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«Continua a raccontare, la stavi osservando...»

«Sì, e stavo pensando a quant’era coraggiosa. Alla fine rag­giunse le sue stanze; abita in una delle quattro torri dell’edificio. Rimasi in ascolto mentre chiudeva tutte le serrature. E pensai che a ben pochi mortali sarebbe piaciuto aggirarsi per quell’edificio buio, e inoltre che il posto non era spiritualmente puro, non del tutto.»

«Cosa intendi dire?»

«Spiritelli, spettri o comunque li si voglia definire. Come li chiamavi nel Talamasca?»

«Spettri», rispose.

«Bene, ce ne sono alcuni riuniti in punti diversi del convento, ma non rappresentano una minaccia per la ragazza: è troppo for­te e coraggiosa. Ma lo stesso non si può dire del vampiro Lestat, che la stava spiando. Ero fuori in cortile e sentii la voce proprio accanto all’orecchio, come se uno dei due uomini stesse parlan­do vicino alla mia spalla destra; era l’altro, quello che non mi sta seguendo, che diceva piuttosto distintamente: ‘No, non lo vedo nella stessa luce’. Ruotai più volte su me stesso cercando di tro­vare questa Cosa, di raggiungerla mentalmente o spiritualmente, affrontarla, tormentarla, e poi mi resi conto che stavo tremando da capo a piedi. E sai, David, gli spettri, gli irritanti spiritelli... quelli che sentivo ciondolare nel convento... credo non si siano nemmeno accorti che questa persona, o qualunque cosa fosse, mi aveva parlato all’orecchio.»

«Lestat, parli come se avessi perso la tua testa immortale», scherzò lui. «No, no, non arrabbiarti. Ti credo. Ma torniamo in­dietro un attimo. Perché stavi seguendo la ragazza?»

«Volevo solo vederla. Suo padre, la mia vittima, è preoccupa­to per ciò che è, per ciò che ha fatto e per ciò che le autorità san­no di lui. Teme di macchiare la reputazione della figlia, qualora si dovesse arrivare a un procedimento d’accusa e agli articoli sui giornali. Ma il punto è che non verrà mai incriminato, perché lo ucciderò prima che succeda.»

«Già, inoltre questo potrebbe salvare la chiesa della ragazza, non è vero? Il fatto che tu lo elimini rapidamente, per così dire. O sbaglio?»

«Non le farei del male per nulla al mondo. Niente potrebbe convincermi a farlo.» Per un attimo rimasi in silenzio.

«Sei sicuro di non esserne innamorato? Ne sembri ammalia­to.»

Ero immerso nei ricordi: solo poco tempo prima mi ero innamorato di una donna mortale, una suora. Si chiamava Gretchen, e io l’avevo fatta impazzire. David conosceva l’intera storia. L’a­vevo scritta; e avevo scritto tutto di David, cosicché lui e Gret­chen erano entrati nel mondo come personaggi romanzeschi. Lui sapeva anche questo.

«Non mi mostrerei mai a Dora come ho fatto con Gretchen. No. Non le farò del male. Ho imparato la lezione. La mia unica preoccupazione è uccidere suo padre in modo tale che lei ne ricavi la minima sofferenza e il massimo benefìcio. Lei sa che tipo è suo padre, ma dubito sia preparata a tutte le conseguenze nega­tive che potrebbero verificarsi per causa sua», spiegai.

«Santo cielo, ma tu stai giocando.»

«Be’,devo pur distrarrai per non pensare a questa Cosa che mi sta seguendo, altrimenti impazzisco!»

«Sstt... che ti prende? Mio Dio, sei davvero sconvolto.»

«Certo», sussurrai.

«Forniscimi qualche altra indicazione sulla Cosa, altri stralci di conversazione.»

«Non vale la pena di riferirli. Si tratta di una discussione che riguarda me, ti ripeto. David, è come se Dio e il Diavolo stessero litigando per me.»

Ripresi fiato. Il cuore mi doleva, tanto batteva rapidamente, impresa non da poco per il cuore di un vampiro. Appoggiai la schiena alla parete e lasciai vagare lo sguardo nel bar: per lo più mortali di mezza età, signore con pellicce dalla foggia antiquata, uomini stempiati abbastanza ubriachi da risultare chiassosi, spensierati e quasi giovani. Il pianista era passato a un brano po­polare, tratto da uno spettacolo di Broadway, credo. Era triste e languido, e una delle donne anziane presenti nel bar si stava don­dolando lentamente, a tempo con la musica e cantando in tono sommesso, il rossetto sulle labbra, una sigaretta in mano. Appar­teneva alla generazione che aveva fumato così tanto che smettere era ormai impensabile. Aveva la pelle di una lucertola, ma era un essere innocuo e bello. Tutti erano esseri innocui e belli.

La mia vittima? Riuscivo a sentirla al piano superiore. Stava ancora parlando con la figlia. Lei non voleva proprio accettare almeno un altro regalo? Si trattava di un’immagine, forse un quadro. Avrebbe smosso le montagne per sua figlia, ma lei non voleva il suo dono e non avrebbe salvato la sua anima.

Mi ritrovai a chiedermi fino a che ora sarebbe rimasta aperta la cattedrale di San Patrizio. La ragazza desiderava tanto andar­ci. Come sempre, stava rifiutando il denaro paterno. «È sporco. Roge, voglio la tua anima. Non posso accettare i soldi per la chie­sa! Provengono dal crimine. Sono sudici», gli stava dicendo.

Fuori nevicava. La musica del piano si fece più rapida e conci­tata. Andrew Lloyd Webber nella sua forma migliore, pensai. Un motivo tratto dal Fantasma dell’Opera.

Poi udii ancora quel rumore nell’atrio e mi girai bruscamente sulla sedia per guardare al di sopra della spalla, poi di nuovo ver­so David. Rimasi in ascolto. Mi sembrò di risentirlo, un suono si­mile a un passo, un passo echeggiante, un passo volutamente in­quietante. Lo sentivo. Sapevo di stare tremando. Ma poi scom­parve. Nessuna voce mi risuonò nell’orecchio. Fissai David.

«Lestat, sei impietrito», disse lui, in tono comprensivo.

«David, credo che il Diavolo sia venuto a prendermi. Penso che finirò all’inferno.»

Lui rimase senza parole. Dopotutto, cosa avrebbe potuto di­re? Che può dire un vampiro a un suo simile, su argomenti del genere? Cosa avrei risposto se Armand, trecento anni più vec­chio di me e di gran lunga più malvagio, avesse dichiarato che il Diavolo stava venendo a prenderlo? Gli avrei riso in faccia. Avrei fatto una battuta crudele, sottolineando che se l’era ampiamente meritato e che avrebbe incontrato parecchi membri della nostra specie laggiù, soggetti a una speciale tortura vampiresca, netta­mente più atroce di quelle mai sperimentate dai semplici mortali dannati. Fui scosso da un brivido.

«Dio santo», mormorai.

«Hai detto di averlo visto?»

«Non esattamente. Mi trovavo... da qualche parte, non ha im­portanza. Credo che fosse New York anche quella volta, sì, ero qui con lui...»

«La vittima.»

«Sì, lo stavo seguendo. Aveva concluso alcune transazioni in una galleria d’arte vicina al centro. È un abile contrabbandiere. È un tratto della sua personalità, la passione per gli oggetti pre­gevoli e antichi, lo stesso tipo di manufatti che ami tu, David. Insomma, quando finalmente mi ciberò di lui potrei portarti uno dei suoi tesori.»

David non rispose, eppure mi accorsi che trovava sgradevole la prospettiva di rubare un oggetto prezioso a qualcuno che an­cora non avevo ucciso, anche se lo avrei ucciso sicuramente.

«Libri, croci, gioielli, reliquie medievali, ecco il genere di ma­nufatti di cui si occupa. È questo che lo ha portato alla droga, l’acquisto di opere d’arte originariamente conservate nelle chiese ma andate perdute durante la seconda guerra mondiale in Euro­pa, sai, statue di angeli e santi d’inestimabile valore trafugate. Ha nascosto i suoi tesori più preziosi in un appartamento dell’Upper East Side. Il suo grande segreto. Penso che all’inizio il denaro rappresentasse un mezzo, non un fine. Qualcuno possedeva qualcosa che lui desiderava. Non ne sono sicuro: gli leggo nel pensiero, ma poi mi stanco. È malvagio, tutte quelle reliquie non hanno niente di magico e io sto per finire all’inferno.»

«Non così in fretta. Il Pedinatore. Hai detto di aver visto qualcosa. Cosa?»