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— Spirituale? — ripeté Byron sorpreso.

Di nuovo il sorriso. — Ero abituato a usare questo genere di parole con grande libertà. Comunque sì, spirituale. Era quello che volevamo. Un contatto autentico, attraverso il baratro che ci divide. — Wexler agitò la mano in direzione del cielo. — Purtroppo, su tutto era mantenuto il massimo riserbo. L’Organizzazione aveva paura. Negli ultimi trent’anni i governi nazionali hanno assistito a mutamenti sociali piuttosto tumultuosi, conseguenza diretta dello sfruttamento degli oneiroliti. Immense fortune sono state create e poi distrutte. Questo genere di instabilità fa sicuramente paura. L’idea di altri cambiamenti, e per di più accelerati, li rendeva nervosi.

— E allora hai organizzato un acquisto direttamente a Pau Seco.

— Credevo davvero che non avreste corso grossi pericoli. Ho sborsato una somma considerevole. Ho comperato la collaborazione di personaggi ad alto livello nella scala burocratica della SUDAM. Qualche rischio c’era, naturalmente. Lo feci presente a Teresa, quando si offrì volontaria. Ma anche se ci fossero stati intoppi legali, con il denaro sarei stato in grado di tirarvi fuori dai guai. Il regime di Valverde è molto accomodante.

— È stato molto peggio, invece — gli fece notare Byron.

Wexler distolse lo sguardo. — Me l’hanno detto. Il mio contatto in Virginia era nel mirino dei servizi segreti, e anche l’istituto di Carmel. Così il castello di carta è crollato. Non ho alcuna influenza sull’Organizzazione. Non sapevo nemmeno che sarebbero stati coinvolti. — Tornò a guardare Byron. — Siete riusciti a portare con voi la pietra?

— Sì. — Non c’era più motivo di nasconderlo, ormai.

— L’avete ancora?

Lui annuì.

— Teresa l’ha usata?

— Sì.

— Le sue reazioni sono state positive?

— No — rispose Byron.

Wexler annuì, riflettendo su quell’informazione. Guardò il mare. Le sue acque erano ampie e profonde, pensò Byron. Sconfinate. Come il cielo. Come le stelle.

— Dubito che gli Esotici ci avessero veramente capiti — disse Wexler all’improvviso. — Ci diedero le pietre, come dono, e fecero in modo che rimanessero nascoste finché non saremmo stati in grado di decifrarle e di riprodurle. Un codice binario che si propaga attraverso assi di simmetria. Microvoltaggi che trapelano in dimensioni spazio temporali complesse. Ma per quanto riguarda l’aspetto spirituale… — Sorrise ancora. Questa volta con amarezza, pensò Byron. — Credo che volessero semplicemente renderci più completi, curare quello che secondo loro era un difetto tragico. La mancanza di memoria, che per loro s’identificava con la mancanza di coscienza. Immagino che siano rimasti sorpresi dalla nostra aggressività. Dalla crudeltà, dalla capacità di infliggere dolore. La coscienza è anche capacità di ricordare… e le pietre l’avrebbero ripristinata.

— Ma in realtà non funzionano così.

— Credo che dipenda dal fatto che noi stessi siamo divisi, nell’intimo. Loro non potevano immaginarlo. Noi sopprimiamo i ricordi, e gli stessi ricordi a volte hanno una vita propria. Creiamo immagini di noi stessi e le immagini prendono vita. Questi meccanismi hanno un nome: conscio e inconscio. Ego e Id. E così via. Il sollievo maggiore, da sempre, è quello di dimenticare. — Scrollò la testa. — L’obbligo di confrontarsi continuamente con il passato, in modo sincero, richiederebbe una grande forza d’animo.

— Sono preoccupato per lei — disse Byron.

— Non posso aiutarla — sospirò Wexler, con rassegnazione.

Quando si allontanarono dall’oceano il sole era ormai basso sull’orizzonte.

— Se tu avessi la pietra — chiese Byron — se l’avessi qui in questo momento, che cosa ne faresti?

Wexler camminava come un vecchio. Il tramonto gli aveva dato un’aria meno ispirata. Aveva le gambe malferme e teneva la testa china. — Non lo so — rispose.

— La toccheresti?

— Non lo so… non credo.

— Perché no?

Ci mise un po’ a rispondere. Le labbra erano imbronciate e lo sguardo assente. — Forse ci sono episodi che non mi piacerebbe ricordare.

— Per esempio?

Silenzio.

— Tu eri l’unico a sapere — lo incalzò Byron. — Sei stato tu a mandarci a Pau Seco e a organizzare tutto. Nessun altro era informato.

— Supponi che stia mentendo — replicò Wexler. La sua voce era ormai tremula, quasi un soffio. — Supponi che io sia stato arrestato quando hanno chiuso l’istituto. E che gli uomini dell’Organizzazione mi abbiano interrogato. — Chiuse gli occhi. — Supponi che avessi paura e che, spinto dalla paura, io abbia confessato tutto ciò che riguardava la vostra missione in Brasile. E supponi che, per ricompensarmi della confessione, loro mi abbiano rilasciato. — Il suo sorriso adesso era desolato, tutt’altro che allegro. — Non ti pare che sarebbe qualcosa da dimenticare in fretta?

Quando raggiunsero nuovamente il caffè faceva già buio. L’aria si era rinfrescata e i tavoli erano quasi tutti vuoti. Wexler ordinò qualcosa da bere e Byron disse che doveva andare.

— C’è ancora una cosa che potrebbe esserti utile — gli comunicò Wexler.

Lui attese. L’aspetto abbattuto del vecchio scienziato cominciava a renderlo nervoso.

— Ho ancora qualche informatore nell’istituto della Virginia — continuò Wexler. — Un paio di canali liberi, che nessuno ha saputo scovare. Le ultime notizie dicono che l’Organizzazione si è molto calmata. Sanno che la pietra ha lasciato Pau Seco, ma non sono particolarmente interessati a rintracciarla. Secondo loro non avrà un grosso futuro sul mercato nero, e da quello che mi hai riferito probabilmente hanno ragione. Installeranno un presidio militare a Pau Seco per controllare i brasiliani, ma a parte questo il caso è chiuso

— Tuttavia potreste avere ancora delle noie. All’istituto, in Virginia, c’era un uomo dell’Organizzazione, un sociopatico latente che lavorava per loro dalla fine della guerra. Il suo nome è Stephen Oberg. Aveva il compito di intercettarvi a Pau Seco. Certe voci dicono che abbia sviluppato una fobia personale ed ossessiva nei confronti degli oneiroliti e che non abbia digerito la sparizione della pietra di Pau Seco. — Wexler scrutò Byron, con il respiro leggermente sibilante. — Potrebbe essere ancora interessato a voi.

— Oberg — ripeté lui. Il nome aveva qualcosa di familiare. Un’eco sinistra.

Il vecchio si sedette nell’ombra. Alzò il bavero, come per ripararsi da un freddo che era il solo a sentire. — Dicono che sia completamente pazzo — aggiunse.

Byron guidò la barca a noleggio verso casa, attraverso i canali rischiarati dalle luci al neon delle baracche e da miriadi di lanterne di carta.

Era consapevole del tatuaggio da Angelo sul braccio; Wexler ne aveva parlato. Eppure, per tanto tempo si era sforzato di cancellarlo. Non il simbolo in sé, ma il suo significato, e l’uomo che lui era diventato in guerra.

Ciò che aveva detto a Keller laggiù a Belem era vero. Non voleva essere una macchina. Capiva di esserlo diventato in parte, e capiva anche che il cammino per tornare nel mondo era irto di trabocchetti e di dolori. Teresa rappresentava la sua salvezza. Tutto ciò che voleva era una vita con lei. Gli sarebbe bastato. In mancanza di questo, si sarebbe accontentato delle cicatrici dell’umanità: del dolore di un impegno non revocato.

Per la prima volta, la questione era: quando sarebbe bastato? Fino a che punto il dolore rappresentava una prova? Dov’era il limite massimo?

Potrei scomparire, pensò. Potrei pagarmi dei nuovi documenti e rifugiarmi in continente. Lasciare la Città Galleggiante, lasciare il commercio delle pietre, bruciare tutte le tracce che quel tale Oberg avrebbe potuto seguire. Crearsi una nuova vita e nascondersi. Magari, trovare anche una donna disposta ad amarlo, e a dargli dei figli. Il vecchio tatuaggio era quasi completamente sbiadito. Una manica bastava a coprirlo.