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Miri annuì.

— D-d-difesa. Per n-n-noi — riuscì a dire Allen,

— In-inclusi i N-n-normali che hanno r-r-ragione — aggiunse Diane Clarke, e gli altri intuirono le stringhe che lei intendeva con il termine "ragione".

Jonathan Markowitz disse: — Ss-s-sam S-s-smith.

Sarah Cerelli aggiunse: — J-j-joan L-l-lucas. Il s-s-suo f-f-fratellino m-mai n-n-nato. — Miri rivide se stessa e Joan accucciate presso la cupola per la produzione energetica nell’Anniversario del Ricordo, udì nuovamente la propria ottusa durezza davanti al dolore di Joan per l’aborto del fratello Dormiente. Miri si contrasse. Come era potuta essere così dura con Joan? Come poteva non aver capito?

Perché non era ancora accaduto a lei.

— A-abbiamo b-b-bisogno di un n-n-nome — disse Diane. Prese il posto di Allen davanti alla console e richiamò il proprio programma di stringhe. Quando fece spazio a Miri perché vedesse il risultato, la ragazzina scorse una complessa struttura di pensiero sulla forza dei nomi per l’autoidentificazione, sulla autoidentificazione per una comunità, sulla posizione dei Super all’interno della comunità se non si fosse mai più verificato il bisogno di difendersi. Poteva anche accadere. Poteva succedere che nessuno di loro venisse mai più ferito o messo in pericolo dai Normali, e che le due comunità potessero coesistere per decenni a fianco a fianco, essendo solamente loro a sapere che erano due. La forza di un nome. Miri contorse la bocca. Disse: — Un n-n-nome.

— S-sì. Un n-n-nome — confermò Diane.

Lei li guardò tutti. Le stringhe di Diane fluttuavano in proiezione olografica, delineando sia la loro separazione sia i complessi limiti della loro dipendenza fisica ed emotiva. Un nome.

— I M-m-mendicanti — disse Miri.

— Non avevo altra scelta — disse Jennifer. — Non avevo scelta!

— No, non ne avevi — confermò Will Sandaleros. — È semplicemente troppo giovane per sostenere una seduta al Consiglio, Jenny. Miri non ha imparato ancora a controllarsi o a dirigere il proprio talento per il proprio bene. Lo farà. Nel giro di pochi anni potrai ridarle il seggio. È stato soltanto un errore di valutazione, tesoro mio. Tutto qui.

— Ma non mi vuole più parlare! — gridò Jennifer. In un momento riacquistò il controllo di sé. Lisciò le pieghe della sua abbaya nera e allungò una mano per versare a sé e Will dell’altro tè. Le sue lunghe dita affusolate erano ferme sulla teiera antica: il fragrante flusso di tè a foglia singola, una varietà modificata geneticamente sviluppata al Rifugio, ricadde senza spruzzare nelle graziose tazze in lega. Najla le aveva forgiate per il sessantesimo compleanno della madre. Tuttavia nitide rughe correvano dal naso alla bocca di Jennifer. Guardando il volto di sua moglie, Will si rese conto che il dolore poteva assomigliare alla vecchiaia.

— Jenny — le disse dolcemente — dalle più tempo. Ha subito un brutto colpo ed è ancora una bambina. Non ricordi come eri tu a sedici anni?

Jennifer gli lanciò un’occhiata penetrante. — Miri non è come noi.

— No, ma…

— Non si tratta soltanto di Miri. Anche Ricky si rifiuta di parlare con me.

Will appoggiò la tazza di tè. Le sue parole avevano l’attenta cadenza di un discorso pronunciato in tribunale. — Ricky è sempre stato un po’ instabile per essere un Insonne. Un po’ debole. Come suo padre.

Jennifer disse, come se fosse una risposta: — Ricky e Miri dovranno ammettere tutti e due ciò che Richard non ha mai potuto: il primo dovere di una comunità sta nel proteggere le proprie leggi e la propria cultura. Senza la volontà di fare questo, senza il patriottismo, non si ha altro se non un ammasso di persone che vivono casualmente nello stesso posto. Il Rifugio deve proteggere se stesso. — Un istante dopo aggiunse: — Specialmente ora.

— Specialmente ora — confermò Will. — Dalle del tempo, Jenny. Dopo tutto, è tua nipote.

— E Ricky è mio figlio. — Jennifer si alzò, sollevando il vassoio con il tè. Non guardò il marito. — Will?

— Sì.

— Metti l’ufficio di Ricky e il laboratorio di Miranda sotto sorveglianza.

— Non possiamo farlo. Quanto meno non con Miri. I Super hanno condotto esperimenti sulla sicurezza. Qualsiasi cosa abbia progettato Tony, non è accessibile. Almeno per noi, comunque, senza lasciare tracce evidenti.

Al nome di Tony, un nuovo dolore riempì gli occhi di Jennifer. Will si alzò e l’abbracciò, nonostante il vassoio del tè. La voce della donna rimase composta.

— Allora fai spostare Miri in un altro laboratorio, in un diverso edificio dove possiamo effettuare la sorveglianza.

— Certo, tesoro. Oggi stesso. Ma Jenny… è solamente dolore infantile e shock. È una ragazzina brillante. Si adeguerà alla giustizia e alla necessità.

— So che lo farà — rispose Jennifer. — Falla traslocare oggi stesso.

23

Una settimana dopo la morte di Tony, Miri andò a cercare suo padre. Le Strutture della stazione orbitale l’avevano sbattuta fuori dal suo laboratorio, suo e di Tony, dove un tempo lui aveva lavorato, riso e parlato con lei, e l’avevano trasferita in un laboratorio nuovo nell’Edificio Scientifico Due. Quello stesso pomeriggio era andato nel suo laboratorio Terry Mwakambe. Fra tutti i Super Terry era il più brillante nei sistemi di controllo, perfino migliore di Tony, ma lui e Tony avevano lavorato insieme raramente perché le stringhe di Terry rendevano difficile la comunicazione. Un accumulo di modificazioni genetiche radicali con conseguenze neurochimiche non ancora completamente comprese lo rendevano strano perfino per gli altri Super. La maggior parte delle sue stringhe consisteva in formule matematiche basate sulla teoria del caos e sui nuovissimi fenomeni della disarmonia. Aveva dodici anni.

Terry passò svariate ore ai terminali e ai pannelli a parete di Miri, strizzando furiosamente gli occhi e con la sottile e giovane bocca che sembrava una linea tremante. Non disse assolutamente nulla a Miri. Alla fine, lei comprese che quel silenzio rappresentava una furia forte quasi quanto la propria. Terry amava i suoi genitori, Normali che avevano fatto alterare i suoi geni per creare quella strana, straordinaria intelligenza, le sue Super abilità che ora quegli stessi Normali stavano mettendo sotto sorveglianza come se Miri, una come lui, fosse una specie di ladruncolo mendicante. La sensazione di tradimento provata da Terry riempiva il laboratorio come calore.

Quando ebbe terminato, l’equipaggiamento di sorveglianza del Consiglio funzionava alla perfezione. Mostrava Miri intenta a giocare interminabili partite a scacchi con il terminale. Una difesa contro il lutto. Un’affermazione di potere fatta da qualcuno che aveva scoperto di essere impotente davanti alla morte. Il corpo di Miri, seguito su uno scanner a infrarossi, accasciato sulla console olografica impiegava un sacco di tempo per effettuare ogni mossa. I programmi dei sistemi di sorveglianza rendevano disponibile ogni mossa in ogni partita. Miri le vinse tutte, anche se fece qualche occasionale difesa sciatta.

— E-e-ecco — disse Terry, e uscì sbattendo la porta del laboratorio. Era l’unica parola che aveva pronunciato.

Miri trovò suo padre seduto nel parco sotto il punto in cui aveva fluttuato il campo giochi. Il secondo figlio maschio Normale suo e di Hermione gli stava seduto in grembo. Il bambino aveva quasi due anni, era un bel maschietto di nome Giles, dai riccioli color nocciola modificati geneticamente e grandi occhi scuri. Ricky lo teneva come se potesse rompersi, e Giles si dimenava per essere messo a terra.

— Non parla ancora — fu la prima cosa che Ricky disse a Miri. Lei esaminò le implicazioni dell’osservazione.