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Ma si era convinto della natura assolutamente deleteria delle pietre solo con il recente arrivo di oneiroliti di profondità dal Brasile. Aveva visto la loro influenza su criminali incalliti come Tavitch… e l’aveva avvertita anche su di sé.

Il contatto era stato breve e inevitabile. Oberg viveva nella base di ricerca e parecchie volte al giorno faceva la spola tra la sua camera, più simile a una cella, e le toilettes comuni. Le toilettes erano separate dall’ala degli internati solo da una porta chiusa a chiave. Un giorno d’inverno stava appunto compiendo quel pellegrinaggio, maledicendo il vento gelido venuto dal Canada che filtrava attraverso le inadeguate strutture isolanti dell’edificio prefabbricato, quando la porta di sicurezza si era aperta e il prigioniero Tavitch era entrato nel corridoio.

Tavitch era palesemente fuori di sé. Roteava gli occhi e aveva la bava alla bocca. Sostò vicino alla porta, fissando Oberg. Un paio di inservienti lo raggiunsero, ansimando, e gli si misero ai lati. Sembrava che nessuno dei due avesse il coraggio di prenderlo per un braccio. — Toccava a te chiudere quella dannata porta! — disse uno. L’altro tacque, con gli occhi fissi su Tavitch.

Tavitch l’assassino. Tavitch che sosteneva di vedere il passato. Oberg rabbrividì. Era in trappola.

Il prigioniero lo fissò. I loro occhi si incontrarono e Oberg rimase di sasso quando l’altro mostrò di riconoscerlo. — Cristo — disse piano.

Tavitch aveva i pugni contratti.

— Prendilo — disse a uno dei due uomini, ma Tavitch si slanciò in avanti, direttamente verso di lui. L’istinto gli suggerì di ritirarsi, ma per non perdere di dignità di fronte agli inservienti, decise di gettarsi contro Tavitch. Caddero sul pavimento avvinghiati.

Il contatto fu breve. Un secondo, forse. Ma fu sufficiente.

Inorridito, Oberg sentì la natura aliena della pietra pulsare dentro di lui.

Aprì gli occhi e scorse un villaggio dell’entroterra. Un villaggio Indio, probabilmente. Uomini con i capelli tagliati a scodella e le magliette stracciate, donne con i seni penduli scoperti. Un villaggio lungo il corso del fiume, pensò stordito, forse rifugio di sertao rivoluzionari oppure deposito di armi per il Blocco Orientale. O forse niente di tutto questo. Ma c’era in atto un assalto, e lui aveva un fucile in mano. Si trovava al centro dell’azione di rappresaglia, sparava addosso agli indigeni e vedeva i loro occhi simili a quelli dei cervi abbagliati dalla luce dei fari. Continuava a sparare, provando una grande euforia: era come un crescendo parossistico, l’acuto erotismo di un’esecuzione di massa. Creati da Dio. Ma all’improvviso smise di essere piacevole. Per chissà quale orribile miracolo, si trovò a condividere il terrore e il dolore degli indios che stava uccidendo, come se i proiettili devastanti colpissero anche la sua carne e il villaggio che bruciava fosse il suo. Il dolore e l’umiliazione ribollirono dentro di lui in modo inarrestabile, e questo era molto peggio di una ferita. Era un pozzo profondo dal quale poteva emergere chissà quale atrocità, da un momento all’altro.

Cercò di riprendere fiato quando finalmente gli inservienti spinsero via Tavitch. Il corridoio ritornò a fuoco. Un incubo, pensò quasi con disperazione. Ma Tavitch lo fissava con un ghigno astuto e terribile.

— Tu e io — disse. — Tu e io.

Oberg vomitò sul pavimento.

Fu molto metodico nel divorziare dall’Organizzazione. Ritirò una grossa somma di denaro da un conto di Belem prima che gli revocassero il credito. Inoltre, aveva il denaro di altri conti segreti personali.

Non portava rancore a Wyskopf o alla gente che Wyskopf rappresentava. La loro ingenuità era inevitabile, probabilmente collegata con il famoso "bernoccolo della simpatia". Tutti scambiavano le sue preoccupazioni riguardo agli oneiroliti per un’ossessione, ma non era così. La questione era molto più sottile. Oberg era un Aggressivo Latente, un Creato da Dio, un essere al di fuori della normalità. Come la pietra, rappresentava una deviazione della natura. La sua capacità di comprensione era dunque più acuta, più completa.

Ora conosceva qualche particolare in più su di loro. Teresa Rafael, Byron Ostler, Raymond Keller. Sapeva che aspetto avevano. Sapeva dove erano stati e, ancora più importante, dove erano diretti.

Prese un volo mattutino. Era piacevole lasciarsi alle spalle il Rio delle Amazzoni seminascosto dalle nubi, alzarsi senza sforzo nel cielo inondato di luce descrivendo una curva a est e poi a nord, dimenticarsi del passato e dell’Organizzazione. Era un cane sciolto, perché no?, con una missione purificatrice da compiere, determinato, e pronto a colpire.

16

Non sarebbe stato prudente riportarla nello studio vicino al margine della darsena, così Byron scelse una minuscola balsa nel cuore della Città Galleggiante e investì nell’affitto i pochi soldi brasiliani rimasti.

La sistemazione gli piaceva. Le lontane alture di San Gabriel gli ricordavano che il continente esisteva, mentre il vento odoroso di salsedine e la foschia mattutina gli parlavano del mare poco lontano. Se non fosse stato per quello, la balsa avrebbe anche potuto trovarsi in un posto indefinito, tra acqua e legno, case di carta aggrappate alle fondamenta dei ponti, tra passaggi per i pedoni, lanterne cinesi e mulini a vento con le pale protese verso il cielo. Il canale del mercato si stendeva verso est, e garantiva uova e verdura fresca. La popolazione era mista, con una prevalenza di latini e indiani dell’est. Sulle banchine oltre l’argine di marea si poteva trovare del lavoro decente. Non c’era troppa violenza. Un buon posto, pensava Byron.

Gli piaceva più di quanto avrebbe dovuto. Sopiva i suoi sensi e questo era pericoloso. Doveva pensare al futuro, adesso… per il bene di Teresa, e anche per il suo.

Lei non era al sicuro lì. La cosa terribile era che, con ogni probabilità, non sarebbe stata al sicuro nemmeno altrove.

Continuò a camminare lungo le passerelle mobili che costeggiavano il canale, tra le vecchie baracche su palafitta simili a grossi trampolieri. Mentre camminava, pensava a lei.

Teresa non gli aveva confidato nulla, e questo lo feriva. Dal giorno della trance a Belem, era stata estremamente riservata, si scostava quando lui la sfiorava e sembrava aver perso la voglia di vivere. I suoi occhi si posavano spesso su Keller, ma lui era altrettanto distante. Sembrava quasi che una strana elettricità li avesse caricati di forze che si respingevano reciprocamente. Doveva essere successo qualcosa tra loro, quel giorno, nella stanza sul Ver-o-Peso. Forse avevano condiviso un’esperienza troppo terribile da sopportare.