Richard sorrise. Quel sorriso gli cambiò interamente il volto, aprendo alla luce le sue superfici scure. — Io si. Oh, se lo so. Che fai quando ti dicono "che razza di sogno ho fatto la notte scorsa"?
— Già! — replicò Leisha. — Ma è una cosa di minore importanza. Più che tutto quando io dico "te lo controllo io questa notte", e assumono tutti quella espressione strana che significa "lo farà mentre io dormo".
— Ma anche questa è una cosa da poco — ribatté Richard. — È quando giochi a pallacanestro in palestra dopo cena, poi mangi qualcosa e poi dici "andiamo a fare una passeggiata al lago" e ti rispondono "adesso sono davvero stanco, vado a casa a letto".
— Ma questo è meno importante ancora — disse Leisha balzando in piedi. — E quando sei preso da un film e si arriva al punto cruciale e tutto è così maledettamente bello che tu scatti su e gridi "Sì! Sì!" e Susan dice: "Leisha, credi davvero che nessuno oltre te abbia mai goduto di qualcosa?".
— Chi è Susan? — chiese Richard.
L’atmosfera si infranse. Non fino in fondo, però. Leisha riuscì a dire "la mia matrigna" senza provare un grande disagio per ciò che Susan aveva promesso di essere e ciò che invece era diventata. Richard era in piedi a qualche centimetro da lei, le sorrideva in quel modo gioioso, la comprendeva e, all’improvviso, Leisha si sentì avvolgere da un sollievo così forte che si diresse da lui e gli gettò le braccia al collo, irrigidendole solo quando si accorse dello scatto del ragazzo. Leisha cominciò a singhiozzare, lei che non piangeva mai.
— Ehi — disse Richard. — Ehi.
— Brillante — rispose Leisha, ridendo. — Commento brillante.
La ragazza si accorse dell’imbarazzo nel sorriso di lui. — Vuoi vedere le curve relative alla migrazione dei pesci?
— No — disse Leisha con un singulto, e lui continuò ad abbracciarla, dandole goffi colpetti sulla spalla, dicendole, senza usare parole, che lì era a casa.
Camden l’aspettò alzato benché fosse passata la mezzanotte. Aveva fumato molto. Disse con voce pacata attraverso l’aria azzurrina: — Ti sei divertita, Leisha?
— Sì.
— Ne sono felice — replicò lui; spense l’ultima sigaretta e salì le scale per andare a letto: lentamente, irrigidito, aveva quasi settant’anni ormai.
Si recarono insieme ovunque per circa un anno: a ballare, a nuotare, ai musei, a teatro, in biblioteca. Richard la presentò agli altri, un gruppo di dodici ragazzi fra i quattordici e i diciannove anni, tutti intelligenti e diligenti. Tutti Insonni.
Leisha imparava.
I genitori di Tony Indivino, come i suoi, avevano divorziato. Tony, quattordici anni, viveva con sua madre, però, che non aveva desiderato particolarmente un figlio Insonne, mentre suo padre, che lo aveva voluto, si era fatto un’automobile sportiva rossa e una giovane amante che progettava poltrone ergonomiche a Parigi. A Tony non era permesso di dire a nessuno, parenti, compagni di scuola, che era Insonne. — Penseranno che sei uno scherzo di natura — gli diceva sua madre, distogliendo lo sguardo dal volto del figlio. L’unica volta che Tony le disobbedì e disse a un amico che lui non dormiva mai, sua madre lo picchiò. Quindi traslocò in un quartiere diverso. Lui aveva nove anni.
Jeanine Carter, slanciata e dalle gambe lunghe quasi come quelle di Leisha, si stava preparando per le Olimpiadi di pattinaggio su ghiaccio. Si allenava dodici ore al giorno, tempo che ancora nessun Dormiente alle superiori si sarebbe potuto permettere. Al momento, nessun giornale si era impossessato della storia. Jeanine temeva che, se l’avessero resa pubblica, in qualche modo non le avrebbero permesso di gareggiare.
Jack Bellingham, come Leisha, avrebbe iniziato il college a settembre. A differenza di Leisha, tuttavia, aveva già iniziato la sua carriera. L’esercizio della legge doveva aspettare fino al conseguimento del diploma in legge; per effettuare investimenti invece erano necessari solamente i soldi. Jack non possedeva un gran che, ma le sue precise analisi finanziarie moltiplicarono i 600 dollari messi da parte con lavoretti estivi in 3.000 grazie a investimenti sul mercato azionario, quindi in 10.000 e, a quel punto, ebbe abbastanza da potersi qualificare per le speculazioni sui fondi informativi. Jack aveva quindici anni, non era grande abbastanza per potere effettuare investimenti legali, le transazioni avvenivano tutte a nome di Kevin Backer, il più anziano degli Insonni, che abitava ad Austin. Jack disse a Leisha: — Quando sono arrivato all’ottantaquattro per cento di profitto nel giro di due trimestri consecutivi, gli analisti dati mi hanno beccato. Solo una sbirciatina. Be’, è anche il loro mestiere, anche se le cifre nel complesso sono modeste. Sono gli schemi, che interessano loro. Se si prenderanno la briga di effettuare controlli incrociati nelle banche dati e scopriranno che Kevin è un Insonne non cercheranno di impedirci di investire, in un modo o nell’altro?
— Questa è paranoia — rispose Leisha.
— No, non lo è — ribatté Jeanine. — Leisha, tu non sai.
— Vuoi dire perché io sono stata protetta dalle coccole e dai soldi di mio padre? — fece Leisha. Nessuno sorrise: erano abituati tutti a confrontare le loro idee apertamente, senza velate allusioni. Senza sogni.
— Sì — rispose Jeanine. — Tuo padre sembra una persona davvero in gamba e ti ha cresciuta con il principio che le realizzazioni non devono essere messe in catene… Cristo Santo, è uno yagaista. Benissimo, d’accordo. Siamo contenti per te. — Lo disse senza alcun sarcasmo. Leisha annuì. — Ma il mondo non è sempre così. Ci odiano.
— Mi sembra un’affermazione troppo forte — intervenne Carol. Non è odio.
— Be’, forse — rispose Jeanine. — Ma loro sono diversi da noi. Noi siamo migliori e loro, naturalmente, sono risentiti.
— Non vedo proprio che cosa ci sia di naturale in questo — disse Tony. — Perché non dovrebbe essere altrettanto naturale ammirare ciò che è migliore? Noi lo facciamo. C’è forse qualcuno di noi che sia risentito contro Kenzo Yagai per la sua genialità? Oppure contro Nelson Wade, il fisico? O Catherine Raduski?
— Non siamo risentiti perché noi siamo migliori — ribatté Richard.
— Quello che dovremmo fare sarebbe avere una nostra società — disse Tony. — Perché dovremmo consentire alle loro regolamentazioni di limitare le nostre oneste e naturali realizzazioni? Perché a Jeanine dovrebbe essere impedito di pattinare contro di loro e a Jack di investire sulle stesse basi soltanto perché sono Insonni? Alcuni di loro sono più brillanti di altri. Alcuni hanno maggiore perseveranza. Be’, noi abbiamo una maggiore capacità di concentrazione, una maggiore stabilità biochimica e una maggiore disponibilità di tempo. Non tutti gli uomini sono stati creati uguali.
— Sii onesto, Jack: a nessuno è stato ancora impedito nulla — disse Jeanine.
— Ma lo sarà.
— Aspetta — intervenne Leisha. Era profondamente scossa per la conversazione. — Voglio dire, sì, per molti versi siamo migliori. La tua citazione però è stata a sproposito, Tony. La Dichiarazione di Indipendenza non dice che tutti gli uomini sono creati uguali in quanto ad abilità. Si tratta di diritti e di potere: significa che tutti sono uguali per la legge. Non abbiamo più diritto a una società separata, o a essere liberi dalle limitazioni della società, di qualsiasi altra persona. Non esiste alcun altro modo per commerciare liberamente i risultati dei nostri sforzi, a meno che le stesse regole contrattuali non si applichino a tutti.
— Parli come una vera yagaista — disse Richard, stringendole la mano.