— Le t-t-tue sono c-c-c-compatte — disse Tony. — E-eleganti.
— C-c-conosco quella s-s-struttura! — Miri si rivolse allo schermo biblioteca. — A-a-accendere t-terminale. Aprire b-b-biblioteca. B-b-banca terrestre. C-c-cattedrale di C-Chartres, F-f-francia, r-r-rosone. Mostrare i-i-immagine.
Lo schermo baluginò dell’intricato disegno della vetrata del Tredicesimo secolo. Tony lo esaminò con l’occhio critico di un matematico. — N-n-no… n-n-non proprio u-u-uguale.
— Ma lo s-s-s-sento così — disse Miri, e la vecchia frustrazione la assalì, producendo zoppicanti stringhe a spirale nella sua mente: c’era qualche collegamento essenziale fra il rosone e il modello su computer di Tony che non era ovvio, ma era lì, in qualche modo, ed era di una tremenda importanza nascosta. Il suo pensiero però non riusciva a esprimerlo. Mancava qualcosa nelle sue stringhe di pensiero, era sempre mancato.
Tony disse: — G-g-guarda J-j-jonathan. — Il modello del pensiero di Miri svanì e apparve quello di Jonathan. Miri restò nuovamente a bocca spalancata. — Ma c-c-come fa a p-p-p-pensare in q-q-questo modo!
A differenza di quello di Miri, il modello di Jonathan non aveva una forma simmetrica e sembrava un’ameba irregolare, con stringhe che sfrecciavano in tutte le direzioni, esaurendosi oppure tornando improvvisamente indietro da bizzarre connessioni che Miri non riuscì a comprendere subito. Come faceva la battaglia di Gettysburg a collegarsi con la costante di Hubble? Presumibilmente Jonathan lo sapeva.
Tony disse: — Q-q-questi sono gli u-u-unici due che ho s-s-sviluppato f-f-finora. Il m-m-mio sarà il p-p-p-prossimo. Poi il p-programma li so-sovrapporrà e c-c-cercherà dei p-p-principi di c-c-comunicazione. Un g-g-giorno, M-miri, oltre alla in-incoraggiante scienza della c-c-comunicazione, p-p-potremo usare i t-t-terminali per parlare a v-v-vicenda s-senza questo f-fottuto 1-linguaggio m-monodimensionale!
Miri lo guardò con amore: quello era un lavoro che offriva un vero contributo alla comunità. Be’, forse un giorno lo sarebbe stato anche il suo. Stava lavorando a neurotrasmettitori sintetici per i centri della parola nel cervello. Sperava un giorno di riuscirne a creare uno che, a differenza di quelli trovati fino a quel momento dagli scienziati, non producesse effetti collaterali, inibendo la balbuzie. Allungò una mano e accarezzò la grossa testa di Tony che ballonzolava e tremava sul collo largo.
Joan Lucas piombò nel loro laboratorio senza bussare. — Miri! Tony! Il campo giochi è aperto!
Miri licenziò immediatamente i neurotrasmettitori e la scienza della comunicazione. Il campo giochi era aperto! Tutti i bambini, Normali e Super, avevano aspettato quel momento per settimane. Lei afferrò Tony per la mano e si mise a caracollare dietro Joan. All’esterno Joan, con le sue gambe lunghe e agili, la distanziò facilmente, ma nessun bambino al Rifugio aveva bisogno di indicazioni per arrivare al nuovo campo giochi. Bastava soltanto alzare lo sguardo.
Nel nucleo del mondo cilindrico, ancorato con resistenti cavi sottili, il pallone di plastica gonfiato fluttuava sull’asse della stazione orbitale. La gravità, lì, era così scarsa da tendere alla caduta libera, quanto meno per i bambini. Miri e Tony si stiparono nell’ascensore che li portò in alto, infilarono guanti e pianelle di velcro e si misero a strillare deliziati quando vennero catapultati dentro la bolla immensa. L’interno era attraversato da montanti in plastica rosa traslucida, tutti fortemente elastici, dotati di nicchie opache per potervisi nascondere, con sacche e tunnel che terminavano a mezz’aria. Tutto era punteggiato da maniglie gonfiate e morbide e da strisce di velcro. Miri si lanciò a capofitto nell’aria, volò attraverso una stanza di plastica e si tuffò all’indietro, andando a sbattere contro Joan. Tutt’e due le ragazzine scoppiarono a ridere e fluttuarono lentamente verso il basso, tenendosi strette a vicenda e strillando quando Tony e un bambino che non conoscevano presero a sfrecciare sopra le loro teste.
Le stringhe di Miri si incresparono nella sua mente con teorie del caos, immagini mitiche, angeli, flitter, Icaro, la relazione di accelerazione, Orville Whrigt, astronauti mercuriani, mammiferi palmati, la velocita di fuga e le relazioni muscoli-forza-peso. Con estremo piacere.
— Vieni qui dentro — le gridò Joan al di sopra degli strilli. — Ho un segreto da confidarti! — Afferrò Miri, la cacciò in una nicchia trasparente sospesa e si stipò insieme con lei. All’interno c’era un po’ meno rumore.
Joan disse: — Miri, pensa: la mia mamma è incinta!
— M-m-magnifico! — esclamò Miri. Gli ovuli della madre di Joan erano di tipo r-14, difficili da penetrare perfino in vitro. Joan aveva tredici anni: Miri sapeva che aveva desiderato una sorellina o un fratellino con la stessa tenacia con cui Tony desiderava una Litov-Hall auto-am. — Sono c-c-così f-f-felice!
Joan la abbracciò. — Sei la mia migliore amica, Miri! — Repentinamente, si lanciò fuori dalla nicchia, — Prendimi!
Miri non ci sarebbe mai riuscita, ovviamente. Era troppo goffa, al confronto con l’agilità da normale di Joan, ma non importava. Si scaraventò dietro l’amichetta, strillando con gli altri semplicemente per il gusto di fare rumore, mentre sotto di lei il mondo continuava a ruotare in uno schema di idrocampi, cupole e parchi belli quanto stringhe.
Il martedì successivo all’apertura del campo giochi era il giorno dell’Anniversario del Ricordo. Miri si vestì con cura indossando pantaloncini e una tunica neri. Riusciva ad avvertire la struttura grave delle sue stringhe che scivolavano insieme con i pensieri in ovali compatti e appiattiti, scuri come gli abiti di tutti. Le feste religiose nel Rifugio variavano da famiglia a famiglia: alcuni festeggiavano il Natale, il Ramadan, la Pasqua, Yom Kippur o Divali; molti non festeggiavano nulla. Le due ricorrenze che si celebravano in comune erano il Quattro Luglio e l’Anniversario del Ricordo, il 15 aprile.
La folla si ammassò nel pannello centrale. Il parco era stato esteso ricoprendo i campi circostanti, seminati a colture a superrendimento, con una temporanea struttura in plastica spray, abbastanza resistente da sopportare il peso di ogni persona del Rifugio, e abbastanza larga da poter accogliere tutti. I pochi che non avevano potuto lasciare il lavoro, o che erano momentaneamente indisposti, osservavano la cerimonia sull’olovideo. Una piattaforma posticcia per l’oratore incombeva sulla folla. Alto al di sopra della piattaforma, fluttuava il campo giochi deserto.
La maggior parte delle persone si trovava lì con i propri familiari. Miri e Tony, tuttavia, si erano stretti agli altri Super che avevano più di otto o nove anni, seminascosti all’ombra di una cupola per la produzione energetica. I Super si sentivano più contenti quando erano separati dalla folla di Normali, con i quali non potevano tenere il passo a livello fisico, e più felici quando si trovavano insieme. Miri non pensò nemmeno per un istante che sua madre avesse cercato lei, Tony o Ali. Hermione aveva un nuovo bambino a cui dedicarsi. Nessuno aveva spiegato a Miri perché costui, come la piccola Rebecca, fosse Normale. Miri non lo aveva chiesto.
Dov’era Joan? Miri si voltò a destra e a sinistra ma non riuscì a scorgere da nessuna parte la famiglia Lucas.
Jennifer Sharifi, indossando una abbaya nera, salì sulla piattaforma. Il cuore di Miri si gonfiò di orgoglio. La nonna era bellissima, perfino più bella della mamma o della zia Najla. Era bella come Joan. Sul volto della nonna, inoltre, si notava l’espressione seria e composta che evocava sempre in Miri stringhe e riferimenti incrociati di intelligenza e forza di volontà umana. Non esisteva nessuno come la nonna.