Quei globi di stringhe che le rammentavano in modo così imbarazzante le forme del sogno lucido di Drew.
— Ma anche se ci serviremo di Kevin Baker avremo ancora bisogno di un avvocato — continuò Miri. — Ci rappresenterai?
— Grazie, ma non posso — rispose Leisha. Non disse a Miri perché non poteva. Non ancora. — Ma ti posso consigliare degli ottimi avvocati. Justine Sutter, per esempio. È la figlia di un mio vecchissimo amico.
— Una Dormiente? — chiese Miri.
— È molto brava — replicò Leisha. — Ed è quello che conta, no?
— Sì — rispose Miri. Quindi, aggiunse: — Una Dormiente.
Ricky Sharifi intervenne: — Che potrebbe poi essere la cosa migliore. I vostri legali dovranno affrontare le leggi sulla proprietà degli Stati Uniti, dopo tutto. Un mendicante le può conoscere al meglio.
Leisha rilevò: — Se intendi vivere qui, Ricky, dovrai smettere di usare quel termine. Quanto meno in quel modo.
Un istante dopo, Ricky ammise: — Sì. Hai ragione.
Proprio così. Il figlio di Jennifer Sharifi, cresciuto al Rifugio: e gli esseri umani pensavano di comprendere la manipolazione genetica!
Drew chiese improvvisamente a Miri: — Erediterai il Rifugio, un giorno?
Miranda lo fissò a lungo. Leisha non riuscì a stabilire, niente, nemmeno un indizio, che cosa ci fosse nella mente della ragazzina. — Sì — rispose Miri alla fine, con espressione riflessiva. — Anche se non certo per adesso. Fra molto tempo. Forse un secolo. O più. Ma un giorno, sì. Sì.
Drew non rispose. "Un secolo o più" pensò Leisha. Passò un’occhiata fra Drew e Miri, un’occhiata che Leisha non riuscì a interpretare. Non ebbe la più pallida idea di cosa significasse, quando Drew alla fine sorrise.
— Può andare — disse.
Anche Miri sorrise.
26
Leisha stava seduta sulla sua roccia piatta preferita, all’ombra di un pioppo nero. Il ruscello ai suoi piedi era completamente in secca. Trecento metri in direzione della corrente, un Super si muoveva lentamente con il volto chino in avanti verso il terreno. Doveva essere Joanna: era rimasta affascinata dai fossili e stava costruendo una stringa di pensiero tridimensionale, che Leisha non comprendeva, sulla relazione fra i coproliti e le stazioni orbitali. Era poesia, aveva detto Miri, aggiungendo che nessuno di loro aveva mai costruito poesia prima di iniziare a sognare lucidamente. Era quella la frase che aveva usato: "costruito poesia".
Un topo canguro si mise a scavare in un mucchietto di terra secca a pochi passi di distanza. Leisha lo guardò agitare le corte zampette anteriori come una trivella meccanica, quindi scalciar via la terra scavata con le lunghe zampe posteriori. Il topo si voltò improvvisamente e la guardò: orecchie rotonde e occhietti neri ancor più rotondi, sporgenti e lucidi. Aveva una strana protuberanza in cima alla testa: un incipiente tumore, pensò Leisha. L’animaletto tornò al proprio lavoro, aerando accidentalmente il suolo e arricchendolo con i nitrati contenuti nei propri escrementi. In lontananza, lontano dall’ombra del pioppo nero, il deserto scintillava nella calura già infuocata dei primi di giugno.
Leisha sapeva che, se si fosse voltata dall’altra parte, avrebbe visto un diverso tipo di scintillio. Centoventi metri al di sopra della tenuta, le molecole dell’aria venivano distorte da un nuovo genere di campo energetico che Terry stava sperimentando. Sarebbe diventato, aveva detto lui, la successiva svolta nel campo della fisica applicata. Kevin Baker stava negoziando con la Samsung, la IBM e la Konig-Rottsler per la compravendita selettiva dei brevetti di Terry.
Leisha si tolse scarpe e calze. Era una cosa un po’ pericolosa: si trovava oltre la zona ripulita elettronicamente dagli scorpioni. Ma la pietra, calda perfino lì all’ombra, le dava una gradevole sensazione di ruvido sotto ai piedi nudi. Si ricordò improvvisamente di avere esaminato i propri piedi la mattina del suo sessantasettesimo compleanno. Che strano, che cosa bizzarra da ricordare. Il ricordo le fece piacere: aveva appena cominciato a rendersi conto di quante cose, in ottantaquattro anni, dimenticava perfino un Insonne.
I Super ricordavano tutto. Sempre.
Leisha stava aspettando che Miri esplodesse fuori dalla tenuta per accusarla. L’esplosione era già in ritardo: Miri doveva essere rimasta chiusa nel suo laboratorio più del solito. Oppure era con Drew, tornato a casa soltanto da pochi giorni dopo la sua tournée di primavera. In quel caso, sarebbero stati nella camera di lui: in quella di Miri non c’era il letto.
Il topo canguro sparì all’interno della propria buco.
— Leisha!
Leisha si voltò. Una sagoma in pantaloncini verdi stava correndo furiosamente verso di lei dalla tenuta, con le braccia e le gambe che si agitavano. Otto, sette, sei, cinque, quattro, tre…
— Leisha! Perché?
I Super terminavano sempre le cose prima di quanto non ci si aspettasse.
— Perché ho scelto di farlo, Miri. Perché lo voglio.
— Lo vuoi? Difendere mia nonna contro l’accusa di tradimento? Tu, Leisha, che hai un scritto libro fondamentale su Abramo Lincoln?
Leisha sapeva che non si trattava di un non sequitur. Aveva iniziato, negli ultimi tre mesi, a imparare qualcosa su come pensavano i Super. Non al punto da seguire un’intera e complessa forma di stringhe, intessuta di associazioni, ragionamenti, connessioni e scintillante di scosse di sogno lucido. E mai al punto da poterne costruire una personalmente. Né Leisha aveva intenzione di costruirne una. Lei non era fatta così. Tuttavia, aveva imparato a riempire le linee mancanti quando la ragazzina, più importante per lei di quanto non lo fosse stata qualsiasi persona dopo Alice, le parlava. Quanto meno, Leisha era in grado di riempirle se Miri non aveva tralasciato troppi collegamenti. Quella volta non lo aveva fatto.
— Siediti, Miri. Voglio spiegarti perché sono l’avvocato di Jennifer. Ho aspettato qui fuori che tu me lo venissi a chiedere.
— Resto in piedi!
— Siediti — ripeté Leisha e, un istante dopo, Miri si sedette. Si scansò i capelli scuri dalla fronte, sudata perfino dopo la breve corsa, e piombò, arrabbiata, sulla pietra di Leisha senza nemmeno controllare che ci fossero scorpioni.
C’erano così tante cose terrestri da cui Miri non sapeva di doversi guardare.
Leisha aveva studiato attentamente la proprie parole. — Miri, io e tua nonna facciamo parte tutt’e due di una generazione americana specifica: la prima generazione di Insonni. Quella generazione aveva determinate cose in comune con la precedente, quella che ci ha creato. Entrambe le generazioni si sono rese conto che non è possibile avere sia uguaglianza, che è soltanto un nome diverso per ciò che tu chiami solidarietà comune, sia superiorità individuale. Quando gli individui sono liberi di diventare tutto quello che vogliono, alcuni diventeranno geni e alcuni diventeranno mendicanti risentiti. Alcuni porteranno beneficio a se stessi e alle loro comunità, e altri non porteranno beneficio a nessuno e saccheggeranno tutto quello che potranno. L’uguaglianza scompare. Non si può avere sia l’uguaglianza sia la libertà di perseguire la superiorità individuale.
E così, due generazioni hanno scelto la disuguaglianza. Mio padre l’ha scelta per me. Kenzo Yagai l’ha scelta per l’economia americana. Un uomo di nome Calvin Hawke, di cui tu non sai…
— Sì, lo so — la interruppe Miri.
Leisha sorrise pacatamente: — È ovvio. Commento stupido. Ebbene, Hawke si è schierato dalla parte dei nati disuguali e ha cercato di appianare leggermente l’equazione, al diavolo la superiorità. Di tutti noi, solamente Tony Indivino e tua nonna hanno cercato di creare una comunità che riponesse tanto valore nella solidarietà, "uguaglianza" di quelli che erano inclusi come membri, quanto sulle diverse realizzazioni individuali di quei membri. Jennifer ha fallito perché non può essere fatto. Quanto più Jennifer ha fallito, tanto più fanatica è divenuta nel cercare di fare questa cosa, attribuendo la colpa di tutti i fallimenti alle persone che non erano membri della comunità. Restringendo sempre di più la definizione. Allontanandosi sempre di più da qualsiasi tipo di equilibrio. Ma io sospetto che tu sappia in proposito anche più di me.