— Davvero?
— Il nome è Ng.
— Capisco — disse Andreazza, annuendo.
Pranzarono insieme al commissariato militare. Oberg era ansioso di continuare il suo lavoro, l’urgenza gli rendeva l’attesa insopportabile, ma Andreazza l’obbligò a rispettare il protocollo della buona educazione. Il cibo, era ovvio, risultò disgustoso.
— Oberg — disse Andreazza a un certo punto. — Stephen Oberg. Lo sapevate che c’era un Oberg qui, durante la guerra? Apparteneva ai Reparti Speciali, penso. Rase al suolo un certo numero di villaggi a ovest di Rio Branco. Fu uno scandalo. Uccise centinaia di donne e bambini. — Sorrise. — Così almeno raccontano.
— Non lo sapevo — rispose l’altro con disinvoltura.
— Già — concluse Andreazza, in tono pensoso.
10
Il giorno fissato, Roberto Meirelles si svegliò prima dell’alba, con il presentimento che qualcosa stesse andando storto. Il problema era uno solo: portare a termine l’affare, oppure no?
Dormiva su un letto di legno nella sua baracca in una valle vicina alla città vecchia di Pau Seco. Una pessima sistemazione. La maggior parte delle acque di scolo della città scorrevano proprio accanto alla baracca, in un torrentello fangoso e puzzolente che oltrepassava altre abitazioni altrettanto squallide e andava a perdersi in un boschetto reso verdissimo e rigoglioso da quella ricchezza di concime naturale. Tutto ciò che Meirelles possedeva si trovava nella baracca: due T-shirt cachi scolorite, due paia di pantaloni da lavoro, un materasso, una fotografia della moglie e della figlia.
E la pietra.
Quella mattina, già nervoso ma ben deciso a non pensare alla giornata che l’attendeva, tolse la pietra esotica dal nascondiglio che le aveva creato, una fessura del materasso da cui aveva estratto un pugno di imbottitura, e la guardò con aria grave alla luce di una lampada a batteria.
Tu sarai la mia fortuna, pensò. Oppure la mia morte.
Prese la pietra con cautela. Nel tempo aveva imparato a conoscerne le sfumature. Sospesa come ora nel palmo aperto della sua mano, generava solo un impercettibile brivido di timore, un’eccitazione sottile che sembrava tramutarsi in una sensazione fisica, appena dietro gli occhi. Se l’avesse stretta con forza tra le dita avrebbe cominciato a funzionare. Avrebbe prodotto le visioni; visioni di posti così incredibili e lontani che Meirelles non riusciva nemmeno a immaginare dove si trovassero. Oppure, più spesso, visioni di casa sua.
Meirelles aveva saputo che gli oneiroliti erano venuti da un altro mondo, che avevano viaggiato per uno spazio inimmaginabile. All’inizio se ne era meravigliato, ma ora la cosa non gli sembrava più tanto strana o stupefacente. Era un dato di fatto, e i fatti diventano più accettabili, con l’abitudine. Ciò che per lui rendeva la pietra stupefacente, e preziosa, era la sua capacità di fargli rivivere i ricordi della moglie e della figlia a Cubatao. Con un po’ di fortuna, pensava, quella stessa pietra gli avrebbe permesso di arricchirsi e di tornare da loro.
Scrollò la testa. I sogni erano prematuri. Peggio, pericolosi. Rimise la pietra nel materasso e rimandò la decisione. Per quanto possibile, si sforzò di sgomberare la mente.
Fuori, il cielo cominciava a schiarirsi. Si sentiva il rumore delle prime pentole; i galli cantavano e l’abbaiare dei cani randagi spazzava via la notte. Era un mattino come gli altri, si ripeté con severità.
Gli piacesse o meno, Meirelles apparteneva alla categoria delle formigas. Detestava quel termine: lui era un tipo orgoglioso, e il paragone con un insetto lo umiliava. Tuttavia, dato che faceva parte di quell’orda di uomini costretti a passare la giornata nella miniera con il sole a picco sulla nuca, immaginava che il paragone fosse inevitabile.
Portava enormi borse di tela fissate con delle cinghie alle spalle e alla vita. Il lavoro e la dieta altamente proteica della mensa lo avevano reso magro ma forte. Aveva trentacinque anni e li dimostrava tutti, ma con il tempo era diventato fiero del proprio corpo. L’epidemia del virus di Oropuoche, che aveva colpito Pau Seco l’anno prima, non lo aveva nemmeno sfiorato. Il suo fisico era più resistente e certamente più sano di quanto sarebbe stato se lui fosse rimasto a Cubatao.
Il pensiero non era piacevole, e Meirelles lo scacciò. Dopotutto, sua moglie e sua figlia abitavano ancora là.
Scese i gradini di legno che in una lunga serie solcavano il pendio ripido della collina; scese una scala di corda e infine l’ultima strettissima rampa che portava sul fondo della voragine. La temperatura, laggiù, era di dieci gradi più alta, e Meirelles si legò uno straccio attorno alla fronte per fermare il sudore. Alcuni uomini erano già al lavoro, mentre i garimpeiros controllavano dalle tende oppure si univano al lavoro muniti di picconi e badili. L’ambiente estremamente primitivo non lo impressionava; del resto, anche le fabbriche della Mogi River Valley erano primitive.
Meirelles si mise al lavoro come ogni giorno. Gli era impossibile ignorare il fatto, comunque, che quello non era un giorno come gli altri. La polizia militare stazionava in rigide falangi accanto agli alti recinti metallici che circondavano la miniera. Tutti quelli che entravano o che uscivano venivano perquisiti. E, per la prima volta da quando lui era arrivato, quel giorno c’erano soldati anche sul fondo. Si spostavano tra i garimpeiros e facevano molte domande.
Se avesse avuto un po’ di buonsenso, si rimproverò Meirelles, avrebbe lasciato la pietra nel materasso e se ne sarebbe dimenticato. In tutti i sensi.
Lui lavorava per un uomo di nome Claudio, un individuo noto per essere un nipote dei Valverde e già ricco per aver estratto dal suolo molte pietre di valore. Claudio incrementava i suoi profitti assumendo manodopera tra i poveracci che arrivavano in città in cerca di fortuna, procurando loro documenti falsi e minacciando poi di denunciarli all’autorità militare. Meirelles era appunto uno di questi. Guadagnava poco e spediva tutto a Cubatao, alla sua famiglia. Grazie ai documenti falsi non spendeva nulla né per mangiare alla mensa dei lavoratori né per dormire nella baracca.
Era un accordo duro ma abbastanza ragionevole, aveva pensato all’inizio. E se avesse estratto una pietra gli sarebbe toccata una percentuale, e avrebbe potuto trasferirsi con la famiglia lontano dalla letale Mogi River Valley. Tutto ciò che voleva era il denaro sufficiente a costruirsi una nuova vita.
Il tempo passava, molti oneiroliti venivano estratti, ma Meirelles non vedeva mai niente più della sua misera paga settimanale. Finché un giorno raccolse tutto il suo coraggio e andò ad affrontare Claudio nella grossa tenda sopra la miniera. Claudio lo blandì e gli promise che le cose sarebbero state diverse in futuro. Il giorno seguente, uno degli uomini di Claudio, membro di una setta indiana che si chiamava thug, gli fece un occhio nero e gli disse di accontentarsi di quanto gli veniva dato. Aveva un permesso di lavoro, no? che però poteva anche essere revocato. Doveva ricordarsi che era molto facile finire davanti alla corte marziale.
Meirelles non se ne dimenticò. Soprattutto il giorno in cui affondò il badile nell’argilla molle e lo sentì cozzare contro qualcosa di solido.
La giornata era quasi finita. Negli anfratti più profondi della miniera già si raccoglievano le ombre lunghe della sera. I lavoratori stavano radunando gli arnesi e si preparavano al lungo tragitto verso le docce e poi le mense. Sentendosi di colpo febbricitante, Meirelles affondò la mano nell’argilla umida e afferrò l’oggetto che aveva incontrato. Ancora curvo, scostando appena la terra che lo ricopriva, scorse il luccichio azzurrino della superficie di una pietra esotica. Era grossa, e perfetta; sicuramente di grande valore. Lui tremò, prendendola in mano.