— Eric, non era una decisione che dovevi prendere tu. Mi hai capito? Non lo ha scelto Drew!
Per un momento, Eric sembrò nuovamente il bambino torvo e arrabbiato che era stato. — Nemmeno io ho chiesto di essere come sono. Lo ha scelto papà per me, sposando un’Insonne. Chi è che riesce mai a scegliere?
Leisha lo fissò. Non sembrava vedere la differenza, no davvero. Il nipote di Alice, sia privilegiato, sia emarginato per tutta la vita, che pensava che tali condizioni gli avessero conferito saggezza.
Ma non lo avevano pensato tutti? Da Tony in poi?
Le labbra di Drew si muovevano delicatamente nel suo sonno profondo, succhiando a un seno inesistente.
La stanza si schiarì lentamente: dapprima ombre grigie, quindi una foschia perlacea attraverso la quale le sagome si muovevano in modo indistinto e poi la luce, pulita e pallida. Drew cercò di muovere la testa. Sentì che la saliva gli gocciolava dalla bocca.
C’era qualcosa che si muoveva all’interno della sua testa, svariati qualcosa, di estrema importanza. Drew distolse la propria attenzione da quei qualcosa. Ormai poteva permettersi di farlo: sapeva, con completa sicurezza, che qualsiasi cosa nuova fosse nel suo cervello non se ne sarebbe andata prima che lui non l’avesse esaminata. Non se ne sarebbe andata mai. L’aveva in pugno: era lui. Quello che non aveva, era la consapevolezza di quella stanza. Che cosa vi fosse accaduto. Chi fosse presente. Perché.
Qualcuno vestito di bianco disse: — È sveglio.
Alcuni volti fiorirono sopra di lui, una massa amorfa che cominciò a separarsi soltanto lentamente. Volti di infermiere che si guardavano in tralice. Un basso dottore dalla pelle olivastra con l’occhio sinistro che si contraeva freneticamente. La contrazione colpi l’attenzione di Drew: vide il nervosismo dell’uomo, la sua paura, come una linea rossa frastagliata che improvvisamente si mise a crescere, assumendo una sagoma tridimensionale, e, mentre ciò avveniva, l’altra cosa che c’era nel cervello di Drew si mosse con grazia verso di essa per andarle incontro. Si incontrò anche con le sagome di paura e senso di colpa che provenivano dagli angoli della sua mente, distaccate da lui eppure ancora sue. Le forme della paura del dottore e di quella di Drew si fusero Eric, i cocktail Molotov, Karl in fiamme e Drew guardò quelle sagome, le avvertì e seppe che lui conosceva quell’uomo. Quel dottore, che per tutta la vita correva rischi costantemente ai margini della paura, non per la fortuna che tali rischi avrebbero potuto procurargli ma per sfuggire alla nullità che si portava dentro. Quell’uomo per cui il successo non era mai abbastanza (non avrei potuto farlo meglio? qualcun altro lo farà meglio?) per il quale, tuttavia, il fallimento rappresentava annichilimento. Drew vide le sagome di come avrebbe reagito il dottore davanti a un test mal riuscito alla scuola di medicina, davanti a un colloquio andato a qualcun altro, davanti a un arresto a causa di quella struttura medica. Le prime due sagome di fallimento erano incurvate e sconfitte; la terza rappresentava una gioia bruciante per un fallimento che non aveva causato personalmente, che gli era stato inflitto dall’esterno: una specie di trionfo, quindi. Drew vide le forme anche di quello, forme prive di parole, che si agganciarono non tanto al suo cuore, non provava una particolare emozione quanto agli strati successivi della sua mente, come una pianta che metteva profondissime radici. Un albero incrollabile. L’albero della conoscenza, senza parole, come tutti gli alberi sono senza parole contro un cielo immobile.
Drew strizzò gli occhi. Tutto era avvenuto in un solo istante. Lui però lo avrebbe saputo per sempre.
— Solleva la testa — disse bruscamente il dottore, come se fosse stato Drew a ferirlo e non viceversa, e Drew vide anche le sagome della durezza. Altre sagome dalle sue profondità si sollevarono verso di essa, si fusero con essa. Drew rimase a osservare. Le forme erano lui, ma lui era anche qualcosa d’altro, qualcosa di separato, qualcosa che osservava e comprendeva.
Sollevò la testa. Uno schermo sulla sua destra cominciò a emettere un leggero bip-bip, con un ritmo atonale. Il dottore esaminò lo schermo con attenzione.
Leisha corse nella camera.
Vedendola, nella testa di Drew esplosero così tante forme che il ragazzo non riuscì a parlare. Leisha si chinò su di lui, lanciando un’occhiata allo schermo, appoggiandogli una mano fresca sulla fronte. — Drew…
— Salve, Leisha.
— Come… come ti senti?
Lui sorrise perché era impossibile rispondere alla domanda.
La donna disse a denti stretti: — Starai bene, ma ci sono molte cose che hai il diritto di sapere. — E Drew vide quanto chiaramente quelle parole stavano assumendo la forma della stessa Leisha: il diritto di sapere. Vide la forma, il complesso equilibrio di tutte le questioni di diritti e privilegi con cui lei aveva combattuto per l’intera vita, che aveva fatto diventare la sua vita. Vide la forma di Leisha nitida e fondamentalmente austera, che lottava con le altre forme disordinate che protendevano pseudopodi e germogli, e che non potevano essere catturate, come lei continuava a sforzarsi di fare, in leggi e principi. La stessa lotta aveva una forma e Drew tentò strenuamente di cercare una parola per esprimerla, ma le parole non c’erano. Per lui le parole c’erano state raramente. Il termine più vicino che fu in grado di scovare era antico, "cavaliere", ed era sbagliato, troppo sbiadito per l’intensa pregnanza della forma del combattimento di Leisha per codificare il mondo privo di leggi. La parola era sbagliata. Lui corrugò la fronte.
Leisha disse: — Oh… non piangere, Drew, tesoro!
Lui non stava affatto per piangere. Lei non capiva. Ma come avrebbe potuto? Nemmeno lui riusciva a capire quello che gli era accaduto, che gli era stato fatto, qualsiasi cosa fosse. Eric aveva voluto ferirlo, sì, ma lui non era rimasto ferito, questo stava solo rendendo Drew più se stesso, come un uomo che era stato in grado di correre per tre chilometri e ora riusciva a correre per quindici. Ancora se stesso, i suoi muscoli, le sue ossa, il suo cuore, ma più se stesso, e quel di più lo mutava dall’essere qualcosa di comune a qualcosa… d’altro. Straordinario. Appariva straordinario a se stesso.
Leisha disse: — Dottore, non riesce a parlare!
— Riesce a parlare — rispose il dottore seccamente, e subito le sue sagome tornarono a Drew: l’isterico eccitamento pompato che era paura, il trionfo di non mostrarlo. — Le scansioni del cervello non mostrano danni ai centri del linguaggio!
— Di’ qualcosa, Drew! — lo pregò Leisha.
— Sei bellissima.
Non se n’era mai reso conto prima: come aveva fatto a non accorgersene? Leisha china su di lui, coi capelli biondi da ragazzina, il volto segnato dalla forza decisa di una donna nel fiore degli anni. Drew vide le sagome che formavano quella forza: erano le forme dell’intelligenza e della sofferenza. Come aveva fatto a non vederlo prima? Il seno di lei era dolcemente arrotondato sotto il tessuto sottile della camicetta: il suo collo si ergeva come una calda colonna, incavi bianchi delicatamente sfumati di azzurro. Lui non se n’era mai accorto. Per niente. Quanto era bella Leisha.
Leisha indietreggiò leggermente, corrugando la fronte. Disse: — Drew… in che anno siamo? In che paese sei stato arrestato?
Scoppiò a ridere. La risata gli fece dolere il petto, e il giovane si rese conto per la prima volta di avere del cerotto sulle costole e le braccia immobilizzare dai lacci. Eric entrò nella stanza, restando in piedi al fondo del letto e, alla vista del volto rigido di Eric, altre sagome si affollarono nella testa di Drew. Vide perché Eric aveva fatto ciò che aveva fatto, tutto, fino dal giorno presso il pioppo nero, in cui due ragazzini avrebbero combattuto fino alla morte, se uno dei due fosse stato forte abbastanza da farlo. A seguire, arrivarono le forme per il padre di Drew, che picchiava i figli in preda alla rabbia provocata dall’alcol, e per Karl, trafitto e ustionato dalla bomba che non era riuscito a scagliare abbastanza in alto. Erano tutte, in effetti, la stessa forma, e così orrenda che Drew avvertì per la prima volta l’altro sé separato, il sé che osservava le forme, bruciato dalle stesse. Chiuse gli occhi.