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Fu molto semplice strappare tutto in frammenti minuscoli la­sciando che il vento li portasse via con sé nella notte, al di sopra delle basse lapidi dell’angusto cimitero. Una folata violenta. Si sparpagliarono come cenere, come se l’identità di Roger fosse stata cremata e si stesse rendendo al defunto l’omaggio finale.

Mi sentivo esausto, sazio di sangue, soddisfatto, e stupido per aver avuto così tanta paura mentre parlavo con David. Lui do­veva considerarmi uno sciocco. Ma cosa avevo accertato con si­curezza? Solo che la Cosa che mi pedinava non voleva protegge­re Roger, la vittima, o che non aveva niente a che fare con lui. Non l’avevo sempre saputo? Questo non significava che il Pedinatore se ne fosse andato, ma solo che sceglieva momenti parti­colari per seguirmi, che forse essi non erano affatto collegati a ciò che facevo.

Ammirai la chiesetta. Poteva sembrare un’eccezione, ricca­mente decorata e incongrua tra gli altri edifici di Lower Manhat­tan, se non fosse che ormai in questa bizzarra città niente appare incongruo perché il miscuglio di gotico, antico e moderno è di­venuto la norma. Il cartello della strada vicina indicava Wall Street.

Mi trovavo all’imbocco di Wall Street? Posai la schiena con­tro le pietre, chiusi gli occhi. David e io avremmo potuto parlare la sera seguente. E Dora? Dormiva come un angelo, nell’albergo di fronte alla cattedrale? Sarei riuscito a perdonare me stesso se le avessi dato un’ultima occhiata segreta, innocua e sconsolata mentre dormiva nel suo letto, prima di gettarmi alle spalle l’inte­ra avventura? Fine.

Meglio togliermi dalla testa la ragazza; dimenticare la figura che percorreva gli enormi corridoi bui di quel convento deserto di New Orleans con la torcia elettrica in mano, l’impavida Dora. Non somigliava affatto all’ultima donna mortale che avevo ama­to. No, dimenticatene. Dimenticatene, Lestat, mi ascolti?

Il mondo era pieno di potenziali vittime, se cominciavi a pen­sare in termini di modelli di vita, una particolare atmosfera del­l’esistenza, una personalità completa, per così dire. Magari, se riuscivo a convincere David ad accompagnarmi, sarei tornato a Miami. La sera seguente lui e io avremmo parlato.

Naturalmente, David poteva seccarsi davvero, visto che lo avevo mandato a cercare un rifugio nell’Olympic Tower e adesso ero pronto a trasferirmi al Sud. Ma, dopotutto, forse non ci sa­remmo spostati.

Mi resi conto che se in quel momento avessi sentito quei pas­si, percepito la presenza del Pedinatore, la sera seguente avrei tremato fra le braccia di David. Al Pedinatore non importava dove andavo, e il Pedinatore era reale.

Ali nere, la sensazione di qualcosa di oscuro che si accumula, fumo denso, e la luce. Non soffermarti sull’idea. Hai già fatto ab­bastanza riflessioni macabre per una sera, giusto?

Quando avrei individuato un altro mortale come Roger? Quando avrei visto un’altra luce così brillante? E quel figlio di puttana che mi parlava durante l’intera faccenda, che parlava vincendo il deliquio! Parlava con me! E riusciva, chissà come, a far sembrare viva quella statua grazie a un imprecisato, flebile impulso telepatico, dannazione a lui. Scossi il capo. Lo avevo provocato io? Avevo fatto qualcosa di diverso dal solito?

Forse, seguendo Roger per mesi, ero arrivato ad amarlo tanto da parlargli mentre lo uccidevo, con un tacito sonetto di devo­zione? No.. In quel momento stavo semplicemente bevendo e amandolo, e assorbendolo dentro di me. Roger dentro di me.

Un’auto si avvicinò lentamente nel buio, fermandomisi accan­to. Mortali che s’informavano se mi serviva un riparo. Feci un cenno di diniego con la testa, mi voltai, attraversai il piccolo ci­mitero, calpestando una tomba dopo l’altra mentre mi addentra­vo tra le lapidi, e mi diressi verso il Village, spostandomi così in fretta che probabilmente non erano riusciti neanche a vedere i miei movimenti.

Provate a immaginare la scena. Vedono un giovanotto biondo con un blazer blu scuro doppiopetto e una sciarpa fiammeggian­te al collo, seduto al freddo sui gradini della bizzarra chiesetta. E poi la figura svanisce. Scoppiai in una fragorosa risata, apprez­zandone il suono mentre saliva lungo i muri di mattoni. Adesso ero vicino a una fonte di musica, gente che passeggiava tenendo­si a braccetto, voci umane, il profumo di cibo. C’erano molti giovani in giro, abbastanza sani per trovare qualcosa di divertente nel gelido inverno.

Il freddo aveva cominciato a infastidirmi. A rivelarsi quasi umanamente doloroso. Volevo andare al coperto.

3

Avanzai solo di qualche passo, vidi delle porte girevoli, entrai nell’atrio di un locale, un ristorante, credo, e mi ritrovai seduto al bar. Proprio ciò che cercavo: semivuoto, molto buio, riscalda­mento troppo alto, bottiglie che scintillavano al centro del ban­cone circolare. Il confortante rumoreggiare di quanti stavano ce­nando al di là delle porte aperte.

Posai i gomiti sul bancone, i tacchi agganciati alla barra d’ot­tone. Rimasi seduto sullo sgabello tremando, ascoltando le chiacchiere dei mortali, ascoltando il nulla, l’inevitabile accidia e stupidità di un bar, il capo chino, gli occhiali spariti — dannazio­ne, avevo perso i miei occhiali viola! —: sì, proprio gradevole e buio questo posto, molto, molto buio; una sorta di languore tipi­camente notturno ammantava ogni cosa, un club di qualche ge­nere? Non lo sapevo, non m’importava.

«Un drink, signore?» Espressione svogliata, arrogante.

Feci il nome di un’acqua minerale. E non appena lui ebbe po­sato il bicchiere davanti a me, io v’intinsi le dita per lavarle. Il barman se n’era già andato. Non avrebbe badato a me neanche se mi fossi messo a battezzare dei neonati con quell’acqua. Altri clienti erano sparsi qua e là ai tavolini, nell’oscurità; in un angolo lontano una donna piangeva e un uomo le diceva in modo bru­sco che stava attirando l’attenzione: non era vero, se ne infischia­vano tutti.

Mi lavai la bocca usando un tovagliolino di carta e l’acqua.

«Altra acqua», chiesi, mentre scostavo il bicchiere contami­nato. Pigramente, il barman prese atto della mia richiesta — san­gue giovane, personalità insulsa, vita priva di ambizione —, poi si allontanò.

Sentii una risatina poco distante... L’uomo alla mia destra a due sgabelli da me, forse; si trovava già lì quando ero entrato, giovanile, privo di odore. Completamente privo di odore, cosa davvero strana. Seccato, mi voltai a guardarlo.

«Hai intenzione di fuggire di nuovo?» sussurrò. Era la mia vittima. Era Roger, seduto su quello sgabello. Non era pieno di fratture, contuso o morto. Era tutto intero, con testa e mani. Non era lì. Dava solo l’impressione di esserci, estremamente soli­do e tranquillo, e mi sorrideva, eccitato dal mio terrore.

«Cosa c’è, Lestat?» chiese con la voce che amavo tanto, dopo averla ascoltata per sei mesi. «Nessuno, in tutti questi secoli, è mai tornato a tormentarti?»

Non dissi nulla. Non era lì. No, non c’era. Fatto di materia, ma non della stessa materia di ogni altra cosa. La parola di Da­vid. Tessuto diverso. M’irrigidii... Patetico understatement, per­ché in realtà ero paralizzato, dall’incredulità e dalla rabbia.

Lui si alzò e raggiunse lo sgabello accanto al mio. I suoi con­torni diventavano più netti e dettagliati di secondo in secondo. Adesso riuscivo a captare una specie di suono che proveniva da lui, il suono di qualcosa di vivo od organizzato, ma sicuramente non di un essere umano che respirava.

«E forse fra pochi minuti sarò abbastanza forte per chiedere una sigaretta o un bicchiere di vino», annunciò.

Infilò la mano in una tasca del cappotto — uno dei suoi preferi­ti, non quello che indossava quando lo avevo ucciso, un altro confezionato appositamente per lui a Parigi —, estrasse il suo ap­pariscente accendino d’oro e ne fece scaturire la fiammella, az­zurra e pericolosa, butano.