— Non potete fare per voi quello che avete fatto per me… usare la pietra per ricordare?
— No — rispose Teresa.
La signora Gupta dondolò la testa avanti e indietro, accettando quella strana verità. — Posso tornare? — domandò. — Ci sono altre cose, altre volte…
— Tornate, se vi fa piacere. Ma vi avverto. Andrò via per un po’.
E chiuse la porta.
Quella notte fu assalita dall’inquietudine.
Per sua scelta viveva sola. E, sempre per scelta, abitava nella Città Galleggiante. Dopo il successo di vendite alle mostre avrebbe potuto trasferirsi sulla costa, comperare un appartamento e vivere nel lusso. Ma la città delle barche la rasserenava. Era un barrio bajo, un quartiere povero e malfamato, ma era anche el otro barrio, un mondo a sé. A dispetto o forse proprio a causa della sua miseria, la Città Galleggiante manteneva una certa signorilità a buon mercato di cui lei sentiva la mancanza quando visitava la terraferma. Il mondo della terraferma cambiava spesso e con rapidità, e gli abitanti che avevano più succcesso erano quasi sempre i più voraci, i predatori. Qui, invece, la sensazione del fallimento generale agiva da livellatore.
E poi, le piaceva la vicinanza dell’oceano. Tutta quell’acqua era stata imprigionata nelle immense darsene di marea e lei era quindi riparata dagli eccessi del mare, pur godendo della sua positiva influenza. Nei giorni di pioggia andava a passeggiare lungo i margini di cemento della diga e guardava le nuvole che si presentavano a ovest, sull’orizzonte. L’oceano le parlava. A volte, ma non quella notte, la calmava permettendole di addormentarsi.
E allora perché parti?
Stesa sul letto, Teresa cercò di trovare una risposta.
Il viaggio che si riproponeva poteva essere pericoloso. Lei lo sapeva. Wexler le aveva detto che sarebbe stata una vacanza ben meritata, e solo incidentalmente anche un’occasione di lavoro. Ma Byron si era mostrato più scettico. Avrebbero affrontato un mondo in cui onesti e criminali erano diventati ormai indistinguibili gli uni dagli altri. Danaro conquistato a fatica, aveva detto Byron. E gente dura. Per anni le pietre esotiche erano state i cardini del progresso, l’unica e più preziosa risorsa esistente al mondo. Avevano rovesciato la sovranità delle nazioni e la supremazia dei maggiori imperi corporativi. Per loro si era addirittura combattuta una lunga guerra. In quelle condizioni il contrabbando, anche quello progettato da Cruz Wexler, diventava una faccenda molto più che rischiosa.
Ma doveva andare, pensò Teresa. Ne sentiva l’urgenza. Non poteva continuare a fare per gente come la signora Gupta ciò che non poteva fare per sé. In quegli ultimi tre anni aveva ritrovato una parte di se stessa, e ne era felice. Ma non bastava.
Impazziva dalla voglia di partire. Nella Città Galleggiante c’era chi la definiva pazza, forse a causa dei suoi lavori oppure per il misterioso legame con le pietre dei sogni. Teresa la Pazza, dicevano.
Voleva essere solo una frase scherzosa. Ma quella sera, stesa sul letto senza riuscire a dormire, mentre i pallidi raggi della luna delineavano l’ombra delle falci sul pavimento di legno, lei si chiese se non avessero ragione.
Quando finalmente si addormentò sognò di nuovo la bambina.
Non poteva avere più di dieci anni. Era cenciosa e denutrita, indossava una vecchia tuta strappata e scarpe da tennis legate con uno spago. I capelli erano tagliati a scodella. Sembrava in piedi in un luogo indefinito, illuminata da un riflettore. Aveva braccia e gambe magrissime. Ma erano gli occhi che lei non avrebbe mai dimenticato.
Erano immensi, da vecchia, terribilmente acuti.
Teresa, nel sogno, si sentiva intrappolata dalla potenza di quello sguardo. Voleva abbassare gli occhi, ma non poteva.
— Trovami — diceva la bambina. — Aiutami. Trovami.
Lei si svegliò in un bagno di sudore. L’oscurità sembrava dilatarsi. Si raggomitolò con le ginocchia vicino al séno. Era in momenti come quelli che sentiva più profonda la solitudine.
— Va bene — disse nell’oscurità.
La balsa dondolava dolcemente con il crescere della marea. Il vento proveniente dal mare sollevava cortine di garza simili ad ali.
— Va bene. — Era solo un bisbiglio. — Farò ciò che vuoi. Ma, per favore, lasciami sola.
La mattina, Byron arrivò su una motolancia dai meandri del mercato galleggiante affollato di gente, in compagnia dello straniero, l’uomo che veniva dalla terraferma. Il nome dello straniero era Raymond Keller.
Teresa aveva accettato che una terza persona compisse il viaggio con loro. Tuttavia, si era mantenuta il diritto di veto sulla scelta di Byron. E in quel momento fu lieta della propria prudenza. Guardando Raymond Keller, non era affatto sicura di voler passare molto tempo in sua compagnia.
Condusse entrambi gli uomini sulla stretta balconata che circondava il suo studio, dove aveva sistemato delle poltroncine di vimini. Byron fece le presentazioni, lei portò fuori alcune bottiglie di birra messicana ghiacciata, poi si sedettero. Una strana compagnia, pensò Teresa. Byron, si capisce, sembrava fuori posto in qualunque luogo normale. Ci teneva molto alla propria immagine di chimico oneirolita fuorilegge, di feroce veterano della Guerra Brasiliana con tanto di cicatrici e tatuaggi, impenetrabile dietro le sue lenti a forma di luna piena.
Anche l’altro uomo, a quanto aveva detto Byron, era un veterano. Indossava una vecchia giacca militare, portava un equipaggiamento logoro e sembrava perfettamente intonato al suo ruolo. Forse anche troppo. Teresa diffidava dell’apparente opacità dei suoi pallidi occhi azzurri, del modo in cui la guardava quando si credeva inosservato. Aveva visto molte persone di quel genere alle mostre, operatori urbani con un occhio sempre fisso ai propri interessi. Uscivano dai sobborghi asciutti della Valle come da una catena di montaggio, levigati e inespressivi.
Parlarono della guerra in termini generici. Byron era stato l’Angelo del plotone di Keller, raccontò, e poi Keller era diventato a sua volta un Angelo. A differenza di Byron, aveva mantenuto l’impianto. Keller lavorava per la Rete e avrebbe registrato il viaggio per intero.
Byron le aveva già accennato qualcosa in precedenza. — Ray cura la redazione personalmente — aveva detto. — Desidera soprattutto il reportage su Pau Seco. Se appariremo nel materiale da consegnare alla Rete, i nostri nomi e le facce verranno sistematicamente alterati. Non abbiamo nulla da temere.
— Non capisco perché dovremmo aver bisogno di lui — aveva ribattuto Teresa.
— Perché è già stato laggiù — rispose Byron. — Perché conosce la zona. E poi, per venire al punto, perché mi fido di lui.
— Pensi che Wexler ci abbia mentito?
— Penso che anche lui può fare degli sbagli — aveva replicato Byron.
E ora quell’uomo, quell’Angelo in attività, era seduto e la guardava con i suoi remoti occhi azzurri. Era strano, a pensarci.
Teresa si scusò e andò nello studio a prendere un album da disegno e un carboncino. Li porse a Keller.
— Ray — disse. — Mi fareste un favore?
Lui esitò, poi annuì.
— Fate un disegno — gli chiese lei. — Mentre parliamo. Vi dispiace?
— Non sono un pittore.
— Non importa.
Keller corrugò le sopracciglia di fronte alla pagina bianca. — Che cosa devo disegnare?
— Voi stesso.
Lui le rivolse una lunga occhiata, ma fece cenno di sì.
— Immagino che Byron vi abbia messo al corrente dei nostri piani — continuò Teresa.
— In modo sommario. Mi ha detto che scenderemo all’interno. E che porteremo via una delle nuove pietre.
Lei annuì. — È un po’ più complicato, naturalmente. Il finanziatore del viaggio è Cruz Wexler. Conoscete Wexler?