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Quest’affermazione lo rese palesemente meditabondo e di­staccato, poi mi disse strane parole che non mi aspettavo.

«Ma non vuole me, vero? E neanche gli altri. Vuole te.»

Rimasi mortificato. Sono orgoglioso, egocentrico, adoro l’at­tenzione altrui, voglio la gloria, voglio essere desiderato da Dio e dal Diavolo. Voglio, voglio, voglio.

«Non ti sto rimproverando», spiegò. «Sto solo suggerendo che questa Cosa non ha minacciato gli altri. Che in tutte queste centinaia di anni nessuno degli altri... nessuno che conosciamo ha mai parlato di una cosa simile. A dire il vero, nei tuoi scritti, nei tuoi libri, hai sostenuto esplicitamente che nessun vampiro ha mai visto il Diavolo, giusto?»

Lo ammisi, stringendomi nelle spalle. Louis, il mio adorato al­lievo e novizio, una volta aveva attraversato il mondo per trovare i «più anziani» dei vampiri, e Armand si era fatto avanti a braccia aperte per dirgli che non esisteva nessun Dio o Diavolo. E io, mezzo secolo prima di allora, avevo compiuto il mio viaggio alla ricerca del «più anziano» e si era trattato di Marius, trasformato in vampiro all’epoca di Roma, che mi aveva detto la stessa cosa. Nessun Dio. Nessun Diavolo.

Rimasi seduto, perfettamente immobile, consapevole di disagi insulsi: il fatto che il locale era soffocante; che il profumo non era davvero tale e che non c’erano gigli in quelle stanze; che fuori doveva fare molto freddo; che non potevo pensare al riposo fin­ché l’alba non mi costringeva a farlo; che la notte era lunga; che non riuscivo a spiegare in modo chiaro la situazione a David e rischiavo di perderlo... e che la Cosa poteva arrivare, poteva arri­vare di nuovo.

«Mi resterai vicino?» Detestai le mie stesse parole.

«Rimarrò al tuo fianco e cercherò di tenerti stretto se tenta di rapirti.»

«Davvero?»

«Sì», rispose.

«Perché?»

«Non essere sciocco. Senti, non so cosa ho visto in quel caffè. In vita mia non ho mai più visto o sentito nulla di simile. Tu lo sai, una volta ti ho raccontato la mia storia. Sono andato in Brasi­le, ho appreso i segreti del Candomblé. La notte in cui mi hai... braccato, ho cercato di evocare gli spiriti.»

«Sono venuti, ma erano troppo deboli per poterti aiutare.»

«Già. Ma qual è il nocciolo della questione? Io voglio dire semplicemente che ti amo, che il nostro legame è diverso da quello di chiunque altro. Louis ti adora. Per lui rappresenti una sorta di oscuro dio, anche se finge di odiarti perché lo hai creato. Armand ti invidia e ti spia molto più di quanto tu possa immagi­nare.»

«Sento Armand, lo vedo e lo ignoro», risposi.

«Marius non ti ha perdonato di non essere diventato il suo al­lievo — penso che tu lo sappia —, di non essere diventato suo se­guace, di non aver creduto nella storia come un insieme coerente capace di redimere.»

«Ben detto. È questo che crede. Oh, ma è infuriato con me per cose ben più importanti di questa, tu non eri tra noi quando ho svegliato la Madre e il Padre. Non c’eri. Ma questa è un’altra storia.»

«So tutto al riguardo. Dimentichi i tuoi libri. Leggo le tue opere non appena le scrivi e le diffondi nel mondo dei mortali.»

Risi amaramente. «Forse anche il Diavolo legge i miei libri», ipotizzai. Ancora una volta detestai di aver paura, mi rendeva fu­ribondo.

«Ma il punto è che resterò con te», promise David. Abbassò lo sguardo, astraendosi così come aveva fatto tanto spesso quan­do era mortale, quando riuscivo a leggergli nel pensiero eppure lui mi sconfiggeva, escludendomi consapevolmente. Ma adesso c’era una barriera. Non avrei mai più scoperto cosa pensava.

«Ho fame», sussurrai.

«Da’ inizio alla caccia.»

Scossi il capo. «Prenderò la vittima quando sarò pronto. Non appena Dora lascia New York e torna nel suo vecchio convento. Sa che il bastardo è spacciato. È questo che penserà dopo che io l’avrò fatto, penserà che uno dei suoi nemici lo abbia ucciso, che il male fatto da suo padre si sia ritorto contro di lui. Molto bibli­co... Quando in realtà si è sempre trattato di una razza di killer che vaga nel giardino selvaggio della terra, un vampiro in cerca di un succoso mortale, e suo padre aveva solo attirato la mia at­tenzione e tutto finirà, molto semplicemente.»

«Hai intenzione di torturare quest’uomo?»

«David, mi sconvolgi. Che domanda maleducata!»

«Lo farai?» chiese timidamente, in tono più supplichevole.

«Non credo. Ne ho solo voglia...» Sorrisi. Ormai ne sapeva abbastanza, in proposito. Nessuno doveva più spiegargli come si beve il sangue, parlargli dell’anima, la memoria, lo spirito, il cuo­re. Non avrei conosciuto quella sfortunata creatura mortale fin­ché non l’avessi presa, me la fossi stretta al petto, avessi squarcia­to l’unica vena onesta del suo corpo. Ah, troppi pensieri, troppi ricordi, troppa rabbia!

«Resterò con te», annunciò. «Hai una suite qui in albergo?»

«Niente di decoroso. Trova qualcosa per tutti e due. Vicino a... vicino alla cattedrale.»

«Perché?»

«Be’,David, dovresti saperlo. Se il Diavolo comincia a inse­guirmi lungo la Quinta Avenue, correrò dentro San Patrizio, rag­giungerò l’altare maggiore, m’inginocchierò davanti al santo sacramento e supplicherò Dio di perdonarmi, di non immergermi sino agli occhi nel fiume di fuoco.»

«Sei davvero sul punto di perdere la ragione.»

«Niente affatto. Guardami. Riesco a legarmi i lacci delle scar­pe. Vedi? E ad annodarmi la cravatta. È necessaria una certa cu­ra, sai, per avvolgerla intorno al collo, infilarla nella camicia e così via, senza sembrare un folle con un’enorme sciarpa al collo. Sono controllato, come dicono i mortali in modo tanto stringato, puoi cercare delle stanze per noi due?»

Accennò di sì.

«C’è una torre di vetro, proprio laggiù accanto alla cattedrale. Un edificio mostruoso.»

«L’Olympic Tower.»

«Sì, potresti affittare delle stanze là? In realtà, ho agenti mor­tali in grado di svolgere questo tipo d’incombenze. Non so come mai sto piagnucolando come un idiota in questo bar, chiedendo­ti di occuparti di dettagli umilianti...»

«Ci penso io. Probabilmente adesso è troppo tardi per farlo, ma posso sistemare tutto domani sera. Userò il nome David Talbot.»

«I miei abiti... Ce ne sono un po’ qui, a nome di Isaac Rummel. Solo una valigia o due, e alcuni cappotti. È proprio inverno, vero?» Gli passai la chiave della stanza. Era umiliante per lui. Era come trasformarlo in un domestico. Forse avrebbe cambiato idea e affittato il nostro nuovo alloggio col nome di Renfield.

«Mi occuperò io di tutto. Entro domani disporremo di una sontuosa base operativa. Farò in modo di lasciarti le chiavi al bancone della reception. Ma che hai intenzione di fare?»

Non risposi subito, stavo cercando di ascoltare la vittima. Sta­va ancora parlando con Dora, che sarebbe partita il mattino se­guente. Puntai il dito verso l’alto. «Uccidere quel bastardo. Lo farò domani, subito dopo il tramonto, se riesco a raggiungerlo abbastanza rapidamente. A quel punto, Dora sarà già lontana. Oh, sono così affamato! Vorrei tanto che lei prendesse un aereo stanotte. Dora, Dora.»

«Questa ragazza ti piace davvero, giusto?»

«Sì. Una volta o l’altra guardala in televisione e vedrai. Il suo talento è alquanto spettacolare e i suoi insegnamenti sfoggiano una pericolosa attrattiva emotiva.»

«È davvero dotata?»

«Non le manca niente. Pelle bianchissima, corti capelli neri tagliati a caschetto, lunghe gambe magre ma flessuose, e balla con un tale abbandono, con le braccia spalancate, che ricorda un derviscio danzante o i sufi nella loro perfezione; quando parla, poi, il suo eloquio non è esattamente umile, ma colmo di meravi­glia, e tutto sembra molto, molto benevolo.»

«Lo immagino.»

«Be’,la religione non sempre lo è, sai. Voglio dire che lei non farnetica sull’imminente apocalisse o sul Diavolo pronto a venir­ti a prendere se non le spedisci un assegno.»