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Drew sputò verso di lui. Lo sputo risultò troppo corto e ricadde sul pavimento di pietra porosa. Eric non sorrise nemmeno prima di voltarsi.

Lo lasciarono lì, legato, tutta la notte.

La mattina seguente, la guardia del corpo imboccò Drew con un cucchiaio, come un neonato. Drew gli risputò il cibo il faccia. La guardia del corpo, del tutto inespressiva, lo colpì violentemente alla mascella, un po’ più a destra rispetto al punto in cui l’aveva colpito Eric, e gettò il resto del cibo nello scarico dei rifiuti. Lanciò a Drew un paio di calzini puliti, gli abiti più dozzinali possibili dell’assistenza sociale, pantaloni con i lacci e una camicia aperta di un grigio non tinto e biodegradabile. Drew faticò a infilarsi i pantaloni solo perché sospettò che, altrimenti, l’avrebbero scaraventato nudo in auto. Non riuscì a far passare la camicia sopra le manette. Se la strinse al petto mentre la guardia del corpo lo trascinava, a piedi nudi, all’esterno.

Viaggiarono per quattro o cinque ore, fermandosi una sola volta. Appena prima di fermarsi, la guardia gli mise una benda sugli occhi. Drew ascoltò con la massima attenzione Eric che scendeva dall’auto, ma tutto quello che riuscì a sentire fu un debole sussurrare in quello che poteva, ma poteva anche non essere, spagnolo. L’auto si avviò nuovamente e, alla fine, la guardia gli tolse la benda: il piatto paesaggio desertico non era mutato. A Drew doleva la vescica da scoppiare, e alla fine se la fece addosso. Nessuno degli altri due commentò. I pantaloni di plastica gli trattennero il piscio contro la pelle.

Si fermarono nuovamente davanti a un edificio basso, largo e privo di finestre che assomigliava a un hangar di un aeroporto chiuso. Drew non sapeva in che città si trovassero, in che stato. Eric non aveva detto una parola per l’intera mattinata.

— Io non ci vengo lì dentro!

— Prima levagli quei pantaloni bagnati, Par — fece Eric con disgusto. La guardia del corpo lo afferrò per l’orlo dei pantaloni e tirò. Drew cercò di divincolarsi, ma il suo dimenarsi inefficace cessò quando un roadrurmer gli passò casualmente davanti agli occhi. Dal becco del volatile penzolava un serpente, mezzo mangiato. La pelle del serpente era verde e vi spiccavano lettere arancioni che dicevano PUTA.

Si trovavano in un luogo dove la tecnologia genetica illegale non doveva nascondersi dai poliziotti. All’interno si susseguivano interminabili corridoi grigi, ognuno dei quali era bloccato da un campo a energia-Y. A ogni punto di controllo, Eric si avvicinava allo scanner di retina e veniva fatto passare senza che fosse pronunciata una sola parola. Quella cosa, qualsiasi cosa fosse, era stata organizzata.

La paura in Drew era come un grigio gocciolio che si diffondeva, informe, ed era proprio la sua mancanza di forma a renderlo spaventoso.

Alla fine, arrivarono in una piccola stanza con una barella bianca pulita. Pat ce lo sbatté sopra. Drew rotolò giù, rovinando a terra, non protetto. Cercò di trascinarsi, nudo, verso la porta. Pat lo recuperò senza alcuno sforzo con i suoi muscoli potenziati, lo gettò un’altra volta sulla barella e lo immobilizzò con delle cinghie. Una persona che lui non riuscì a vedere gli toccò la testa con un elettrodo.

Drew si mise a gridare. La stanza si fece arancione, poi rossa di punti incandescenti, ognuno una bruciatura sulla pelle. Ma succedeva tutto nella sua mente: nulla lo aveva ancora toccato, se non il metallo freddo. Lo avrebbero fatto, però, gli avrebbero bruciato la mente.

— Drew, ascoltami — esordì Eric a bassa voce, molto vicino al suo orecchio. — Non si tratta di una lobotomia elettronica. Questa è una nuova tecnica di modificazione genetica. Ti infetteranno il cervello con un virus alterato che ti renderà impossibile bloccare il flusso di immagini dalla zona limbica alla corteccia. Quella è la parte più antica e primitiva del cervello. Quindi, dei bio-feedback regoleranno le tue onde cerebrali finché la corteccia non avrà imparato la sequenza per analizzare le immagini in attività teta. Capisci?

Drew non capiva nulla. La paura gli occludeva il resto della mente, il grigio gocciolio ribollente si spense insieme alle ustioni rosso incandescente e, quando qualcuno gridò, si sentì pervaso dalla vergogna, perché era stato lui. A quel punto, venne messo in funzione il macchinario e la stanza sparì.

Giacque per sei giorni sulla barella. Una flebo gli faceva scorrere il nutrimento nel braccio, un catetere gli sottraeva l’urina. Drew non si rendeva conto di nessuna delle due cose. Per sei giorni, sottili sequenze elettrochimiche nel suo cervello vennero rinforzate, ampliate come un’autostrada viene ampliata da una squadra di intervento, che lavora infaticabilmente senza sapere che cosa dovrà passare su quella strada. Le immagini fluivano liberamente, senza inibitori chimici, dalla mente inconscia di Drew, dalla sua memoria razziale, dalle antiche parti da rettile del cervello verso la nuova corteccia, condizionata dalla società, che le riceveva di solito non filtrate da sogni e simboli, e che sarebbe risultata distrutta dalla frastornante confusione senza l’aiuto della forte struttura delle droghe modificate geneticamente che tenevano tutto insieme.

"Si accovacciò su una roccia al sole e aveva artigli, zanne, pelliccia, penne, scaglie. Le sue mascelle strapparono e lacerarono l’essere che gemeva impotente e il sangue gli scorse sulla faccia, sul muso, sulla cresta. L’odore del sangue lo eccitò e il fragore privo di parole che aveva nelle orecchie disse: ’mio, mio, mio, mio…’

Indietreggiò sulle zampe posteriori, possenti quanto pistoni, e schiacciò nuovamente il sasso contro la testa dell’altro. Suo padre, che si contraeva nel vomito dell’ultima ubriacatura, sollevò le mani serrate e lo scongiurò di avere pietà. Drew abbatté violentemente il sasso e, nell’angolo della tana, sua madre restò accucciata, con la pelliccia rilucente per i narcotici, in attesa del pene che era già congestionato per l’uccisione…

Gli stavano dando la caccia, tutti quanti, Leisha, suo padre e gli esseri ululanti che gli volevano tagliare la gola, e lui correva, correva attraverso un paesaggio che continuava a mutare: alberi che non volevano stare fermi, cespugli che aprivano le fauci verso di lui e le chiudevano di scatto, fiumi che cercavano di risucchiarlo nell’oscurità. Poi il paesaggio divenne la tenuta nel deserto, e anche Leisha era lì e gli gridava dietro che lui era un fallimento e che si meritava di morire perché non sapeva mai fare nulla di giusto, non sapeva nemmeno restare sveglio come facevano le persone vere. Lui afferrò Leisha e la sbatté a terra, e da quell’azione trasse un senso di liberazione così sbalorditivo, uno stato di potenza così esultante che si mise a ridere forte, e poi sia lui sia Leisha erano nudi, lei era legata e lui si guardava attorno nel suo studio e diceva in modo libidinoso: ’Tutto questo è mio, mio, mio…’".

— Non sta soffrendo — disse il dottore. — Le contrazioni non sono niente di più di riflessi muscolari amplificati in risposta al bombardamento corticale. Non è diverso dal sognare.

— Sognare — ripeté Eric fissando il corpo di Drew che si contorceva. — Sognare.

Il dottore alzò le spalle, non in un gesto di indifferenza ma di tremenda tensione. Era solo la quarta volta che veniva usata quella tecnica psichiatrica sperimentale. Le altre tre persone non avevano avuto parentele potenti, anche se lui non sapeva se la relazione fra quel signor Smithson e Bevington-Watrous fosse proprio di parentela. Al dottore non interessava chi lui fosse. Erano al di là dei confini statunitensi, e in Messico le leggi riguardanti la modificazione genetica funzionavano con permessi costosi. Il dottore aveva un permesso. Non per fare ciò che stava facendo, ovviamente, ma chi aveva mai avuto un permesso di quel genere? Alzò nuovamente le spalle.