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Avevo passato a David il mio sangue d’annata mescolato con una varietà addirittura più antica di quella di Maharet. Sì, sangue che risaliva ad Akasha, e all’antico Marius; inoltre, naturalmente, nel mio sangue c’era la mia forza che, come tutti sappiamo, è in­credibile.

Perciò lui e Jesse dovevano essere stati una coppia magnifica. E cosa aveva significato per lei vedere il suo anziano mentore ri­vestito dalla carne di un giovane uomo?

Fui subito assalito dall’invidia e, all’improvviso, mi sentii col­mo di disperazione. Avevo allontanato David da quelle flessuose creature bianche che lo avevano attirato nel loro santuario, in un luogo lontano al di là del mare, nel cuore di un territorio in cui i loro tesori potevano restare nascosti e al riparo da crisi e guerre per generazioni. Nomi esotici mi si affacciarono alla mente, ma per il momento non riuscivo a ricordare dove fossero andate Maharet e Jesse, le due donne coi capelli rossi, quella anziana e quella giovane. E avevano fatto entrare David nella loro dimora. Un debole rumore mi fece sussultare e voltai la testa per guar­dare dietro di me. Mi rimisi comodo, imbarazzato per essere ap­parso così ansioso, e mi concentrai in silenzio, per un attimo, sul­la mia vittima.

Si trovava ancora nel ristorante vicinissimo a noi nell’hotel, seduto a un tavolo con la bellissima figlia. Quella notte non lo avrei perso. Ne ero quasi sicuro.

Sospirai. Dovevo smettere di pensare a lui. Lo stavo seguendo ormai da mesi. Era interessante, ma non aveva niente a che fare con tutto questo. Oppure sì? Avrei potuto ucciderlo quella stes­sa notte, ma ne dubitavo. Avendo spiato la figlia, e sapendo be­nissimo quanto la vittima la amasse, avevo deciso di aspettare che lei tornasse a casa. Insomma, perché essere così crudele con una ragazza del genere? E come le voleva bene, lui. In quel preci­so istante la stava supplicando di accettare un dono, qualcosa che aveva scoperto di recente e che giudicava davvero splendido; tuttavia non riuscivo a distinguere l’immagine del regalo nelle lo­ro menti.

Era una vittima piacevole da seguire: appariscente, avido, tal­volta buono, e sempre divertente.

Torniamo a David. E a come questo vigoroso immortale sedu­to dinanzi a me doveva aver amato la vampira Jesse ed essere di­ventato l’allievo di Maharet. Perché non nutrivo più alcun ri­spetto per gli anziani? Cosa volevo, per l’amor del cielo? No, non era questa la domanda. La domanda era... in quel preciso istante qualcosa voleva me? Stavo fuggendo da quel qualcosa?

David stava aspettando educatamente che lo guardassi di nuovo. Lo feci, ma non aprii bocca, non ripresi la conversazione. Così lui si comportò da persona cortese, ricominciando a parlare con calma, come se io non lo stessi fissando, da dietro gli occhiali viola, con l’aria di chi celi un inquietante segreto. Con garbo e pacatezza tipicamente inglesi, mi ribadì: «Nessuno ha cercato di farmi del male, nessuno ha contestato il fatto che tu mi abbia creato; tutti anzi mi hanno trattato con rispetto e cortesia, ben­ché, comprensibilmente, ciascuno di loro volesse conoscere ogni dettaglio su come sei sopravvissuto al Ladro di Corpi. E credo che tu non sappia fino a che punto li hai messi in allarme né quanto ti amino».

Quello era un accenno all’ultima avventura che ci aveva visti insieme e che mi aveva spinto a trasformarlo in uno di noi. All’e­poca lui non aveva certo levato al cielo le mie lodi per un qualsivoglia aspetto della vicenda.

«Mi amano davvero?» chiesi, riferendomi agli altri, gli ultimi rappresentanti rimasti della nostra razza di revenant in giro per il mondo. «So solo che non hanno cercato di aiutarmi.» Ripensai al Ladro di Corpi sconfitto. Senza l’aiuto di David, forse non sa­rei mai riuscito a vincere quella battaglia. Non riuscivo a imma­ginare un’eventualità tanto orrenda, ma nemmeno volevo ricor­dare come tutti i miei brillanti e dotati colleghi vampiri fossero rimasti a guardare da lontano, senza muovere un dito.

Il Ladro di Corpi si trovava all’inferno; e il corpo in questione era davanti a me, con dentro David. «D’accordo, sono lieto di sentire che li ho fatti preoccupare un po’», aggiunsi con sarca­smo. «Ma il punto è che mi stanno seguendo di nuovo e stavolta non si tratta di un astuto mortale che conosce i trucchi della proiezione astrale ed è in grado d’impossessarsi del corpo di qualcun altro. Mi stanno pedinando.»

Il mio amato amico mi osservò attentamente, non tanto incre­dulo quanto desideroso, forse, di comprendere le implicazioni della faccenda.

«Pedinando», ripetè in tono meditabondo.

«Senz’ombra di dubbio.» Annuii. «David, ho paura. Ho davvero paura. Se ti dicessi cosa penso che sia questa cosa che mi sta pedinando, rideresti.»

«Davvero?»

Il cameriere aveva posato sul tavolino i drink caldi e il vapore era delizioso. Il pianista suonava Satie in modo così delicato... Sembrava quasi che valesse la pena di vivere, persino per un mo­stro figlio di puttana come me. Un ricordo mi balenò nella mente.

In questo stesso bar, due sere prima, avevo sentito la mia vitti­ma dire alla figlia: «Ho venduto l’anima per posti come questo». Mi trovavo a parecchi metri di distanza, non certo a portata d’orecchio per un mortale, eppure avevo sentito ogni parola uscita dalle labbra della mia vittima ed ero affascinato dalla figlia di lui. Dora, così si chiamava, Dora. Era l’unica cosa che questa vitti­ma, strana e seducente, amasse davvero: sua figlia, la sua unica fi­glia.

Mi resi conto che David mi stava di nuovo guardando.

«Stavo pensando alla vittima che mi ha portato qui e a sua fi­glia», gli spiegai. «Non usciranno, stasera. La neve è troppo alta e il vento troppo forte. Lui la riaccompagnerà nella loro suite e lei ammirerà le torri sottostanti della chiesa di San Patrizio. Non voglio perderlo di vista.»

«Santo cielo, ti sei innamorato di una coppia di mortali?»

«No. Niente affatto. È solo una nuova tecnica di caccia. L’uo­mo è davvero unico, un concentrato di caratteristiche interessan­ti; lo adoro. Stavo per nutrirmene la prima volta che l’ho visto, ma continua a sorprendermi. Lo sto seguendo da sei mesi.» Ri­portai la mia attenzione su di loro. Ecco, stavano salendo ai piani superiori, proprio come avevo previsto. Avevano appena lasciato il loro tavolo. Il maltempo era eccessivo persino per Dora, anche se voleva andare in chiesa a pregare per il padre e lo supplicava di fermarsi a pregare con lei. Un imprecisato ricordo aleggiava tra di loro, nei pensieri e nelle parole frammentarie. Dora era so­lo una bambina quando la mia vittima l’aveva accompagnata per la prima volta in quella cattedrale.

Lui non credeva a nulla; mentre lei era una sorta di guida reli­giosa. Theodora. Rivolgendosi al pubblico televisivo, predicava la serietà dei valori e il nutrimento dell’anima. E suo padre? Ah, be’,lo avrei ucciso prima di apprendere ulteriori informazioni, altrimenti avrei finito per perdere quel bel trofeo solo per il bene di Dora.

Riportai lo sguardo su David, che mi stava osservando avida­mente, la spalla appoggiata contro il muro rivestito di satin scu­ro. In quella luce, nessuno avrebbe potuto capire che non era umano. La cosa sarebbe potuta sfuggire persino a uno di noi. Quanto a me, forse sembravo una folle rockstar desiderosa che l’attenzione del mondo intero la schiacciasse lentamente fino a ucciderla.

«La vittima non ha niente a che vedere con questo. Ti raccon­terò tutto un’altra volta. Ci troviamo in questo albergo soltanto perché ho seguito la mia preda fin qui. Conosci i miei giochetti, le mie battute di caccia. Non ho bisogno del sangue più di quan­to ne abbia bisogno Maharet, ma non sopporto il pensiero di non averlo!» chiarii.