Выбрать главу

La nuova soluzione le permise di vivere bene per mesi. I profitti di ciò che vendeva alla signora Whitney le permettevano di rifornirsi regolarmente. Aveva cominciato a prendere una pillola anche di mattina e passava nell’ozio giornate intere che a lei sembravano poche ore. Avrebbe potuto continuare in quel modo a tempo indefinito se non fosse stato per Ruy, che aveva scoperto ben presto di essere stato estromesso dal gioco, con conseguente perdita di guadagno, ed era venuto a conoscenza dei suoi accordi diretti con il fornitore. Il giovane si era vendicato mostrando a Rosita la scatola dove Teresa teneva le pillole, nascosta sotto un’asse del pavimento, sotto il letto. Tia abuela Rosita, irritata e ferita, aveva preso le pillole e le aveva buttate a una a una nelle condotte di scarico pubbliche. Teresa rimase così sconvolta nel vedere la sua riserva di felicità finire nelle fognature che, senza mostrare la minima emozione, impacchettò le sue cose, prese ciò che rimaneva del denaro guadagnato alla galleria, e se ne andò.

Diversi anni più tardi aveva cercato di ritornare, con l’idea di scusarsi con Rosita e di riconciliarsi con lei… ma l’atmosfera del quartiere si era molto deteriorata e la sua famiglia di adozione aveva cambiato zona. Se n’erano andati da un giorno all’altro, le aveva raccontato un anziano vicino, e nessuno sapeva che fine avessero fatto. A parte Ruy, naturalmente. Lui era rimasto ucciso in una rissa all’arma bianca.

Ma prima, lasciata la famiglia adottiva, Teresa aveva messo insieme uno studio di fortuna di fronte a Long Beach e dopo un po’ aveva scovato un altro fornitore di pillole nere. Venne a sapere che erano prodotti di laboratorio, encefaline sintetiche, molto potenti e in grado di creare una forte assuefazione. Ma questo non importava, lei non si sarebbe fatta trascinare. Sapeva quello che stava facendo. Cominciò a frequentare altri artisti della Città Galleggiante e capì che non era sola. Molti altri, come lei, dipendevano da sostanze chimiche, chi in un modo chi nell’altro. Alcuni usavano addirittura le pietre Esotiche, gli oneiroliti provenienti dalle miniere brasiliane. Ma quella era un’altra cosa, pensò. Troppo strana, non del genere che interessava a lei.

Non seppe mai dire il momento esatto in cui la faccenda le prese la mano. Il limite che aveva oltrepassato era invisibile. Stranamente l’assuefazione non interferì in modo negativo con il suo lavoro. Semmai, accadde il contrario. Era come se quel qualcosa dentro di lei che era capace di creare opere d’arte, venisse addirittura stimolato dalla droga, nello stesso modo in cui un albero che sta per morire produce fiori e frutti con più abbondanza.

Le capitava a volte, nei momenti di lucidità, di notare un certo deterioramento. Lo percepiva come un cambiamento, non in se stessa, ma nell’ambiente che la circondava. Il suo studio le sembrava di colpo più piccolo; be’, sì, si era trasferita scegliendo la sistemazione più economica, per risparmiare sull’affitto. La sua immagine allo specchio era diventata più scarna, ma era colpa delle economie sul vitto, necessarie per far durare il denaro un po’ più a lungo. La situazione peggiorò in modo così graduale che non sembrò succedere assolutamente nulla, finché Teresa non si ritrovò sola nell’angolo di una vecchia stazione di servizio, con un materasso lurido e una ciotola piena di pillole. Una ciotola di felicità.

Sapeva che si stava uccidendo. L’idea della propria morte si insinuò nella sua mente con tanta facilità da sembrare alla fine inevitabile e familiare. , pensava, sto morendo. Eppure, morire in stato di grazia le sembrava meglio che vivere in una condizione di persistente angoscia. Forse era una specie di conto in sospeso che doveva pagare. Forse sarebbe stato meglio morire nel grande incendio.

Ma l’anoressia e la denutrizione l’avevano fatta ammalare, i gomiti e le ginocchia le facevano male ed era quasi sempre febbricitante. Tornò a cercare sollievo nelle pillole rosa e gialle, e le aggiunse alla sua dieta ormai esclusivamente chimica. La combinazione l’aiutò per un certo periodo, ma a lungo andare il dolore fisico si ripresentò. A quel punto avrebbe accolto come un sollievo anche la morte, il suo corpo ormai distrutto quasi la implorava, ma lei non seppe mai decidersi a tentare il suicidio. Era come strisciare verso la morte senza poterla però affrontare direttamente. Se l’avesse guardata in faccia, qualcosa dentro di lei l’avrebbe riconosciuta, si sarebbe ribellato, le avrebbe impedito di compiere il grande salto. La frustrazione era disperante.

Conosceva Byron Ostler solo vagamente: apparteneva a quella cerchia di amici che ormai si era assottigliata. Lui non era un artista, ma commerciava in pietre esotiche. Ormai afflitta dal dolore costante, con la paura di prendere una dose esagerata di pillole, Teresa riconsiderò l’idea di usare le pietre dei sogni. Producevano delle visioni, dicevano i suoi amici artisti. Be’, lei non desiderava visioni, dal momento che ne aveva già anche troppe per conto suo. Ma le visioni, almeno, potevano scacciare il demone dell’angoscia. Valeva la pena di tentare.

Si sforzò di non far caso alla pietà che traspariva dal viso di quell’irsuto veterano in tuta consunta, quando andò a parlargli. Gli tese la mano con il denaro. Ormai gliene rimaneva ben poco. Ma lui non volle prenderlo. Sbatté le palpebre dietro gli occhiali a forma di luna piena e le regalò la pietra. Era piccola, di un colore azzurro pallido e dalla forma strana. Quando lei la prese, senza aspettarsi nulla, sentì la mano vibrare. — Fallo qui — le disse lui.

— Che cosa?

— Consideralo un favore personale — ripeté lui. — Fallo qui.

La visione fu intensa. Rimase in trance solo per un paio d’ore, riferì Byron, ma a lei sembrò un tempo infinito. Teresa vide, come pezzi di un mosaico, le immagini dal mondo lontano degli stranieri alati. Danzò come un turbine attraverso la storia. Stranamente, per quanto ci fossero miseria, dolore e sofferenza in ciò che vedeva, lei ne ricavò una certa forza. Era il vigore delle immagini a rianimarla, pensò. Quel fiume di vita, intrecciato in una doppia spirale, all’infinito.

Vide anche, per la prima volta, la bambina che avrebbe occupato in futuro tanta parte dei suoi sogni.

Indossava stracci al posto dei vestiti e scarpe da tennis legate con lo spago. — Devi cercarmi — le diceva in tono solenne. — Devi trovarmi. — E Teresa scoprì che quell’imperativo era dentro di lei, e forse c’era stato per tutto quel tempo. Sì, doveva trovarla.

Byron mise in moto la sua motolancia e la riportò nello studio nella zona sud della Città. Non era uno studio. Ora lo vedeva chiaramente. Era un angolo sordido in un edificio abbandonato. Teresa guardò la ciotola piena di pillole, con aria sgomenta.

— Posso chiamarti un dottore — disse Byron.

Lei si strinse nelle spalle. Stava morendo, ed era rassegnata ad accettarlo. Lo disse a Byron, ma proprio mentre lo diceva, sentì gonfiarsi dentro di sé un’inaspettata riluttanza. — Voglio usare ancora la pietra — mormorò.

— Allora lasciami portare qui un dottore. E del cibo. — Byron si guardò intorno. — E forse sarà meglio che ripulisca un po’ questo posto. Cristo, è un cesso.

Lei acconsentì.

Il recupero fu molto duro. Il medico che Byron portò da lei era un rifugiato MD, che le iniettò subito delle vitamine e mise sotto controllo i suoi neuropeptidi con un monitor tascabile. Dopo, Byron la persuase a mangiare qualcosa.

La salute fu quasi un trauma. Il mondo le sembrò tinto da colori più vividi e persino il cibo ebbe un gusto migliore. Teresa ricominciò a lavorare. Con il denaro guadagnato, trovò una sistemazione più vicina a Byron. Cominciò a fare lunghe passeggiate fino al margine della darsena per guardare le nuvole che venivano dal mare. Non aveva smesso di desiderare le pillole, e il medico le disse che, probabilmente, la voglia le sarebbe rimasta per sempre, dato che era ormai impressa in modo indelebile nel suo organismo. Ma le pietre esotiche sembravano attenuare il desiderio. Teresa non capiva molto di ciò che vedeva in trance, ma tentò di riprodurre alcune immagini nel suo lavoro. Così, eseguì il primo dipinto su cristallo, un luminoso paesaggio alieno.