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«Aiutami», gridò, «comincio a perdere la sensibilità, la luce sta arrivando, il sole è già sorto, ci troveranno.»

«No, non ci troveranno.»

Scalciai e scavai la tomba, portandolo con me sempre più in profondità, e richiudendo le morbide zolle dietro di noi. Nem­meno i suoni della città soprastante potevano penetrare in quel buio. Nemmeno le campane della chiesa.

Il tunnel si era aperto per Armand? La sua anima era salita in cielo? Oppure lui stava varcando le porte dell’inferno?

«Armand», sussurrai e, quando chiusi gli occhi, vidi il viso sconvolto di Memnoch: Lestat, aiutami!

Col mio ultimo brandello di sensibilità allungai una mano per controllare che il velo di Veronica fosse ancora lì. Ma, no, era scomparso. Lo avevo dato a Dora. Dora aveva il velo e lo aveva portato in chiesa.

Non saresti mai mio nemico, vero?

24

Eravamo seduti su un basso muretto della Quinta Avenue, al margine di Central Park. Già tre notti erano passate in questo modo. Avevamo osservato.

Fin dove riuscivamo a vedere verso i quartieri residenziali, la fila si formava, ampia tra il metro e mezzo e i due metri, uomini, donne e bambini che cantavano, pestando i piedi per tenersi cal­di, suore e preti che andavano avanti e indietro offrendo ciocco­lata e tè caldi a quanti stavano congelando. Il fuoco ardeva in grossi fusti metallici disposti a intervalli di pochi metri. A perdita d’occhio.

E in centro la fila continuava interminabile, oltrepassando le scintillanti vetrine dei negozi di Bergdorf Goodman e Henri Bendel, i pellicciai, i gioiellieri, le librerie di midtown, serpeg­giando fino a raggiungere la cattedrale.

David era in piedi a braccia conserte, appoggiandosi a mala­pena al muro, le caviglie incrociate. Ero io a essere seduto come un ragazzino, un ginocchio accostato al petto, il mio viso deva­stato con un occhio solo rivolto verso l’alto, il mento sulle noc­che del pugno, il gomito posato sul ginocchio, limitandomi ad ascoltarli.

Molto più avanti si udivano urla e grida. Qualcuno aveva ac­costato al velo un tovagliolo pulito, e ancora una volta l’immagi­ne era stata trasferita! E lo stesso sarebbe successo in un impreci­sato momento della sera seguente, e forse anche la sera dopo, e nessuno sapeva per quante volte ancora, si sapeva solo che l’ico­na si duplicava sul tessuto che le veniva premuto sopra, e il viso ardeva da stoffa a stoffa, come una fiamma che passasse da stop­pino a stoppino.

«Vieni», disse David. «Qui stiamo prendendo freddo. Forza, passeggiamo un po’.»

C’incamminammo.

«Perché?» chiesi. «Lassù, per vedere la stessa cosa che ab­biamo visto ieri sera e la sera prima? In modo che io possa lottare nuovamente per arrivare a lei, sapendo che qualunque dimostrazione di forza, qualunque facoltà sovrannaturale confermano semplicemente l’intero miracolo? Lei non mi ascolterà mai più. Lo sai. E chi è radunato sui gradini adesso, chi s’immolerà all’al­ba per confermare il miracolo?»

«C’è Mael.»

«Ah, sì, il sacerdote druido, sacerdote una volta sacerdote per sempre. E così stamattina toccherà a lui cadere come Lucifero in una vampata di luce.»

La sera prima si era trattato di un cencioso bevitore di sangue, un vagabondo, venuto da chissà dove, a noi sconosciuto, ma che all’alba si era trasformato in una torcia sovrannaturale a benefi­cio delle file di videocamere e fotografi di quotidiani. I giornali erano pieni di foto della vampata. E di foto del velo.

«Aspetta», dissi. Avevamo raggiunto Central Park South. Lì la folla stava cantando in coro quel vecchio inno solenne, da cre­denti militanti:

Dio Santo, lodiamo il tuo nome.

Signore di tutto, ci inchiniamo davanti a te!

Mi fermai a guardarli, sbalordito. Il dolore nell’orbita oculare sinistra sembrava più intenso, ma niente poteva cambiare, se non che di ora in ora percepivo sempre più la profonda cavità.

«Siete tutti degli stolti!» gridai. «Il cristianesimo è la religio­ne più sanguinaria che sia mai esistita al mondo. Posso testimo­niarlo personalmente!»

«Zitto, e fa’ quello che ti dico», mi richiamò David, costrin­gendomi ad avanzare, tanto che svanimmo tra la gente in peren­ne movimento sui marciapiedi ghiacciati prima ancora che qual­cuno potesse voltarsi a guardare. Mi aveva già trattenuto in que­sto modo innumerevoli volte e ormai si era stancato di farlo. Non potevo certo biasimarlo.

Una volta dei poliziotti mi avevano fermato. Mi avevano affer­rato, cercando di portarmi fuori della cattedrale mentre tentavo di parlare a Dora, e poi, una volta trascinatomi all’esterno, erano lentamente indietreggiati, tutti. Avevano percepito, come fanno i mortali, che non ero vivo. Lo avevano percepito e si erano messi a mormorare qualcosa sul velo e sul miracoloso, ed eccola lì, la mia mancanza di autocontrollo.

C’erano poliziotti dappertutto. Erano di guardia ovunque per mantenere l’ordine, distribuire il tè caldo, protendere le mani pallide e tremanti sulle fiamme che ardevano nei fusti metallici.

Nessuno badò a noi. Perché avrebbero dovuto? Sembravamo semplicemente due uomini, scialbi, parte della folla, la nostra pelle scintillante non era niente di speciale nell’accecante candore della neve tra quei pellegrini estasiati, che passavano da una valle di canti all’altra.

Le vetrine delle librerie traboccavano di pile di Bibbie e volu­mi di cristologia. C’era un’enorme piramide di copie di un libro dalla copertina color lavanda intitolato Veronica e il suo drappo, di Ewa Kuryluk, e un cumulo di Visi sacri, luoghi segreti di Ian Wilson.

Molte persone vendevano pamphlet per strada o addirittura li regalavano. Sentivo accenti di ogni parte del Paese... Texas, Flo­rida, Georgia, California.

Bibbie, Bibbie, Bibbie, che venivano vendute e regalate.

Un gruppo di suore distribuiva immaginette sacre di santa Veronica. Ma gli articoli più ambiti erano le fotografie a colori del velo, scattate nella chiesa e poi ristampate in migliaia di co­pie.

«Meravigliosa grazia, meravigliosa grazia...» cantava all’uni­sono un gruppetto di persone che si dondolavano avanti e indie­tro, mantenendo i rispettivi posti nella fila.

«Gloria, in excelsis deo!» proruppe da un uomo con una lun­ga barba e le braccia allargate.

Mentre ci avvicinavamo alla chiesa, notammo ovunque ca­pannelli di persone impegnate in seminari. Al centro di uno di essi un giovanotto parlava in tono concitato e sincero.

«Nel XIV secolo, Veronica venne ufficialmente dichiarata santa, e si riteneva che il velo fosse andato perduto durante la quarta crociata, quando i veneziani attaccarono Hagia Sophia.» S’interruppe per sistemarsi gli occhiali sul naso. «Naturalmente, il Vaticano avrà bisogno di tempo per pronunciarsi su questa vi­cenda, come sempre, ma settantatré icone sono già state ricavate da quella originale, sotto gli occhi d’innumerevoli testimoni, pronti a testimoniare davanti alla Santa Sede.»

In un altro punto c’erano diversi uomini vestiti di scuro, forse preti, non riuscii a stabilirlo, e intorno a loro cerehie di ascoltato­ri, gli occhi semichiusi per proteggersi dal riverbero della neve.

«Non sto dicendo che i gesuiti non possono venire», dichiarò uno degli uomini. «Ho solo detto che non verranno ad assumere il controllo di tutto. Dora ha chiesto che siano i francescani a custodire il velo, se, e quando, esso lascerà la cattedrale.»

E dietro di noi, due donne si dissero d’accordo sul fatto che, essendo già stati eseguiti dei test, l’antichità del tessuto era indi­scutibile.