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Ng strinse la mano di Meirelles, per sigiare la felice conclusione dell’affare.

Adesso, pensò Meirelles. Se voleva dirgli della polizia, doveva farlo adesso. Se uscivano da quel bar senza che Ng ne sapesse qualcosa, probabilmente il vietnamita li avrebbe invitati tutti a casa sua, dove la polizia li stava aspettando.

Ma se gliel’avesse detto, Ng avrebbe preteso che lui restituisse il denaro?

Tastò l’assegno che aveva in tasca, una presenza che gli riscaldava il cuore. Un biglietto di ritorno tra le braccia di sua moglie e di sua figlia. Un biglietto per uscire da Pau Seco e tornare a Cubatao. Un pezzo di carta in grado di assicurargli una vita migliore.

Ritirò la mano, mentre l’orientale si alzava. Gli americani erano già in piedi.

— Aspettate — disse.

— Che cosa c’è? — chiese Ng socchiudendo gli occhi.

Meirelles sentì il sudore imperlargli la fronte. Guardò il vietnamita in faccia. Non era abituato a facce come la sua, così difficili da decifrare.

— La polizia — disse con un filo di voce. — Qualcuno vi ha tradito.

L’omino lo fissò con aria grave, per un tempo che gli parve interminabile. Si piegò sul tavolo di legno, con le nocche serrate e una espressione terribile negli occhi. Meirelles non riuscì a distogliere lo sguardo. Risparmiami, pensò, ormai in preda al panico.

Ma Ng si limitò a stringergli la mano una seconda volta.

— Grazie, Roberto — gli disse. — Grazie per avermelo detto.

I tre americani lo seguirono fuori.

11

Ng descrisse il posto, che si trovava sulla strada, e disse loro di aspettare là. Un autocarro sarebbe venuto a prelevarli.

— Potrebbe essere una trappola — brontolò Byron. — Chi ci assicura che non ci avete venduto?

Keller si aspettò una reazione irritata da parte del vietnamita, invece lui scrollò soltanto la testa. — Ho anch’io il mio onore — assicurò. — Non tradisco chi mi paga.

Così s’incamminarono lungo la strada che univa la miniera alla città vecchia, nascosti dai vestiti, dal buio della notte e dal viavai delle persone attorno a loro. Evitarono i falò e camminarono con le spalle curve, non troppo adagio ma nemmeno troppo in fretta, attenti alle pattuglie della polizia. Fuori dalla città si mantennero al riparo del bosco. Un cane dal torace magro si affiancò a loro per mezzo chilometro, saltellando su tre gambe. Byron gli tirò dietro un sasso, per convincerlo ad allontanarsi.

Finalmente arrivarono nel punto che Ng aveva descritto, uno slargo nella strada allo sbocco di una pista disboscata che proveniva da ovest. La mezzanotte era già passata e il traffico era molto ridotto. Per due volte dei grossi diesel d’anteguerra passarono rombando accanto a loro, diretti verso Pau Seco. Una volta, invece, transitò un mezzo di trasporto militare. Per il resto del tempo la strada rimase vuota, e nella notte si udirono soltanto i rumori del bosco.

Keller era caduto in una specie di vigile dormiveglia, quando un furgone si fermò sul margine della strada, svegliandolo. Il cielo andava già schiarendosi e lui fu in grado di leggere la parola ELETRONORTE scritta a lettere bianche un po’ sbiadite sulla fiancata mezzo arrugginita del veicolo. L’autista aspettava, con il motore in folle.

Keller si fece avanti per primo, seguito da Byron e poi da Teresa. L’autista, dagli occhi grandi e impassibili, fece cenno di salire dietro. Keller richiuse con un colpo secco la portiera e il veicolo ripartì immediatamente.

Sedettero sul pianale di metallo completamente sgombro, con la schiena appoggiata alla paratia.

— Dove ci porta? — chiese Teresa con voce stanca.

Byron si strinse nelle spalle. — Non ha molta importanza, dato che non possiamo più passare da Rio. È meglio che evitiamo le grandi città, almeno per il momento.

Teresa strinse tra le mani il fagotto della pietra esotica, quasi accarezzandolo con le dita. — Almeno abbiamo ottenuto ciò che volevamo — commentò.

— Tu l’hai ottenuto — precisò Byron. — E anche Ray, immagino. Un buon reportage, Keller? Direi di sì, dannazione.

Keller non disse nulla. Teresa si era appoggiata contro di lui, a occhi chiusi. L’uomo le mise un braccio attorno alle spalle, per farla stare più comoda, e il furgone continuò il suo viaggio nella notte, portandoli lontano da Pau Seco.

Scivolò nel sonno, conscio del calore e del peso del corpo di Teresa contro il suo, mentre il furgone proseguiva in direzione dell’alba. Di tanto in tanto l’autista lanciava un’occhiata alle sue spalle, senza parlare ma con espressione perplessa, come se stesse cercando di ricavare un senso dall’aspetto di quel nuovo, misterioso carico. Alla fine, quando le luci che filtravano dalla cabina lo svegliarono, Keller abbozzò un sorriso.

— Grazie del passaggio — disse con la voce ancora impastata di sonno.

Il conducente scrollò la testa.

— Ela e muito gentil. - Gesticolò in direzione di Teresa. — Ragazza graziosa.

Molto graziosa, pensò Keller senza malizia.

— Vostra ragazza? Vostra moglie?

— No. — Decisamente no. Ma strinse le braccia attorno à lei in un gesto protettivo, e Teresa si mosse nel sonno.

— Vostra ragazza — ripeté l’autista, convinto, e tornò a volgere la sua attenzione alla strada.

E Keller riconobbe, in un attimo di introspezione penetrante come un raggio di sole, che l’uomo aveva ragione, che si stava innamorando di lei. E che magari era già successo.

Il che lo metteva in una brutta posizione.

Adhyasa, pensò. Doveva comportarsi come una macchina. Le macchine non hanno sentimenti e quindi non è possibile corromperle. Una macchina innamorata può anche provare la tentazione di distogliere lo sguardo.

Eppure… Rimase seduto sul pianale traballante del furgone, con il corpo di Teresa appoggiato contro di sé, e pensò che la desiderava più di quanto avesse desiderato qualsiasi altra cosa da anni. Il desiderio stesso era una cosa nuova, che gli si alzava dentro come un’onda di marea. Una parte di lui accettava la cosa con gioia, felice che l’antica tundra minacciasse di sgelarsi. Un’altra parte ne temeva i rischi. Allontanarsi troppo dal Palazzo del Ghiaccio lo avrebbe messo a nudo e reso vulnerabile. Fuori, potevano attenderlo molti pericoli.

I vecchi dolori. I ricordi. Le cose già viste.

Eppure…

— Ecco — disse all’improvviso l’autista. Il furgone rallentò e Keller andò a sbattere contro la paratia. Teresa si riscosse con un gemito. — Avie-se! In fretta, per favore.

Rimasero di nuovo soli, strizzando gli occhi per la troppa luce, in un’arida città posta all’incrocio di molte strade che si chiamava Sinop.

Avevano carte di credito e banconote brasiliane. Quanto bastava, disse Byron, per farli uscire dal paese. Per il momento dovevano trovare una stanza. Poi, l’indomani, avrebbero seguito l’autostrada orientale fino a Barreira, o magari Campo Alegre. Lui aveva delle conoscenze a Belem. Con il loro aiuto avrebbero potuto trovare una combinazione per lasciare il Brasile in aereo.

Affittarono una stanza a buon mercato prima che scendesse la sera. Byron si avviò alla porta con un pugno di monete in mano. Voleva fare alcune telefonate, spiegò, ma non da lì. Magari si sarebbe anche ubriacato. Guardò Keller, poi Teresa. Sì, si sarebbe ubriacato senz’altro.

La porta si richiuse dietro di lui come un sospiro.

Teresa tirò le tende e spense la luce. Ora la stanza era buia come una caverna, e il rumore del traffico proveniente dalla strada principale risultava ingigantito dall’oscurità. Lei si arrampicò sul materasso a molle di tipo economico su cui Keller si era già sdraiato e si rannicchiò contro di lui. Indossava ancora i vestiti che si era messa a Pau Seco, impregnati dell’odore del carburante del furgone e di quello più pungente del sudore. Dopo un attimo Keller si rese conto che stava tremando.