— Immagino che per te sia difficile capirmi — continuò. — Il tuo impianto funziona ancora. Il Palazzo di Ghiaccio ti mette al riparo da tutto, anche se con ogni probabilità sei convinto del contrario. Puoi guardare Teresa dall’alto del tuo castello sicuro, e puoi addirittura permetterti il lusso di innamorarti un po’. Bel coraggio! I miei fili non ci sono più, Ray. Qui sta la differenza. Io non sono più una macchina. Sono un essere umano, oppure una nullità. Sono una macchina guasta. Per questo l’amo. Se lei mi ricambia, tanto meglio, è il massimo che possa sperare, ma anche se non mi ama, se mi fa stare male, io continuerò a lasciarla fare, perché solo così sarò sicuro di essere davvero tornato dalla guerra, di essere di nuovo nel mondo, di respirare… — Premette i pugni contro i braccioli della poltroncina. — Di essere fatto di carne e di sangue.
Keller continuò a fissarlo in silenzio.
Byron scrollò la testa. — È difficile parlare con te, a volte.
Nella doccia, l’acqua smise di scrosciare e le ultime gocce scivolarono lentamente verso il basso. Teresa canticchiava.
— Non farle del male — ripeté Byron con dolcezza. — È l’unica cosa che ti chiedo.
Arrivarono a Belem, un porto internazionale nelle ampie foci del Rio delle Amazzoni, dove Byron conosceva un americano espatriato che forse poteva aiutarli a uscire dal Brasile, e dove Keller fece l’amore con Teresa per la prima volta.
Avevano preso alloggio in una stanza d’albergo simile a quelle di Sinop o di Campo Alegre. La stanza si trovava in un bell’edificio in mattoni e si affacciava su un mercato di pesce chiamato Ver-o-Peso. Byron passò la maggior parte del tempo sulle banchine del porto, cercando di contattare il suo vecchio amico dell’esercito, e per parecchi pomeriggi Ray si ritrovò solo in camera con Teresa.
Fecero l’amore con le tende tirate. Cominciò a piovere e l’acqua attuti i rumori del traffico. Teresa gemette una volta, come se il semplice atto d’amore le avesse liberato dentro qualche brandello di memoria.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che Ray aveva fatto l’amore con una donna di cui gli importava. Si accorse, seppure in modo remoto, che qualcosa si muoveva dentro di lui, che qualche sinapsi abbandonata riprendeva vita. Immaginò la rete di fili nella sua testa come una cartina stradale in cui giungle neutrali, dimenticate per anni, si illuminavano all’improvviso. Era una specie di peccato, pensò, ma si abbandonò senza ripensamenti al suo sentimento per Teresa, alla gioia di fare l’amore con lei. Sapeva che non avrebbe mai decodificato quella scena dalla memoria AV, per cui gli sembrava quasi di avere dei dubbi sulla sua esistenza. Un’esperienza condivisa da loro due, destinata a rimanere solo nella memoria di lei e nella sua. Memoria umana, si disse, volubile e poco affidabile. Ma ne avrebbe custodito il ricordo con cura. Adhyasa, il peccato dell’Angelo. Ma l’avrebbe tenuto stretto dentro di sé.
Dopo, rimasero abbracciati in silenzio.
La pioggia aveva sollevato un velo di umidità e la pelle di Teresa sembrava febbricitante accanto alla sua. Lei teneva gli occhi ostinatamente chiusi. La tensione degli ultimi giorni, pensò Keller, il viaggio da Pau Seco. E non solo quello.
— Non è solo dell’Organizzazione che hai paura — le disse.
Lei scrollò la testa.
— La pietra, allora?
— È strano — rispose Teresa. — Desideri qualcosa per tanto tempo, e poi… la tieni tra le mani e pensi "che cos’è?" "Che cosa ha a che fare con me?" — Si rizzò a sedere, scostando le lenzuola spiegazzate.
— Forse non ne hai davvero bisogno — suggerì Ray.
I capelli le si rovesciarono sulla spalla e sfiorarono il viso di lui. — Ne ho bisogno, credimi. I sogni… — Quel pensiero ne generò un altro.
La pioggia batteva contro il telaio troppo vecchio della finestra. Teresa si alzò e fissò da lontano la borsa in cui teneva nascosta la pietra. Keller provò una grande paura per lei. Non c’era modo di sapere che cosa poteva contenere la pietra.
— Cerca di avere pazienza — le disse. — Se torneremo nella Città Galleggiante, se tutto si sistemerà…
— No — replicò lei, risoluta, nel buio. — No, Ray. Non voglio aspettare.
12
I brasiliani tennero in custodia Ng per tre giorni prima che Oberg ne avesse notizia. Lo venne a sapere per caso, ascoltando un commento di una delle guardie di pace più giovani del maggiore Andreazza, e si precipitò subito nel suo ufficio per chiedere spiegazioni. — Dovevate dirmelo — protestò.
Andreazza lasciò vagare lo sguardo per la stanza prima di fissarlo, brevemente, sul suo interlocutore. — Dirvi che cosa? — chiese, simulando una vaga sorpresa.
— Di Ng. — Cristo, pensò Oberg.
— Il vietnamita è stato arrestato — dichiarò il maggiore.
— Lo so. Lo so che è stato arrestato. Voglio interrogarlo.
— Lo stanno interrogando proprio ora, signor Oberg.
— Volete dire che il massacro è già cominciato? Che lo avete già fatto morire?
I lineamenti di Andreazza si indurirono impercettibilmente. Il maggiore guardò il suo interlocutore con grande freddezza. — Non credo che voi siate nella posizione di sollevare critiche.
— E invece sì — replicò Oberg, sostenendo lo sguardo.
— Ho parlato con la SUDAM e con i miei superiori. Per quello che ci riguarda, voi siete un semplice osservatore. E vi consiglio di ricordarlo, quando vi rivolgete a me… Sempre che vi interessi la nostra collaborazione.
Oberg trattenne la risposta che aveva sulla punta della lingua. Il significato di tutta quella farsa, pensò tristemente, era che se li erano lasciati scappare. La pietra aveva preso il volo, e con lei gli americani. Nelle loro mani era rimasto solo Ng. Ed era una ben magra consolazione.
Provò un’ondata di rabbia nei confronti di Andreazza e dei suoi soldati, che lasciavano Pau Seco in balia della più disgustosa anarchia. Non aveva mai visto un ambiente così primitivo, e questo l’aveva colpito fin dall’inizio. Era una conseguenza evolutiva, naturalmente, il risultato della lunga serie di compromessi diplomatici che avevano concluso la guerra in terra brasiliana. Ma loro non sapevano, pensò Oberg, quasi con disperazione. Non sapevano come fosse importante quella faccenda. Non lo sapeva la SUDAM e nemmeno il governo civile, o forse non gliene importava. C’era da chiedersi se persino l’Organizzazione capisse veramente l’importanza di ciò che aveva scoperto.
Oberg sì, lo sapeva. L’aveva sperimentato di persona. Ne afferrava in pieno il significato.
Il peso di quell’evoluzione era ricaduto su di lui. E non era ancora finita. Forse Andreazza aveva rovinato tutto. Ma c’era ancora il tempo di rimediare.
— Mi dispiace di avervi offeso — disse, scegliendo con cura le parole. — Perdonatemi, non intendevo farlo. Desideravo solo vedere di persona il prigioniero.
Il maggiore gli concesse un breve sorriso. — Forse si può fare. Vi dispiace attendere?
E i secondi cominciarono a passare. Secondi, pensò Oberg. Poi minuti, ore, giorni. E intanto il contagio minacciava di diffondersi.
Ng non era più molto lucido quando lo condussero alla presenza dell’uomo dell’Organizzazione, Stephen Oberg.
Era prevedibile, dopo gli interrogatori da parte degli inquisitori militari. Lo avevano intercettato mentre tentava di forzare un blocco in una delle strade a est di Pau Seco, e lo avevano riportato indietro, in quell’edificio color cenere che serviva da prigione. Lo avevano messo in una cella troppo calda di giorno e troppo fredda di notte, e per due pomeriggi consecutivi lo avevano torturato.
La tortura era stata maldestra. Lo avevano spaventato più per come l’eseguivano che per ciò che gli facevano. Gli avevano infilato la testa in un sacchetto di plastica come per soffocarlo e lui si era preoccupato che fossero tanto stupidi o inesperti da non sapere quando era il momento di toglierlo. Oltre che maldestra, la tortura era anche antiquata. Giocavano la farsa dell’amico-nemico. C’era un alto sertao di origine indiana, con l’uniforme militare stracciata, che faceva la parte del buono parlandogli tra una sessione di tortura e l’altra e promettendogli clemenza. «Non lascerò che questi bastardi ti tocchino» gli diceva. A patto, si capisce, che Ng confessasse quello che sapeva sul furto dell’oneirolita. Il vietnamita fu attento a mostrarsi molto tentato dall’offerta, in modo da prolungare quei momenti di respiro. Ma non confessò nulla.