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Miri guardò dapprima il volto di Terry, quindi quello di Nikos, quello di Christy e quello di Allen. Guardò nuovamente l’arma biologica di sua nonna, nascosta perfino al Consiglio del Rifugio, conosciuta soltanto dalla manciata di collaboratori dei Laboratori Sharifi che l’avevano sviluppata, sintetizzata e celata in città piene di altri bambini.

Suo padre lo sapeva?

Miri pensò improvvisamente, scioccamente, che anche lei si sarebbe fatta una maschera di plasticarta modellata.

Alla fine, dopo ore e ore di agitata discussione, i Mendicanti non fecero nulla riguardo all’arma biologica. Non c’era nulla che potessero fare. Se i Super avessero raccontato al Consiglio quello che sapevano, il Consiglio avrebbe immaginato le loro reali capacità. Se avessero disattivato il meccanismo di controllo a distanza, anche gli adulti lo avrebbero immaginato. Se ciò fosse accaduto, i Mendicanti avrebbero perduto la loro opportunità segreta di proteggere i loro; come non erano stati in grado di proteggere Tony. In ogni caso, se il virus serviva soltanto come difesa, creato con la fervida speranza che non ce ne sarebbe mai stato il bisogno, in che termini i Laboratori Sharifi stavano facendo qualcosa di diverso da quello che avevano fatto i Mendicanti stessi?

I ragazzini non seppero pensare a qualcosa di più, oltre all’installare programmi difensivi in sovrapposizione, quindi non fecero altro.

Miri si incamminò lentamente verso il proprio laboratorio e il programma elusivo inserito per la sorveglianza, che la mostrava vincere una partita di scacchi inesistente dopo l’altra.

La scoperta dei Mendicanti agitò Miri per giorni. Cercò di lavorare sulla sua vecchia ricerca neurologica per inibire la balbuzie. Ruppe un delicato bioscanner, inserì in modo errato un pezzo di vitale importanza del codice nel terminale e scagliò un beaker attraverso la stanza. Continuava a vedere suo padre con Giles che si divincolava sulle sue ginocchia. Ricky la amava. L’amava abbastanza da sospettare che i Super si stessero ritirando in una propria comunità e da non… cosa? Che cosa avrebbe potuto fare, comunque? Che cosa voleva fare?

Le stringhe le si agitavano nella mente come nuvole che turbinassero da jet di manutenzione: lealtà. Tradimento. Autoconservazione. Solidarietà. Genitori e figli.

L’apparecchio di telecomunicazione squillò. A dispetto della propria agitazione, Miri si avvicinò il più silenziosamente possibile quando vi vide apparire il volto di Joan Lucas.

— Miri. Se ci sei, puoi inserirti in doppio canale?

Miri non si mosse. Joan le aveva portato la notizia della morte di Tony, piangendo a sua volta. Joan era una Normale. Joan era una sua vecchia amica? Una sua nuova nemica? Le categorie, in quel caso, non reggevano.

— O non sei lì o non vuoi parlare con me — disse Joan. Si era fatta ancora più bella durante l’anno trascorso, una bella diciassettenne modificata geneticamente con le mascelle forti e immensi occhi violetti. — Non importa. So che sei ancora addolorata per Tony. Ma, se sei lì, voglio dirti di accedere all’olocanale ventidue degli Stati Uniti. Subito. C’è un artista che a volte guardo. Mi ha aiutato con… qualche problema che avevo nella mente. Potrebbe aiutare anche te, guardarlo. È solo un’idea. — Joan abbassò lo sguardo, come se stesse soppesando con attenzione le parole e non volesse che Miri scorgesse l’espressione che aveva negli occhi. — Se vi accedi, fai in modo che non venga registrato sul giornale di bordo. Sono certa che tutti voi Super sappiate come fare.

Per la prima volta, Miri si rese conto che Joan la stava chiamando su una linea in codice.

Miri rimase dubbiosa a masticarsi una ciocca di capelli spettinati, abitudine che aveva preso dalla morte di Tony. Come era possibile che guardare un "artista" dalla Terra avesse aiutato Joan con "qualche problema che aveva nella mente"? E che genere di problemi poteva avere una come Joan, già perfettamente inserita nella propria comunità?

Nulla che avesse a che fare con quelli di Miri.

Raccolse il beaker che aveva lanciato, lo lavò e lo disinfettò. Tornò al codice del DNA per un neurotrasmettitore sintetico che aveva modellato sul terminale, e riprese la noiosa impresa di testare al computer le minute, ipotetiche, impercettibili alterazioni nella formula, che poteva essere o meno il giusto punto di partenza. Il programma non girava, doveva esserci un difetto di funzionamento da qualche parte. Miri picchiò un lato del terminale. — C-c-cazzo!

Nikos o Terry avrebbero saputo come ripararlo immediatamente. O anche Tony.

Miri crollò su una sedia. Ondate di angoscia la pervasero. Quando il peggio fu passato, si rivolse nuovamente al terminale. Nonostante il programma di verifica, non riuscì a trovare il difetto.

Si voltò alla linea comunicazioni ed entrò nell’olocanale ventidue degli Stati Uniti.

Era completamente nero. Un altro difetto? Miri era balzata su per inserire il pugno nel palco olografico in miniatura e per picchiare sul suo pavimento, quando il centro del palco si illuminò improvvisamente. C’era un uomo seduto su una sedia, alto venti centimetri, che cominciò a parlare.

— "Felici quei giorni in cui io / brillavo nell’angelica infanzia! /Prima che comprendessi questo luogo…"

Quello? Un uomo su una sedia che recitava una specie di poesia da mendicante? Joan aveva interrotto anni di virtuale silenzio per dire a Miri di guardare quello?

Quando l’uomo aveva cominciato a parlare l’oscurità alle sue spalle aveva preso forma. No… ne erano uscite delle forme, ripetitive ma anche sottilmente differenti, stranamente irresistibili. Nella testa di Miri si formarono delle stringhe, e lei notò che anch’esse, pure se costituite dai pensieri più sciocchi, erano sottilmente differenti rispetto alle sue solite stringhe, la loro forma complessiva non era molto diversa da quelle che scivolavano oltre l’uomo che stava recitando dalla carrozzella. Forse avrebbe dovuto vederlo Diane: stava lavorando sulle equazioni per descrivere la formazione di stringhe di pensiero, portando avanti il lavoro che Tony aveva creato prima di morire.

— "Ma provati attraverso tutti questi vestiti carnosi / Brillanti raggi di eternità" — disse l’uomo. Miri si rese conto improvvisamente che la sua carrozzella era potenziata tecnologicamente e che lui doveva essere in qualche modo deforme o menomato. Non normale.

Le stringhe nella sua mente si fecero più piatte, più calme. Le forme nell’olotrasmissione erano mutate. Udì le parole dell’uomo, tuttavia senza udirle: non erano le parole a essere importanti. E non era giusto? Le parole non erano mai state importanti, solo le stringhe, e le stringhe avevano forme come, ma non proprio come, quelle attorno all’uomo. Soltanto che anche l’uomo era scomparso, e anche questo era giusto perché lei, Miri, Miranda Serena Sharifi, stava scomparendo, scivolando lungo una prolungata e ripida discesa, e a ogni metro che percorreva si faceva sempre più piccola, fino a scomparire ed essere invisibile, un fantasma trasparente privo di peso che non si contraeva e non balbettava, nell’angolo di una stanza che non aveva mai visto prima.

Sotto, lo sapeva, c’erano altre stanze. Si trattava di un edificio profondo, non alto, e ogni stanza era simile a quella, piena di luce così tangibile da sembrare viva. In effetti era viva e si trasformò improvvisamente in una bestia con quindici teste. Miri brandiva una spada. — No — disse a voce alta — io sono trasparente, non posso usare una spada. — Quello, tuttavia, non aveva apparentemente alcuna importanza, perché la bestia si diresse verso di lei ruggendo e lei le mozzò una testa. Essa cadde, e solo allora lei si accorse che era quella di sua nonna. La testa di Jennifer giaceva al suolo e, mentre Miri osservava inorridita, si aprì un buco nel pavimento e la testa, sorridendo debolmente, vi scivolò dentro. Miri sapeva che sarebbe finita in un’altra stanza, più in profondità, quell’intero posto era formato da una stanza che si apriva sotto l’altra, ma la testa non svanì interamente. Nulla svaniva mai interamente. La bestia l’attaccò di nuovo e lei mozzò un’altra testa, che cadde altrettanto serenamente attraverso il pavimento. Era stata quella di suo padre.