?»

«Quello è l’unico pubblicato.»

«Peccato».

Abbiamo solo stanotte, pensò Pen. Non voglio trascorrerla a guardarlo leggere i miei racconti. «Ecco, forse ne ho un altro.»

Lei bevve il resto del caffè, poi andò nello studio e accese la luce. Si sentiva eccitata.

Aveva bisogno di andare in bagno… con tutto quel caffè. Ma sedette sulla scrivania e aprì l’ultimo cassetto. Ciascuna cartelletta portava un’etichetta con il titolo di un racconto. Le sfogliò con le dita tremanti.