Capiva ora, anche se gli ci erano voluti un po’ di giorni, quanto profondamente Byron fosse innamorato di lei.
E capiva anche che quel sentimento non era reciproco.
La cosa lo stupiva. Dieci anni prima, Byron aveva incarnato il prototipo dell’Angelo: svelto, tenebroso, distaccato, dietro le lenti protettive. Era la sensazione che ancora trasmetteva pur commerciando pietre dei sogni nella Città Galleggiante. Ma con Teresa era un’altra cosa, e Keller se ne accorgeva. Tradiva un grande nervosismo, la sorvegliava quando pensava che lei non vedesse, si comportava in modo quasi servile.
Strano, ma forse prevedibile. Byron l’aveva salvata da un lento suicidio. Probabilmente se ne sentiva quasi responsabile. E poi, c’era in lei quel senso così acuto di incompletezza. Come fosse stata in balia di maree sconosciute. Si era immersa troppo spesso e troppo a fondo nel mistero degli oneiroliti. Keller capiva il loro fascino di territorio della notte, pericoloso ed esotico. Capiva la loro seduzione.
Anche troppo bene, forse.
Il suo sguardo vagò fino a fissarsi di nuovo sul letto dove lei dormiva.
A dispetto dei dubbi e degli errori, aveva imparato fin dagli anni della guerra a praticare scrupolosamente l’arte del wu-nien. È anche a riconoscere le minacce che insidiavano quell’arte: minacce si chiamavano Compassione, Odio, Desiderio e Amore. Come Angelo gli era stato insegnato a mettere da parte questi sentimenti con la stessa convinzione con cui un monaco buddista riesce a resistere alle tentazioni della carne. Ma proprio come queste, i sentimenti erano difficili da sopprimere. E una volta soppressi, erano capaci di ripresentarsi a caso, in modo del tutto inaspettato.
Keller rimase sdraiato nell’oscurità, con il polso che gli martellava in sordina nelle orecchie. Le pallide luci della città, che filtravano appena attraverso le tende, gli permettevano di indovinare sotto le coperte il profilo del corpo di Teresa, la finissima geografia delle sue membra.
Sai bene che è meglio non pensare a ciò che pensi.
Chiuse gli occhi e si sforzò di sgombrare la mente. Uno specchio splendente, pensò, ricordando le parole di un poema Shenshiu che tutti gli Angeli avevano imparato a memoria durante l’addestramento. Ripulire tutto con cura, in modo da non lasciare accendere nemmeno un granello di brace.
Ma la brace si era accesa, pensò. Dentro di sé sentiva affiorare sensazioni che credeva di aver cauterizzato già da molto tempo.
Adhyasa, ripeté tristemente. Il peccato degli Angeli.
Si svegliò oppresso dalla stanchezza. Byron gli porse una tazza di caffè attinta dal distributore a parete. A metà mattina l’autista non era ancora arrivato.
Teresa camminava inquieta per la stanza con indosso un paio di pantaloni da lavoro e una camicia cachi, le mani in tasca e il viso accigliato.
— Voglio uscire — disse alla fine.
— Dobbiamo aspettare qui — replicò Byron. — È importante che Ng ci trovi qui, quando verrà.
— Non è necessario che rimaniamo tutti.
Byron rovesciò indietro la testa e tamburellò con le dita. — Dove vuoi andare?
— A vedere la chiesa di ieri sera. La chiesa con l’insegna delle pietre dei sogni.
— È una chiesa della Valle — spiegò lui. — Vi si praticano i riti della giungla. Vuoi sacrificare un pollo? Forse si può fare.
Keller ricordava la Valle dell’epoca di guerra. La Vale do Amenhecar era un culto brasiliano della pietra, una delle religioni secondarie fiorite dopo la scoperta degli oneiroliti. Era una religione rurale, estremamente sincretica; i fedeli credevano contemporaneamente nella sacralità del giaguaro, nella divinità di Cristo e nel prossimo imminente arrivo di una flotta di dischi volanti.
— Voglio vedere com’è — insisté Teresa. Poi aggiunse, in tono pacato: — Ne ho diritto.
— Non è sicuro.
— Niente è sicuro. — La donna si rivolse a Keller. — Vuoi venire con me?
Lui rispose di sì senza pensarci.
Byron, rigido, si girò verso la finestra. Sopra la sua spalla, Keller vide la pioggia scendere come un velo dal cielo color piombo. Le strade erano lucide e nere.
— Andate — disse Byron con freddezza. — Ammirate un po’ del folclore locale. — Si volse a fissare l’amico, con espressione addolorata. — Diavolo, perché no?
Teresa comperò un ombrello in una delle bancarelle ai lati della strada e riparò la sua testa e quella di Keller. Era poco più che carta cerata, pensò, del colore delle dalie, ma serviva a impedire che la pioggerellina sottile li inzuppasse.
— È innamorato di te, lo sai? — disse Ray.
La colse di sorpresa. Teresa scrutò i suoi impenetrabili occhi azzurri.
— È una domanda da Angelo? — chiese. — Oppure sei sinceramente preoccupato per lui?
— Non era una domanda — replicò lui, asciutto. — E immagino che non siano affari miei. Ma basta guardarlo per capire.
Il traffico scorreva lungo le strade bagnate. Veicoli elettrici, motorini, grosse auto giapponesi. Keller si rannicchiò sotto l’ombrello e le passò un braccio attorno alla vita.
— Sono affezionata a Byron — dichiarò Teresa, scegliendo le parole con cura. — Davvero. Gli voglio bene per ciò che ha fatto. Non sono un’ingrata.
— Ci sono molti tipi di affetto.
— Siamo stati insieme per un po’. Non ha funzionato.
— Lui non ha smesso di preoccuparsi per te.
— Gli sono grata anche di questo. A volte ne ho avuto bisogno. Forse è egoismo, non lo so. — Teresa si accigliò, meravigliandosi della curiosità di Keller.
Lui continuò. — Mi ha colto di sorpresa. Non sapevo che potesse essere così… — si interruppe, cercando la parola giusta — ingenuo.
— Ossessionato, vuoi dire. Be’, lo siamo tutti. — Avevano raggiunto la chiesa, e vedevano ardere le candele dietro le finestre incrostate di polvere. — Ossessionati — ripeté Teresa. — Tutti e tre. — Stese la mano e toccò con un dito l’icona raffigurante la pietra dei sogni. Sentì la simpatia di lui svanire di colpo.
Ray le prese la mano e gliela tirò indietro. — Se continui in questa follia rischi di arrivare molto in profondità — l’avvertì.
— Tu ne sai qualcosa vero? — Keller parve stupito. Ma non era un insulto: lei lo credeva davvero. — Essere un Angelo comporta anche questo. Byron ne parla, a volte. Vedere senza emozione. — Teresa lo guardò con circospezione. — Sembra che anche tu sia arrivato abbastanza in profondità.
Un velo gli scivolò davanti al volto. — Non è lo stesso.
Lei alzò le spalle e aprì la porta.
L’interno della chiesa era scuro e deserto. Molto tempo prima doveva essere stata un tempio cattolico, sepolto lì tra edifici più alti e più nuovi. Alle spalle dell’altare c’era un intaglio in vetro colorato raffigurante la Vergine Maria con la mano alzata. La vetrata era debolmente illuminata dal basso e non riceveva luce dall’esterno.
Una vecchia sbucò da un locale sul retro. Li guardò con espressione acida e sibilò qualcosa in portoghese. — Dice che l’ingresso è proibito ai turisti — tradusse Keller. Igreja, disse ancora la vecchia. — È una chiesa.
— Dille che vogliamo usare una pietra.
Keller parlò scandendo ogni sillaba. La donna sospirò e scomparve nel retro. Teresa occupò uno dei tavoli illuminati dalle candele che erano stati istallati dove probabilmente una volta si trovavano i banchi. La vecchia ritornò con una cassettina di sicurezza metallica sottobraccio. Fece l’atto di stringerla di più e protese la mano aperta, con il palmo rivolto verso l’alto. Keller le diede una banconota da cento cruzeiros.