— Hai paura? — le chiese.
Teresa si girò e annuì contro il suo petto. — Siamo nei guai, vero? Non ci vuole molto a capirlo. Siamo nei guai.
Aveva ragione, naturalmente. Wexler le aveva promesso un viaggio facile, una specie di vacanza. Ma la grossa presenza militare a Pau Seco e la paura tangibile negli occhi di Meirelles avevano dimostrato che l’impresa era andata ben oltre la progettata gita di piacere. Qualcuno aveva cominciato a interessarsi a loro. L’Organizzazione federale, si disse Keller. Forse, nell’istituto di Wexler a Carmel c’era una talpa. Oppure lo stesso Wexler era un informatore, o magari aveva confessato durante un interrogatorio. Non aveva importanza. Restava il fatto che c’era qualcuno interessato a loro. Qualcuno molto potente.
Dal momento che non trovava niente di rassicurante da dirle, Keller cercò di tranquillizzarla accarezzandola.
— Tu sei un Angelo — disse lei, con aria assonnata.
Lui annuì nel buio.
— Viene registrato tutto nella memoria?
— Tutto quello che vedo e sento.
— Anche questo?
— Anche questo — ammise lui.
— Chi lo vede?
— Forse nessuno.
— Chi lo trasforma in video?
— Io — rispose Keller. — Decodifico la memoria ed eseguo il montaggio negli studi della Rete.
— Decodificherai anche questo?
Intendeva la conversazione, forse. Oppure quello che stava cominciando a nascere tra di loro. Keller esitò. — No — rispose infine.
Lei tracciò i contorni del suo cranio con le dita. — Hai dei fili qui dentro.
Lui annuì.
— Dicono che possono provocare disturbi.
— È vero.
— A te ne danno?
— A volte. È difficile spiegarlo. La memoria gioca brutti scherzi. — Ray rimase con gli occhi fissi nel buio. — Prima che mi istallassero l’impianto, quando ero ancora nell’ospedale militare di Santarem, ho rubato un testo dalla biblioteca medica. Elencava una serie di effetti collaterali, di disturbi che potevano verificarsi se qualcosa andava storto. Cecità, amnesia, perdita delle emozioni…
— Emozioni?
— Sì. — Lui sorrise, pur sapendo che Teresa non poteva vederlo nel buio. — L’amore, l’odio.
— Ti succede questo?
— Non lo so. — La domanda lo fece sentire a disagio. — A volte me lo chiedo anch’io.
Non c’era modo di spiegarle che cosa intendesse in realtà. Non c’era modo di condensare l’esperienza in poche parole. Keller era emerso dall’ospedale militare per affacciarsi in un mondo pieno d’incertezze. I fili non avevano invaso solo il cervello, ma tutta la sua essenza. Ogni percezione diventava sospetta, ogni emozione era un potenziale sintomo. È così che si impara, pensò. Praticando il wu-nien con grande attenzione si diventa, in qualche modo, delle macchine.
Avrebbe voluto spiegare che si trattava di una strana combinazione di chiarezza e confusione. Come quelle notti in cui la nebbia è così fitta che viene il dubbio di essere ciechi, e invece i suoni giungono da distanze incredibili con sorprendente nitidezza. Magari non riesci a vederti i piedi, ma la sirena di una nave in porto ti arriva con fragore e tonalità assolutamente intatte. Allo stesso modo, Keller era in grado di registrare il distante scampanellio degli eventi, sia economici che politici. Eseguiva quel compito con grande maestria. Ma la nebbia nascondeva l’amore. E anche l’odio.
— Dev’essere una sensazione strana. — Teresa sembrava più calma, mentre scivolava nel sonno, stretta contro di lui.
— Già, piuttosto strana. — Ma non fu certo che lei avesse sentito. Il suo respiro divenne più profondo, mentre lei si abbandonava tra le sue braccia. — Molto strana — ripeté Ray, rivolgendosi alla stanza buia e silenziosa.
Raggiunsero in autobus la provincia settentrionale del Para e si fermarono una notte a Campo Alegre, sul fiume Araguaia. Era una vecchia città, con un’economia basata principalmente sull’allevamento del bestiame, organizzata in cooperative. La loro sistemazione era primitiva e il puzzo del macello poco lontano ricordava a Keller la prima impressione che aveva avuto da Cuiaba. Si fermarono in un vecchio albergo del ventesimo secolo, frequentato da tetri agenti di commercio che si occupavano dell’esportazione della carne. Sbalordirono l’addetto alla ricezione pagando in contanti. Male, disse Byron, il contante dava nell’occhio. Ma finché non riuscivano a procurarsi qualche carta di credito al mercato nero, non potevano fare altrimenti.
Teresa comperò qualche indumento più consono alla foggia locale e una borsa nella quale nascondere la pietra esotica. Ray aveva osservato il modo in cui se la portava dietro, con cura esagerata e l’evidente desiderio di usarla al più presto. Un desiderio appena smorzato dalla paura. Ciò che Teresa chiedeva alla pietra, aveva capito, era un aiuto per ritrovare la memoria. Gli sembrava pericolosa e ingenua l’idea che la memoria fosse in grado di dare un nuovo significato alla sua vita, come se fosse stata un tesoro sepolto.
Lui sapeva tutto sulla memoria. Ed era sicuro che non fosse affatto un tesoro. Anzi, il vero tesoro era l’oblio. Ma dov’era la pietra, la droga, la pillola o la polvere che poteva operare una così grande magia?
Teresa si ritirò nel minuscolo stanzino per la doccia e lasciò Byron e Keller da soli in camera. Fino a quel momento Byron era rimasto alla finestra, con gli occhi fissi sulle acque gonfie dell’Araguaia. Adesso, mentre lo scroscio costante dell’acqua riempiva il silenzio della stanza, si volse all’improvviso verso Keller.
— So che cosa sta succedendo — dichiarò.
L’altro lo fissò senza parlare.
— Non è certo un segreto — continuò Byron. — Cristo, Ray. Non sono cieco. E nemmeno sordo. — Raddrizzò le spalle, e quel gesto di grande dignità tradì tutto il suo dolore. — Non è difficile capire. E non è detto che io disapprovi. Se lei è felice, per me va bene. Se tu non la stai usando, intendo dire. Il punto è questo: non voglio che tu le faccia del male.
— Ascolta, io… — incominciò a dire Keller.
— Credi che sia facile per me? — l’interruppe Byron, in tono convulso. — Ero anch’io come te, ricordi? So che cosa vuol dire. Ero un buon Angelo. Facevo il mio lavoro con passione. Poi tornai dalla guerra e mi fece disconnettere i fili. Fai pure quei gesti, come per dire che hai capito, che io sono tornato alla vita normale… Ma non è così semplice. Ci si porta dietro tutto, nella vita. Non è solo una faccenda fisica. Se vuoi davvero tornare nel mondo devi andarlo a cercare, riprenderne possesso. Devi avere qualcosa per cui valga la pena di provarci. — Sospirò a fondo, prima di riprendere a parlare.
— Io avevo lei. Non era una semplice infatuazione, ma molto di più. Forse era amore vero. Probabilmente lo è ancora. Lei rappresentava il mio biglietto di ritorno per il mondo. Sai come succede, la gente scopre che sei stato un Angelo e comincia a trattarti in modo diverso. Come se tu fossi uno zombie, un morto vivente. A volte non mi interessa che la gente lo pensi, a volte sono io stesso a incoraggiarla. Non fa sempre male, trovarsi in un mondo a parte. Ma non voglio che sia realmente così. Mi capisci? Lei era il mio modo di dimostrare che non era vero. Le ho voluto bene abbastanza da salvarle la vita, o da accompagnarla fin qui. Conosco il sentimento che lei prova per me. Non è amore. Ma non mi interessa. L’importante è che io ami lei, e che abbia continuato ad amarla anche quando è andata a letto con altri. Anche adesso che si sta palesemente innamorando di te. Ciò che importa è il mio amore. — Aveva i pugni stretti e il viso rivolto alla finestra.