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«Ormai nel mondo quel tipo di lino non viene più coltivato; oggi sarebbe impossibile trovare un pezzo nuovo di quel tessuto, così nuovo e immacolato che è di per sé un miracolo.»

«...tutti fluidi corporei: ogni parte dell’immagine deriva da fluidi di un corpo umano. Non è stato necessario danneggiare il velo per scoprirlo! Si tratta di... di...»

«...azione enzimatica. Ma sai benissimo come vengono di­storte queste cose.»

«No, non il New York Times. Il New York Times non dirà cer­to che tre archeologi lo hanno dichiarato autentico.»

«Non autentico, amica mia, solo attualmente al di là di qua­lunque spiegazione scientifica.»

«Dio e il Diavolo sono degli idioti!» ruggii.

Un gruppo di donne si voltò a guardarmi. «Accetta Gesù co­me tuo Salvatore, figliolo», mi sollecitò una di loro. «Vai a vede­re di persona il velo. Lui è morto per i nostri peccati.»

David mi trascinò via. Nessuno badava a noi. Le piccole acca­demie continuavano a operare in lungo e in largo, i capannelli di filosofi e testimoni, e coloro che aspettavano che gli uomini, am­maliati, inciampassero scendendo la scalinata della chiesa, il viso rigato di lacrime.

«L’ho visto, l’ho visto, era il volto di Cristo.»

E, addossata all’arco, aggrappata a esso come un’alta ombra simile a un ragno, la figura del vampiro Mael, forse quasi invisibile per loro, in attesa di metter piede nella luce dell’alba con le braccia allargate a formare una croce.

Ci guardò con occhi maliziosi. «Anche voi!» sussurrò, in­viando segretamente la sua voce fino alle nostre orecchie. «Veni­te, affrontate il sole con le braccia spalancate! Lestat, ti ha scelto come suo messaggero!»

«Vieni, abbiamo visto abbastanza per stanotte e per molte al­tre notti», disse David.

«E dove andiamo?» chiesi. «Smettila, smetti di tirarmi il braccio. David, mi hai sentito?»

«Ho smesso», rispose educatamente, abbassando la voce co­me per sollecitarmi a fare altrettanto. La neve cadeva così dolce­mente, adesso. Il fuoco crepitava nel fusto metallico nero poco distante.

«I libri, cosa ne è stato dei libri?» In nome di Dio, come ave­vo potuto dimenticarmene?

«Quali libri?» chiese. E mi scostò dal tragitto dei passanti spingendomi contro una vetrina dietro la quale spiccava una pic­cola folla, che si godeva il privato tepore all’interno, mentre guardava verso la chiesa.

«I libri di Wynken de Wilde. I dodici libri di Roger! Cosa ne è stato?»

«Si trovano là», rispose. «Su, nell’Olympic Tower. Lei li ha lasciati a te. Lestat, te l’ho già spiegato. Ieri notte lei ti ha parla­to.»

«In presenza di tutta quella gente era impossibile dire la ve­rità.»

«Ti ha detto che adesso le reliquie sono tue.»

«Dobbiamo prendere i libri!» dissi. Oh, che sciocco ero stato a dimenticare quei magnifici volumi.

«Sta’ calmo, Lestat, stai zitto. Smettila di attirare l’attenzione. L’appartamento è rimasto lo stesso, te l’ho detto. Lei non ne ha parlato a nessuno. Lo ha ceduto a noi. Non dirà ad anima viva che ci siamo stati. Me l’ha promesso. Ha ceduto a te l’atto di pro­prietà dell’orfanotrofio, non capisci, Lestat? Ha tagliato i ponti con la sua vita di un tempo. La sua vecchia religione è morta, abolita. Lei è rinata, è la custode del velo.»

«Ma non lo sappiamo!» ruggii. «Non lo sapremo mai. Come fa ad accettarlo, visto che non lo sappiamo e non possiamo sa­perlo?» Mi spinse contro il muro. «Voglio tornare a prendere i libri», annunciai.

«Naturalmente. Lo faremo, se è questo che vuoi.»

Com’ero stanco.

Sui marciapiedi la gente cantava: «E Lui cammina con me, e parla con me, e lascia che io lo chiami per nome».

L’appartamento era come l’avevamo lasciato.

Per quanto potessi stabilire, lei non era mai tornata lì. Nessu­no di noi l’aveva fatto. David era venuto a controllare e aveva detto la verità. Era tutto come prima.

L’unica eccezione era che, nella minuscola stanza in cui avevo dormito, restava solo la cassapanca; i miei abiti e la coperta su cui mi ero sdraiato, ricoperto della stessa sporcizia e degli aghi di pino provenienti dal terreno di un’antica foresta, erano scom­parsi.

«Li hai presi tu?»

«No», rispose David. «Credo che sia stata lei. Sono le lacere reliquie del messaggero angelico. Si trovano nelle mani di funzionari del Vaticano, per quanto ne so.»

Scoppiai a ridere. «E analizzeranno tutto quel materiale, i frammenti di materia organica provenienti dal terreno della fore­sta.»

«Gli abiti del messaggero di Dio, i giornali ne parlavano già», spiegò lui. «Lestat, devi riprenderti. Non puoi continuare a muoverti goffamente nel mondo mortale in questo modo. Rappresenti un pericolo per te stesso e per gli altri. Rappresenti un pericolo per ogni cosa là fuori. Devi arginare il tuo potere.»

«Un pericolo? Dopo tutto ciò, dopo tutto quello che ho fatto, creando un miracolo come questo, una nuova infusione di san­gue nella stessa religione che Memnoch aborriva. Oh, Dio!»

«Sstt. Zitto», mi rimproverò. «La cassapanca. I libri sono lì dentro.»

Ah, quindi i libri erano rimasti in quella stanzetta in cui avevo dormito. Mi sentii confortato, così confortato! Mi sedetti lì, a gambe incrociate, dondolandomi avanti e indietro, piangendo. Oh, è così strano piangere con un occhio solo! Dio, le lacrime stanno sgorgando dall’occhio sinistro? Non credo. Penso che lui mi abbia strappato i dotti lacrimali, non credete?

David era fermo in corridoio. La luce che entrava dalla lonta­na parete di vetro faceva apparire gelido e calmo il suo profilo.

Allungai le mani per sollevare il coperchio della cassapanca. Era fatta di legno, una cassapanca cinese su cui spiccavano nu­merose figure intagliate e in rilievo. E dentro c’erano i dodici li­bri, tutti avvolti nella plastica così come David e io li avevamo avvolti con tanta cura, imballati, al sicuro, asciutti. Non avevo bi­sogno di aprirli per saperlo.

«Voglio che ce ne andiamo subito», disse David. «Se rico­minci a gridare, se ricominci a dire alla gente che...»

«Oh, so benissimo quanto sei stanco, amico mio», lo inter­ruppi. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto.» Di tumulto in tumulto, mi aveva tirato fuori e sottratto alla vista di occhi mortali.

Ripensai nuovamente a quei poliziotti. Non avevo nemmeno opposto resistenza. Erano indietreggiati l’uno dopo l’altro, come scostandosi da qualcosa di così intrinsecamente nocivo che le lo­ro stesse molecole li sollecitavano a farlo. Indietreggiate.

E Dora parlava di un messaggero inviato da Dio. Era così si­cura.

«Dobbiamo andarcene subito», disse David. «Ormai è fatta. Ne stanno arrivando altri. Non voglio vederli, e tu? Vuoi rispon­dere alle domande di Santino, di Pandora, di Jesse o di chiunque altro possa arrivare? Cos’altro possiamo fare? Voglio andarmene subito.»

«Credi che io sia stato il suo zimbello, vero?» chiesi, alzando gli occhi per fissarlo.

«Di chi? Di Dio o del Diavolo?»

«È proprio questo il punto», risposi. «Non lo so. Dimmi che cosa ne pensi.»

«Voglio andarmene», ripetè, «perché, se non me ne vado su­bito, stamattina mi unirò a loro sui gradini della chiesa... a Mael e a chiunque altro si trovi lì. E ne stanno arrivando altri. Li cono­sco. Li vedo.»

«No, non puoi farlo! E se fosse stata tutta una menzogna? E se Memnoch non fosse il Diavolo, e Dio non fosse Dio, e l’intera faccenda fosse un’orrenda beffa organizzata a nostre spese da mostri che non sono certo migliori di noi? Non puoi nemmeno prendere in considerazione l’idea di unirti a loro sui gradini della chiesa! La terra è ciò che abbiamo! Aggrappati a essa! Tu non sai niente. Non sai della tromba d’aria e dell’inferno. Non lo sai. So­lo Dio conosce le regole. Si presume che solo Lui dica la verità! E Memnoch lo ha descritto ripetutamente come se fosse pazzo, un idiota morale.»