— Dirige non so bene quale istituto, lassù a Carmel.
— Investe denaro nel traffico degli oneiroliti già da molto tempo — disse Byron. — Ma ora c’è una novità. Pare che dalla miniera di Pau Seco stiano uscendo degli oneiroliti di un genere nuovo. Si pensa che l’astroblema di Pau Seco sia stato un unico deposito di raccolta intensiva dati, e che i campioni rimasti vicini al nucleo centrale, quelli che vengono estratti adesso, si siano conservati meglio nel corso dei secoli. Wexler ha cercato di acquistarne uno nei luoghi dove si pratica tradizionalmente il mercato nero, e cioè le porte sul retro dei laboratori governativi, ma i controlli sono diventati molto rigidi. Così ha organizzato l’acquisto a Pau Seco, direttamente alla fonte. Noi siamo i suoi corrieri.
— Pagati — precisò Keller.
— Nel mio caso, sì — confermò Byron. — Sono nella posizione di pretendere denaro. Professionalmente parlando.
— Io mi sono offerta volontaria — disse Teresa.
Keller si voltò a guardarla. — Vi importa dunque tanto?
Lei l’osservò muovere il carboncino sul foglio in modo distratto. Annuì. — Sì. Mi importa.
— Byron dice che siete dedita all’uso della pietra dei sogni.
— Dedita, forse, non è la parola adatta. Sapete? Per molti non si tratta di una droga molto piacevole.
— Genera delle visioni — replicò Keller.
— Genera molto di più. L’avevate mai provata, Ray?
Lui fece cenno di no con la testa.
— È potente — spiegò lei. — Interagisce con la mente, in modo diretto. La chimica non c’entra, e infatti non si verifica nessuna alterazione chimica. I tecnici di laboratorio non riescono a spiegare il fenomeno. Ma quando si tocca una pietra, all’improvviso si aprono mondi interi… Riuscite a capirmi?
— Non lo so. — Keller si strinse nelle spalle. — Forse.
Almeno, era una risposta onesta. Teresa aveva incontrato eserciti di chimici oneiroliti nella Città Galleggiante, e una moltitudine di commercianti, tutti interessati alle pietre da un punto di vista esclusivamente economico. Per loro quella era una droga, un articolo da contrabbando, una variante più esoterica dei neuropeptidi Modello Uno che erano diventati così popolari nelle città costiere. La singolarità delle pietre consisteva proprio in quello, pensò Teresa: rappresentavano qualcosa di diverso per ciascuno. Per i tecnici erano simili alla Stele di Rosetta, una specie di magazzino dati proveniente dalle stelle, decodificatole e immensamente utile; per i chimici e i loro clienti urbani erano semplicemente una nuova droga, una diversione visionaria…
E per me?
Una strada, pensò. Una destinazione.
Si chiese se Raymond Keller fosse in grado di capirlo.
— Non sopporto l’idea di fare questo viaggio con qualcuno di cui non mi fido — dichiarò. — Byron dice che siete un buon diavolo, Ray. Ma io non posso saperlo davvero. Giusto? Posso solo indovinarlo. L’unica arma che ho a disposizione è l’intuito, capite?
Lui annuì.
— Dunque, mostratemi il vostro disegno.
Keller abbassò lo sguardo sul foglio, come se la cosa gli fosse del tutto sfuggita di mente. Disegno? Le sue mani avevano comunque lavorato, ed era questo che lei voleva.
Teresa prese l’album e se lo tenne sulle ginocchia. Rimase sorpresa, constatando che il disegno dimostrava un certo talento. Era un ritratto a mezzo busto, rozzo ma completo. Molto rivelatore, pensò lei. Keller aveva definito i contorni con linee dure e angolose; le sopracciglia erano tratti unici, la bocca una sagoma compatta e priva di emozioni. Nel complesso, un insieme inespressivo. Ma gli occhi riscattavano tutto. Le linee si erano addolcite, le pupille risultavano profonde e piene di vita, l’espressione era quasi addolorata.
Non è quello che crede di essere, pensò. Un uomo duro, certamente. Ma lei guardò quegli occhi e si rassicurò. Recuperabile, si disse.
Le bastava.
— Partiamo fra un paio di giorni — annunciò.
3
Gli oneiroliti, o pietre esotiche, avevano modellato il passato di Keller e creato la sua storia. Quello che aveva detto a Teresa corrispondeva più o meno alla verità. Non ne aveva mai tenuto in mano nessuno per più di un secondo. Però li aveva sognati in continuazione.
I suoi sogni erano ambientati nella giungla e lui, Keller, era contemporaneamente narratore e protagonista. In alcuni, si vedeva proprio nei panni di quell’anonimo forao che era uscito inciampando dall’entroterra brasiliano con una strana pietra in mano. Spaventato dalle visioni che produceva, aveva nutrito comunque la speranza di ricavarne un buon guadagno. Era rimasto deluso quando aveva scoperto di non riuscire a vendere la pietra e la delusione si era tramutata in spavento quando alla fine il governo di Valverde gliel’aveva confiscata. Nel sogno, l’uomo veniva torturato dagli agenti del FUNAI, anche se, nella realtà non esistevano prove, i quali volevano sapere il luogo preciso del ritrovamento. L’economia della nazione, gli spiegavano, non avrebbe potuto reggersi a tempo indefinito sull’oro e sulla bauxite. Raccontaci dove l’hai trovata, ordinavano con calma, e poi azionavano gli elettrodi.
Dissolvenza e ripresa dall’alto. Il Rio delle Amazzoni: giungla, fattorie, allevamenti di bestiame, dighe, e soprattutto lande desolate. Le spire languide del fiume che dà il nome alla regione, color marrone e inondate dalla luce del sole. Keller riviveva la storia in tonalità color seppia: per quattro volte il Bacino delle Amazzoni aveva respinto l’invasione di uomini civilizzati. Aveva scacciato, indebolendoli e decimandoli con la dissenteria, i bandeirantes portoghesi venuti alla ricerca dell’Eldorado. Aveva concesso ai Gesuiti solo una dilazione, prima di rivendicare le loro missioni già prostrate da sovvenzioni governative irrisorie e dalla severità di quell’immensa terra spietata. Poi c’era stato il boom della gomma e la giungla era stata invasa per ricavarne il lattice, ma i malesi coltivavano alberi di migliore qualità in piantagioni più accessibili. E sul finire del ventesimo secolo si erano compiuti sforzi prolungati per popolare l’interno. Si erano costruite autostrade, villaggi, pozzi petroliferi e miniere, il tutto finanziato, purtroppo, da un debito internazionale così alto che alla fine era diventato insostenibile. E così, le neonate oasi di civiltà erano cadute a pezzi. I villaggi erano diventati città fantasma e le viti si erano insinuate fin sulle autostrade.
Adesso era in atto la quinta invasione.
Stacco. I bassifondi di lamiera e cartone attorno a Rio e a San Paolo, cisterne illuminate dai fari, ondate umane che si dirigevano verso ovest. Le macchine penetravano la giungla oppure solcavano il suo cielo.
Le pietre dei sogni, battezzate "oneiroliti" da un attonito geologo dell’Università Federale, erano molto più preziose di quello che avrebbe immaginato il più avido dei forao. Dapprima si era solo osato sussurrare che avessero un’origine extraterrestre. Poi se n’era parlato in tono scettico, e infine lo scetticismo si era tramutato in aperta meraviglia. Naturalmente i test con il carbonio erano privi di significato: le minuscole pietre dovevano essere rimaste nel sottile strato di suolo del Bacino per un tempo considerevole, a testimonianza di un impatto astrologico molto anteriore all’epoca dei bandeirantes. In più, gli oneiroliti non erano soltanto passivi. Avevano un’anima codificata, incredibilmente stipata di informazioni. Ogni molecola era un dizionario di atomi, una sintassi di elettroni. Usavano un linguaggio binario e universale, contenevano una nuova fisica e una nuova cibernetica, lasciavano intuire tecnologie di cui non si era mai sentito parlare.