L’uomo la stava fissando. — No, Leisha — disse tranquillamente. — Non l’ho fatto. È naturale.
— Naturale…
— Sì. Ecco dove siamo stati il mese scorso, dopo le Isole Artificiali: l’Istituto Medico di Chicago. In cerca delle risposte per una regressione spontanea. Ma lì non c’è nessuno in grado di fare più di una specie di intruglio da libro di cucina con le antiche scoperte. Che diavolo, non è rimasto alcun esperto in genetica da nessuna parte che sappia fare più di quello, eccetto che nel settore agricolo. — Rimase in silenzio: lui e Leisha sapevano che non era vero. Esisteva il Rifugio.
Leisha disse con voce incerta: — Sanno almeno se è un fenomeno in diffusione, oppure in crescita… nei parametri statistici…
— Sembra essere abbastanza raro. Ovviamente ci sono talmente pochi Insonni, adesso, che non si può stilare alcun profilo statistico.
Ancora quel silenzio, carico di ciò che non veniva pronunciato.
Fu Ada a rompere il silenzio. Non poteva aver seguito un gran che della conversazione fra Leisha e il marito, ma si alzò con grazia per portarsi accanto a Leisha. Ada si fermò e prese in braccio il bambino. Guardandolo teneramente disse: — Ti vedo con felicità, Sean. Ti vedo dormire — e il suo sguardo si alzò per incrociare direttamente quello di Leisha per la prima volta, per quanto Leisha ricordasse.
Anche quando tutto nel paese era cambiato, non era cambiato nulla.
19
Jennifer, Will, i due esperti in genetica dottor Toliveri e dottor Blure e i loro assistenti stettero a guardare la creazione di un mondo in miniatura.
A settecento chilometri di distanza, nello spazio, fluttuava una bolla in plastica. Mentre il gruppo di ricerca del Rifugio osservava via schermo dai Laboratori Sharifi, Reparto Imprese Speciali, la bolla raggiunse il massimo della dimensione. All’interno migliaia di membrane in plastica si tesero. L’interno era un alveare di tunnel dalle pareti sottili, di camere e di diaframmi; alcuni dotati di forellini, altri porosi come i materiali da costruzione standard terrestri, altri ancora aperti. Nessuno di essi era più alto di dieci centimetri. Quando la bolla fu completamente gonfia e piena della miscela atmosferica standard, l’olovisore sul soffitto del laboratorio proiettò verso il basso un modello trasparente e tridimensionale della bolla e delle sue ripartizioni interne.
Da ognuna delle quattro camere poste all’esterno della bolla vennero rilasciati cinque topi. I topi si infilarono nei tunnel, la cui altezza ridotta impediva la caduta libera, squittendo in modo isterico. Sul modello dell’olovisore venti punti neri ne tracciarono i percorsi. Uno schermo su una parete differente mostrò venti serie di valori provenienti dai biorilevatori impiantati in ogni topo.
I topi corsero liberamente per dieci minuti. Quindi, da una singola fonte all’interno della bolla, venne rilasciato l’organismo modificato geneticamente, lontanamente imparentato con un virus: Toliveri e Blure avevano impiegato sette anni per crearlo.
Uno per uno, i valori dei biorilevatori cominciarono a diminuire e lo squittio, amplificato sul canale audio, cessò. I primi tre smisero di trasmettere nel giro di tre minuti, i sei successivi qualche minuto dopo, altri cinque nei successivi dieci minuti. Gli ultimi sei trasmisero ancora per circa trentuno minuti.
Il dottor Blure inserì i dati in un programma di proiezione. Corrugò la fronte. Era molto giovane, non aveva più di venticinque anni e, visto che era anche biondissimo, la barba che cercava strenuamente di far crescere appariva come una morbida peluria, come piuma. — Non va bene. A questo ritmo il tempo stimato di un progetto di minima per arrivare alla saturazione in una stazione orbitale si protrae per oltre un’ora, e in una città di mendicanti, in un giorno privo di vento, per oltre cinque ore.
— Troppo lento — convenne Will Sandaleros. — Non sarebbe convincente.
— No — confermò Blure. — Ma siamo più vicini. — Lanciò un’altra occhiata ai biovalori piatti. — Immaginate persone che potrebbero realmente usare una cosa simile.
— I mendicanti lo farebbero — ribatté Jennifer Sharìfi.
Nessuno la contraddisse.
Miri e Tony erano seduti nel laboratorio che condividevano nella Cupola Scientifica Quattro. I bambini comuni utilizzavano i laboratori scolastici, non professionali, per i loro progetti di studio: lo spazio in una stazione orbitale era troppo prezioso per essere assegnato indiscriminatamente. Miri e Tony Sharifi, però, non erano bambini comuni e i loro progetti non rappresentavano solamente esperienze di apprendimento. Il Consiglio del Rifugio, i Laboratori Sharifi e il Consiglio Scolastico si erano riuniti per esaminare la questione: gli esperimenti neurologici di Miri e le migliorie di Tony sui sistemi di dati dovevano essere considerati progetti scolastici, lavori privati brevettabili oppure studi pagati dall’Azienda del Rifugio? I potenziali profitti dovevano appartenere alla famiglia, all’azienda o a un fondo fiduciario aperto per Miri e Tony finché non fossero stati più minorenni secondo la legge dello stato di New York? Tutti, alla riunione, avevano sorriso, e la discussione era stata gioiosa: erano troppo orgogliosi dei Super per litigare a causa loro. Avevano deciso che il lavoro dei ragazzi appartenesse al Rifugio, mentre il sessanta per cento dei diritti d’autore su ogni applicazione commerciale dovesse andare agli stessi ragazzi, oltre a un credito per il college. Miri aveva dodici anni, Tony undici.
— G-g-guarda qui — disse Tony. Miri non rispose per quarantacinque secondi, il che significava che si trovava a un punto cruciale nella costruzione di una stringa-pensiero, e la stringa che le parole di Tony aveva avviato si annodava solamente alla periferia. Tony aspettò allegramente. Era generalmente allegro, e Miri riusciva solo raramente a individuare stringhe nere fra gli edifici di pensiero che il fratello tracciava per lei sul suo olovisore. Era il progetto del ragazzino: creare una mappa degli schemi di pensiero dei Super, Aveva iniziato con una frase: "Nessun adulto può arrogarsi automaticamente qualche diritto sulla produzione di altri: la debolezza non costituisce un diritto morale rispetto alla forza". Tony aveva passato settimane a trarre, da dodici Super, ogni stringa e stringa incrociata evocata da quella frase, inserendo Ognuna di esse in un programma che aveva elaborato personalmente.
Era stato un lavoro lento. Jonathan Markowitz e Ludie Calvin, i più giovani Super nell’esperimento, avevano perso la pazienza a causa della lentezza balbettante e opaca delle parole pronunciate, ed erano scappati per ben due volte dalle tartassanti sedute con Tony. Le stringhe di Mark Meyer erano state talmente bizzarre che il programma si era rifiutato di riconoscerle come valide finché Tony non aveva riscritto determinate sezioni della codifica. Nikos Demetrios aveva mostrato stringhe chiare e aveva cooperato con entusiasmo, ma nel bel mezzo dell’interrogatorio aveva preso freddo, era stato in isolamento per tre giorni ed era tornato indietro con stringhe talmente diverse dalle precedenti, per le stesse frasi, che Tony aveva gettato tutti i dati relativi a lui a causa di una contaminazione da riorganizzazione artistica.
Tuttavia aveva insistito, restando seduto all’oloterminale davanti a quello di Miri perfino più a lungo di quanto non facesse lei, agitandosi e balbettando. In quel momento, le stava sorridendo. — V-v-vieni a v-v-vedere!
Miri girò attorno alla doppia scrivania, giungendo al fianco di Tony. Lo schermo tridimensionale dell’oloterminale era stato oscurato dalla parte che dava verso di lei. Quando finalmente riuscì a vedere i risultati preliminari, Miri restò a bocca aperta dalla contentezza.
Era un modello delle sue stringhe per la frase campione di Tony, ogni concetto rappresentato da un piccolo grafico per i termini concreti, da parole per gli astratti. Linee rilucenti in vari colori tracciavano riferimenti incrociati di primo, secondo e terzo livello. Lei non aveva mai visto una rappresentazione altrettanto completa di ciò che le accadeva nella mente. — È b-b-bellissimo!