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Lei non riuscì a trattenersi. Cercò di afferrarle. Ruy ritirò la mano, ridendo. Alle sue spalle, un volo di gabbiani si alzò dalle palificazioni di cemento. — Proprio come pensavo — disse il ragazzo.

Lei fissò con espressione avida il suo pugno serrato. — Puoi averne altre?

— Tutte quelle che vuoi.

— Posso comperarle?

— Acaso. - Lui alzò le spalle, con sussiego. Forse.

— Quanto vuoi?

— Quanto offri?

Lei non aveva niente da offrire. Frequentava una scuola gratuita nella parte nord della città, la sua insegnante di inglese la definiva "una buona allieva" e quella di educazione artistica diceva che aveva talento. Ma a lei non importava nulla della scuola. Poteva anche lasciarla, pensò, trovarsi un lavoro e guadagnare qualcosa… acaso.

— Quando avrai qualcosa da offrirmi — disse Ruy, allontanandosi con le pillole ancora imprigionate nel pugno, mentre lei si struggeva — allora potremo riparlarne.

Rosita, più vecchia e rugosa ma non meno vigile, le impedì di lasciare la scuola. — Che tipo di lavoro credi di poter trovare? Vuoi forse finire a fare la puttana in terraferma, come tua sorella Livia? — Scrollò la testa. — L’istruzione può salvarti, capisci? C’è troppa gente senza un pezzo di carta in mano. Senza documenti, senza carta verde, senza attestati di proprietà. Tu sei fortunata ad avere una scuola. Tienitela cara, finché c’è.

Fu la rabbia di Rosita, più che ogni altra considerazione pratica, a farla desistere. Teresa continuò ad andare a scuola, mantenne le sue abitudini e ignorò Ruy che continuava a tentarla con le sue riserve di pillole apparentemente inesauribili. Finché, un giorno, l’insegnante di educazione artistica si complimentò con lei per un suo collage. Aveva realmente talento, disse. Avrebbe fatto strada.

Era una strana idea. Teresa si divertiva a mettere insieme collages e sculture, e a volte, mentre lo faceva, si sentiva bene come quando prendeva le pillole. Era come se qualcun altro eseguisse il lavoro servendosi delle sue mani, magari una parte di lei che era andata persa nell’incendio. Si abbandonava al lavoro e non si accorgeva più del tempo che passava. Una sensazione splendida.

Non aveva mai pensato di ricavare denaro da quell’attività. Le venne in mente all’improvviso, e le sembrò una buona soluzione. Una domenica si preparò una colazione al sacco e attraverso i ponti di barche si diresse verso le gallerie d’arte che si trovavano sulla superstrada costiera, in terraferma. Il continente la spaventava. Non era abituata al rombo delle auto e degli autocarri. Nella Città Galleggiante circolavano solo poche motolance, e in genere solo sui canali principali. E poi c’era l’inquietante solidità del terreno sotto i suoi piedi. Pietre, sabbia e sassi dovunque girasse lo sguardo.

Esaminò i pezzi in vendita in quei luoghi circondati dalla terra. Pitture su cristallo, sculture in gesso o in materiale di scarto. Per la maggior parte provenivano dalla Città Galleggiante ed erano considerate espressione artistica popolare, a giudicare dai commenti della gente. Alcuni pezzi erano veramente belli, altri meno, ma Teresa si rese conto con una certa sorpresa che la sua insegnante aveva ragione. Non c’era niente che non sapesse fare anche lei. Le mancavano gli arnesi per portare a termine alcuni dei progetti che aveva in mente, ma i lavori già eseguiti con pezzi di metallo racimolati qua e là erano buoni almeno quanto la metà di quelli che aveva visto nelle vetrine. Era la sua occasione, pensò. Due settimane più tardi ritornò in terraferma con tre dei suoi pezzi. Scelse una galleria che si chiamava "Arte di Mare" e mostrò i lavori alla proprietaria, una donna poco più giovane di Rosita. La signora Whitney, così si chiamava, all’inizio si mostrò scettica, ma cambiò idea quando Teresa tolse la tela cerata con cui aveva protetto le sculture. La donna spalancò gli occhi, molto colpita, poi li socchiuse. — Un’esecuzione molto matura, per una ragazzina della tua età — commentò.

— Li comperate? — chiese Teresa.

— Noi vendiamo su commissione. Ma posso offrirti un anticipo.

Era un’elemosina, come Teresa ebbe modo di imparare più tardi. Una cifra ridicola. Eppure era la più grossa quantità di denaro che avesse mai visto in una volta sola.

La portò a Ruy e gliene offrì la metà. Lui le diede tante pillole da riempire entrambe le mani aperte a conchiglia.

Quella notte Teresa ne prese due.

Sollievo. Fluiva attraverso di lei come un fiume. Razionò le pillole a una ogni notte, per farle durare, e nel tempo libero iniziò a lavorare a un’altra scultura da portare alla signora Whitney. La donna gliela pagò il doppio, e fu un bene, perché anche le pretese di Ruy avevano cominciato ad aumentare. Teresa pagò, ma cominciò a odiarlo. Ruy era diventato all’improvviso molto importante per lei, tanto che prese l’abitudine di osservarlo con attenzione. Il ragazzo camminava con aria spavalda su e giù per i pontoni, con il bacino proteso in avanti. — Muy macho - commentava Rosita quando lui ostentava quelle pose anche in casa, ma non c’era più nessuno in grado di fargli cambiare atteggiamento. Stazionava con i ragazzi della sua risma vicino alle pareti della darsena coperte di graffiti; Teresa lo aveva visto spesso vendere le pillole nella zona. Un pomeriggio, rosa dal rancore, marinò la scuola e lo seguì da lontano, fino a una piccola baracca a metà strada verso la terraferma, nella parte nord della Città Galleggiante. Aveva l’aspetto di un distributore di benzina e riversava gli scoli nelle acque putride del canale sottostante. Ruy entrò nella baracca con il portafoglio in mano e ne uscì con un sacchetto di carta rigonfio.

Teresa raccolse tutto il proprio coraggio, e quando fu certa che Ruy se n’era andato, andò a bussare a quella porta.

L’uomo che venne ad aprire era vecchio, magro e con gli occhi infossati. La scrutò a lungo e poi, muovendo a fatica le labbra aride, domandò: — Che cosa diavolo vuoi?

— Delle pillole — rispose lei, ormai in preda al panico.

— Pillole! Che cosa ti fa credere che ne abbia?

— Ruy… è mio fratello — spiegò Teresa, disperata.

L’espressione dell’uomo si addolci. — Bene — commentò. — La sorellina di Ruy ha deciso di tagliar fuori l’intermediario. — Annuì. — Ruy si piscerebbe addosso, immagino, se sapesse che sei qui.

— Posso pagare — disse lei.

— Dimmi che cosa vuoi.

Teresa descrisse le capsule rosa e gialle.

— Capisco — brontolò lui. — Se vuoi proprio quelle… Ma è uno spreco di denaro, se ti interessa la mia opinione. — Rovistò nel cassetto di una vecchia scrivania in fondo alla sua unica stanza, che sembrava ondeggiare in modo alquanto precario. Lei guardò senza oltrepassare la soglia. — Credo che queste ti piacerebbero di più.

Erano minuscole pastiglie dal rivestimento nero, raccolte in una busta di carta. Forse un centinaio. Teresa le guardò con espressione dubbiosa. — Fanno lo stesso effetto?

— Un effetto migliore. Non alleviano il dolore, capisci? Procurano la felicità.

Stordita, lei gli consegnò il denaro. Solo mentre compiva il lungo viaggio di ritorno le venne il dubbio di essersi fatta ingannare. Le pillole avrebbero anche potuto essere di zucchero. O di chissà quale altra porcheria. La notte, a letto, rimase a lungo incerta prima di decidersi a prenderne una. E se fossero state velenose? E se fosse morta?

Purtroppo, i rifornimenti ottenuti da Ruy si erano esauriti e lei non osava rubarle dal flacone di Rosita. Il bisogno fu più forte della diffidenza. Teresa inghiottì una pillola nera, prima che qualcosa le facesse cambiare idea.

Dal suo stomaco iniziò gradualmente a diffondersi una sensazione di piacere che in breve divenne assoluta. Non avrebbe mai potuto desiderare niente di più. Era la soddisfazione generata da un lavoro riuscito, dalla certezza di essere amati e, soprattutto, dalla possibilità di dimenticare. Sdraiata sul materasso, cullata dal lento ondeggiare dell’acqua, avrebbe anche potuto essere l’ultima persona al mondo. Amava quelle nuove pillole, pensò. Erano davvero migliori. Sì. E una era abbastanza. In principio, almeno.