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«Ho servito Dio? È possibile? Un Dio che continuo a odia­re?»

«Non ho sentito il tuo racconto», disse. «Vuoi narrarmi la vicenda?» chiese, diretto, senza emozione. «Oppure è troppo do­loroso ripetere tutto da capo?»

«Lascia che David lo scriva affidandosi alla memoria.» Mi picchiettai l’indice sulla tempia. «Abbiamo una memoria così perfetta. Credo che alcuni degli altri ricordino cose che non sono mai successe.» Mi guardai intorno. «Dove siamo? Oh, mio Dio, dimenticavo. Siamo nella cappella. C’è l’angelo col bacile tra le mani, e quel crocifisso, quello c’era già.»

Come sembrava rigido e senza vita, così diverso dal velo scin­tillante.

«I notiziari serali hanno mostrato il velo?»

«Lo fanno di continuo.» Sorrise. Nessuna traccia di scherno. Solo amore.

«Cos’hai pensato, Louis, quando l’hai visto?»

«Che fosse il Cristo in cui un tempo credevo. Che fosse il Fi­glio di Dio che conoscevo quand’ero ragazzo e questi erano ter­reni paludosi.» La sua voce era paziente. «Vieni a casa. Andia­mo. Ci sono... delle cose in questo posto.»

«Davvero?»

«Spiriti? Fantasmi?» Non sembrava intimorito. «Sono pic­coli ma li percepisco, e sai, Lestat, non ho i tuoi poteri.» Sorrise di nuovo. «Quindi tu sai sicuramente che ci sono. Non li senti?»

Chiusi gli occhi, o, meglio, l’occhio. Sentii uno strano suono, come quello prodotto da molti, moltissimi bambini che cammi­nino in fila. «Credo che stiano cantando le tabelline.»

«E di che si tratta?» chiese Louis. Mi strinse il braccio, pie­gandosi verso di me. «Lestat, cosa sono le tabelline?»

«Oh, sai, il modo in cui insegnavano la moltiplicazione a quei tempi, devono averle cantate nelle aule, due per due quattro, due per tre sei, due per quattro otto... è così che fanno... Le stanno cantando.» M’interruppi.

C’era qualcuno lì, nel vestibolo, tra le porte dell’atrio e quelle della cappella, nell’ombra in cui mi ero nascosto da Dora. Era uno di noi. Per forza. Ed era vecchio, molto vecchio. Riuscivo a captare il suo potere. Lì c’era qualcuno talmente antico che solo Memnoch e Dio Incarnato l’avrebbero riconosciuto oppure... Louis, forse, Louis, se credeva ai suoi ricordi, alle sue visioni fugaci, alle sue brevi e devastanti esperienze coi vampiri molto an­tichi, forse...

Eppure lui non aveva paura. Mi stava guardando, all’erta, ma non spaventato.

«Avanti, non ho paura!» esclamai e mi avvicinai. I due sac­chetti coi libri erano posati sulla mia spalla destra, il tessuto dei sacchetti ben tirato nella mia mano sinistra. Così avevo libera la destra. E l’occhio destro. Lo avevo ancora. Chi era quel visita­tore?

«Là c’è David», disse Louis in tono sobrio e rassicurante, co­me a dire: vedi? Non hai motivo di preoccuparti.

«No, accanto a lui. Guarda meglio, scruta più a fondo, nel buio. Vedi la figura di una donna, così bianca, così solida che po­trebbe benissimo essere una delle statue conservate qui? Maharet!» dissi.

«Sono qui, Lestat», rispose.

Scoppiai a ridere. «E non fu forse quella la risposta di Isaia quando il Signore chiamò? ‘Sono qui, Signore.’»

«Sì», confermò lei. La sua voce era a malapena udibile, ma chiara e ripulita dal tempo, tutto lo spessore della pelle ormai scomparso.

Mi avvicinai, lasciando la cappella per entrare nel piccolo ve­stibolo. David era in piedi accanto a lei, come il suo braccio de­stro unto da Dio, come se avesse potuto eseguire i suoi ordini in un attimo; e lei era la più anziana, be’,quasi la più anziana, la no­stra Eva, la madre di tutti noi o la sola madre che rimaneva, e ora, mentre la guardavo, ricordai la terribile verità sui suoi occhi: quando era umana l’avevano accecata e gli occhi attraverso cui guardava adesso erano presi in prestito, umani.

Sanguinanti nella sua testa, occhi umani, sottratti a una perso­na viva o morta, non potevo saperlo, e collocati nelle sue orbite per essere nutriti il più a lungo possibile dal suo sangue vampiresco. Ma come sembravano stanchi nel suo bellissimo volto. Cosa aveva detto Jesse? È fatta di alabastro. E l’alabastro è una pietra attraverso cui può passare la luce.

«Non prenderò un occhio umano», mormorai.

Lei non disse nulla, non era venuta per giudicare, per dare consigli. Perché era venuta? Cosa voleva?

«Anche tu vuoi ascoltare la storia?»

«Il tuo gentile amico inglese dice che tutto è accaduto così co­me l’hai descritto. Dice che i canti che cantano alle televisioni so­no veri; che sei l’angelo della notte, e che le hai portato il velo, e che lui era là e ha sentito il tuo racconto.»

«Non sono un angelo! Non ho mai avuto intenzione di darle il velo! L’ho preso come prova. L’ho preso perché...» La mia vo­ce si era spezzata.

«Perché?» chiese lei.

«Perché me l’ha dato Cristo!» sussurrai. «Ha detto: ‘Prendi­lo’,e io l’ho fatto.»

Piansi. E lei rimase in attesa. Paziente, solenne. Louis rimase in attesa. E anche David. Alla fine smisi di piangere. «Scrivi ogni parola, David, se scrivi la storia, ogni parola ambigua, mi senti? Non la scriverò personalmente. No. Be’,forse... se non sono con­vinto che tu la stia presentando in modo adeguato, la scriverò, la scriverò una volta da cima a fondo. Cosa vuoi? Perché sei venu­ta? No, non la scriverò. Perché sei qui, Maharet, perché ti sei mostrata a me? Perché sei venuta nel nuovo castello della Bestia, a che scopo? Rispondimi.»

Lei non disse niente. I lunghi capelli rosso chiaro le arrivava­no alla vita. Indossava abiti dalla foggia semplice che potevano passare inosservati in molte terre, una giacca lunga e ampia ser­rata sulla sua vita sottile da una cintura, una gonna che copriva la sommità dei suoi piccoli stivali. L’odore di sangue emanato dagli occhi umani nella sua testa era intenso. E, sfavillando nella sua testa, questi occhi morti mi apparivano orrendi, insopportabili.

«Non prenderò un occhio umano!» esclamai. Ma lo avevo già detto. Mi stavo dimostrando arrogante o insolente? Lei era così potente. «Non prenderò una vita umana», aggiunsi. Ecco cosa avevo voluto dire. «Non prenderò mai e poi mai, mai, fin­ché vivo e sopporto e patisco la fame e soffro, una vita umana, né alzerò la mano contro il mio prossimo, che sia umano oppure uno di noi, non m’importa, non lo farò... io sono... io voglio... con le mie ultime forze non...»

«Ho intenzione di tenerti qui prigioniero. Per un po’. Finché non ti calmi», annunciò lei.

«Sei pazza. Non mi terrai da nessuna parte.»

«Ho delle catene che ti aspettano, Lestat. David, Louis: voi mi aiuterete.»

«Cosa sta succedendo? Come osate, voi due? Catene, stiamo parlando di catene? Cosa sono io, Azazel scaraventato nel poz­zo? Memnoch si farebbe una bella risata vedendo tutto ciò, se non mi avesse voltato le spalle per sempre!»

Ma nessuno di loro si era mosso. Rimasero immobili, l’im­mensa riserva di potere di Maharet completamente celata dalla sua snella forma bianca. E stavano soffrendo. Oh, sentivo l’odo­re della sofferenza.

«Ho una missiva per te», disse lei. Allungò la mano. «E, mentre la leggerai, urlerai e piangerai, e noi ti terremo qui, al si­curo e tranquillo, finché non smetterai. Tutto qui. Sotto la mia protezione. In questo posto. Sarai mio prigioniero.»

«Cos’è? Cos’è?» domandai.

Era un pezzo di pergamena spiegazzata.

«Cosa diavolo è?» chiesi esasperato. «Chi te l’ha dato?» Non volevo toccarlo.

Lei mi prese la mano sinistra con la sua forza assolutamente irresistibile, costringendomi a lasciar cadere i libri contenuti nei sacchetti, e posò sul mio palmo il piccolo involto di pergamena spiegazzata.