Si capiva che ne era affascinato. Byron era stato educato in un collegio militare, e quando era eccitato dimenticava il gergo della classe lavoratrice per usare parole come "ridondanza".
Nelle fumose profondità delle vaschette, Keller scorse il colore pallido e la forma nebulosa delle nuove pietre appena nate. Vita minerale. Poteva percepirne il mistero come se fosse stato una cosa concreta.
— Sono indistruttibili — spiegò Byron. — Si possono spezzare lungo il loro asse di simmetria, ma non si possono bruciare, né frantumare e nemmeno dissolvere. In teoria, se si riuscisse a raccogliere tutte le pietre brasiliane in un unico posto, si potrebbe metterle insieme come si fa con i puzzle. Da un punto di vista topologico sono in massima parte ortorombiche o triclini, che sono le forme più comuni. Nessuno può dire con esattezza di che cosa siano fatte. Risulta evidente che sono state costruite, o meglio, che la sostanza da cui sono composte è stata costruita operando ben oltre il livello subatomico. Micropotenziali complessi si propagano lungo l’asse di simmetria, ed è su questo che agiscono i tecnici di laboratorio. Le proprietà fisiche verificabili sono piuttosto insolite e alcuni hanno ipotizzato che le pietre esistano in molte di più delle tre dimensioni tradizionali.
— Un problema scientifico serio — commentò l’altro.
— Molto serio.
— Hai usato queste pietre per salvare la vita di Teresa — osservò Keller.
Vide l’espressione dell’amico indurirsi nella penombra. — Puoi dirlo forte.
— Ti importa tanto di lei?
Ci fu una pausa. — Non sono abbastanza ubriaco per questo genere di conversazione — rispose infine Byron.
— Ma sei preoccupato per lei — insisté Keller.
— Sono preoccupato per il Brasile. Per quel nuovo tipo di pietre. Non solo per il semplice pericolo fisico. — Il chimico scrollò la testa. — A volte penso che andrà tutto bene. Ci credo davvero. Forse il viaggio supererà addirittura le nostre aspettative. Andremo laggiù, torneremo indietro, e lei avrà trovato quello che cerca. Forse inizieremo una nuova vita insieme. — Aggiunse, in tono più cauto: — Magari accetterà di…
— E se non trovasse quello che cerca?
— Probabilmente ne morirebbe. O si lascerebbe morire. E questa volta non sarei più in grado di fermarla.
Sotto l’effetto dell’alcol, Keller dormì male, ondeggiando nel letto di bambù e sognando un campo di manioca a Rondonia. Nella sua mente, alcune parole aleggiavano simili a grossi volatili. Amnesia, angoscia, disfasia, afasia. Nel sogno riusciva a vedere solo la parte sinistra delle cose. Quando parlava, le parole uscivano sghembe e vacue.
Si svegliò all’alba, con un alone di sudore sulla federa del cuscino.
Comperò il pranzo in una bancarella vicino alla diga. Byron arrivò dopo mezzogiorno, con un sorriso assente sulle labbra. Gli porse una busta contente un documento di riconoscimento ottenuto al mercato nero, il passaporto e il biglietto aereo per il Brasile.
4
Descrissero un arco oltre la curvatura della Terra in un volo istantaneo, brevemente orbitante, della AeroBrazil. Ma la parte impegnativa del viaggio non era quella, pensò Keller, quanto piuttosto il trasferimento verso l’interno, verso il cuore del Bacino e la miniera di Pau Seco, verso il passato. Seguendo la traiettoria di atterraggio si chiese se non fosse stata qualche spinta latente a condurlo fin lì, magari proprio l’antico ossessivo scavare della mente negli abissi della memoria.
La ruota, aveva detto Byron. Era un pensiero sgradito e persistente.
L’aereo si inclinò in virata verso le piste galleggianti della Baia di Guanabara, oltre la statua logora e solitaria del Cristo Salvatore, sulla montagna del Corcovado. L’ultima volta che era stato da quelle parti, Keller era un coscritto di diciannove anni e guidava un mezzo di trasporto militare. La statua che dominava la cima della montagna era stato il primo segnale dell’ingresso in un territorio straniero. Il Cristo, esposto alle intemperie, aveva occhi di granito dall’espressione assente e le mani alzate a benedire in silenzio una città grande come il cerchio dell’orizzonte. Vedendola di nuovo, Keller sentì le dita irrigidirsi sui braccioli del sedile. Un tempo aveva giurato che se fosse riuscito ad andarsene da quel paese non vi avrebbe mai più rimesso piede… Un’antica e fervida promessa che echeggiava, carica d’ironia, nel rombo del velivolo che li trasportava.
— Vi sentite bene? — chiese Teresa, e lui si sforzò di an’nuire.
— Benissimo — rispose, pensando al wu-nien, astraendosi, ritirandosi nei meandri gelidi della sua volontaria indifferenza, per trovare un rifugio.
Dovettero attendere la notte per il volo di collegamento con la capitale. Byron, molto prodigo grazie alle carte di credito di Wexler, aveva prenotato una suite in uno degli alberghi color avorio che si affacciavano sulla baia. — Solo il meglio — disse. Ma Keller aveva fissato la propria attenzione sul profilo di Teresa, che guardava avanti attraverso il finestrino dell’autobus.
L’immagine si avvolgeva nella memoria AV, ma sarebbe stata in gran parte inutilizzabile per l’esito finale: troppo banale e scarsamente drammatica. Inoltre, nell’ultima versione, Teresa sarebbe diventata una sconosciuta, con i lineamenti alterati per impedire il riconoscimento e proteggere le fonti d’informazione. A modo suo, Keller era un giornalista silenzioso, e capiva la necessità di interpretare, di estrarre il reale significato dalla miniera dell’esperienza diretta. Eppure, il prodotto finito non mancava mai di sorprenderlo. Gli era successo anche l’ultima volta che aveva lavorato per la Rete, all’epoca del reportage sul sottosuolo della droga. Aveva passato tre mesi negli ospedali, nelle baracche, nei buchi più squallidi della Città Galleggiante. Aveva imparato a conoscere quei disgraziati, per lo più maschi e veterani di guerra, che avevano sconvolto i centri più profondi del proprio cervello e che ora si consumavano lentamente, come candele di cera, ai margini della città. Pensava spesso che la fase finale di quella terribile dipendenza, che lui aveva visto da vicino, avrebbe sicuramente fuso i fili che aveva in testa, sovraccaricato i circuiti o fatto saltare la memoria. In realtà aveva solo verificato i limiti del suo wu-nien, l’allenamento insegnatogli dall’esercito. Forse si era preoccupato troppo per quella gente la cui morte era ormai inevitabile.
Il documentario era stato successivamente programmato in tempo reale, registrando una buona percentuale di ascolto in tutte le città costiere del Pacifico. Venne inserito tra statistiche, interviste e commenti pietosi. Non fu usato a fini di lucro e Keller ne era rimasto abbastanza soddisfatto. Tuttavia si era accorto di come gli avvenimenti vissuti perdessero la loro forza drammatica, una volta inscatolati in uno schermo. Persino i decessi di cui era stato testimone, registrati in esperienza diretta ma intensificati e ripuliti per il taglio finale, diventavano squallidi e in qualche modo inevitabili, una conseguenza logica dello schematico fluire degli eventi.