Improvvisamente, venne colta dalla furia. Mozzò e mozzò. Riconobbe alcune delle teste mentre sprofondavano sempre più giù nell’edifico, altre no. L’ultima era quella di Tony e, invece di svanire, fece crescere un corpo: non quello di Tony ma il corpo perfetto modificato geneticamente di David Aronson, il corpo che lei aveva tentato di sedurre tre anni prima quando lui l’aveva respinta. Tony/David cominciò a spogliarla, e lei si eccitò immediatamente. — Ti ho sempre voluto — fece Miri.
— Lo so — rispose lui — ma prima dovevo smettere di tremare. — Lui la penetrò, e il mondo sopra le loro teste esplose in stringhe di pensiero.
— No, aspetta un attimo — disse Miri a Tony — queste non sono le stringhe giuste. — Sollevò lo sguardo, si concentrò e modificò le stringhe in svariati punti. Tony aspettò, sorridendo con la bocca bellissima e il corpo fermo. Quando Miri ebbe terminato di cambiare le stringhe, lui allungò le mani per abbracciarla e lei venne pervasa da una tale tenerezza, una tale pace, che disse con gioia: — Non importa della mamma!
— Non è mai stato importante — confermò Tony, e lei rise, lo accarezzò e…
…si svegliò.
Miri sobbalzò terrorizzata. Il laboratorio le riaffiorò attorno all’esistenza. Era sparito, era stato sostituito da…
Lei aveva dormito. Aveva sognato.
— N-n-n-no — si lamentò Miri. Come poteva essersi addormentata? Lei? Sognare era ciò che facevano i Dormienti, i sogni erano costruzioni di pensiero descritti in studi teorici sul cervello. L’oloterminale era nuovamente scuro. Lentamente, l’uomo rientrò in dissolvenza.
Le forme. Il suo equipaggiamento aveva proiettato forme e c’erano state delle forme di risposta nella mente di lei. Come strutture di stringhe-pensiero… ma no. Erano forse venute da una diversa parte del cervello non corticale? Tuttavia la sensazione di pace, di gioia, di tremenda unità con Tony, poteva essere giunta solamente dalla sua corteccia. Lo aveva sognato. L’uomo l’aveva, recuperò la parola terrestre, "ipnotizzata" con le sue forme mentali, la sua poesia e la sua solitudine e quindi le forme nell’ologramma avevano attirato le stesse forme sognanti di lei.
Ma c’era stato altro. Miri aveva cambiato il sogno. Si era concentrata sulle stringhe che incombevano sulla sua testa e su quella di Tony e le aveva cambiate, deliberatamente. Nel ricordo, riusciva a vedere tutt’e due le versioni.
Miri restò seduta immobile, come aveva fatto nel sogno.
— Drew Arlen — stava dicendo una voce eccessivamente allegra sull’ologramma dell’uomo sulla carrozzella — Sognatore Lucido. La nuova forma artistica che ha preso il paese in un lampo! Questo è un programma non replicabile, Vivi di Ololandia, quindi per acquistare la vostra copia di una delle sei diverse rappresentazioni di Sogno Lucido di Drew…
Miri premette il codice di Tony per la duplicazione. L’uomo sulla carrozzella si congelò.
Lei appoggiò la testa fra le ginocchia, ancora abbacinata. Aveva sognato. Lei, Miranda Sharifi, Insonne e Superintelligente. Riusciva ancora a vedere Tony, a sentire le braccia di lui attorno a sé, a provare la profondità dell’edificio sotto di lei, le sue stanze interminabili. Poteva ancora vedere le stringhe di pensiero, solide come materia, che lei aveva raggiunto e cambiato.
Miri sollevò la testa dalle ginocchia e si avvicinò al terminale di lavoro. Rimise a posto il difetto nel programma. Fu facile: tutto quello che ebbe bisogno di fare fu seguire le stringhe che aveva visto nel sogno, quelle che aveva cambiato. Inserì il preciso codice di DNA che aveva inseguito per tre anni e non aveva mai effettivamente visto. Il programma lo confrontò ai parametri, alle tavole delle probabilità e alle interazioni neurochimiche. Sarebbe occorso del tempo per effettuare la comparazione e la strutturazione, ma Miri era già sicura: le modificazioni genetiche erano quelle giuste. Erano quelle che aveva ricercato, alle quali aveva girato attorno, ma che non era riuscita a vedere, finché una parte della sua mente sognante non aveva guardato i dati di fatto presenti nelle sue stringhe di pensiero in modo differente e aveva aggiunto ciò che mancava.
Quello era giusto: la sua mente aveva aggiunto ciò che mancava, ciò che era sempre mancato in tutta la sua vita. Le idee, non lineari, non annodate in stringhe, non collegate in modo percettibile, recuperate dalla parte mancante della sua mente. La parte sognante. No, la parte sognante lucidamente, che affondava in un universo più profondo di un solo livello, per tirare fuori cose che lei non aveva mai immaginato che fossero lì e che tuttavia erano indubbiamente sue. Cose che lei, la Miri cosciente, poteva manipolare parzialmente nel mondo dei sogni.
Miri guardò l’ologramma congelato dell’artista in carrozzella. Lui stava sorridendo debolmente: una luce invisibile gli scintillava sui capelli lucidi. Aveva brillanti occhi verdi. Lei provò ancora l’orgasmo del sogno con Tony. Ogni fibra della sua fiera, giovane, determinata personalità si legò attorno alla figura di Drew Arlen, che le aveva concesso quel dono, quella forma di riscatto.
Sogno lucido.
Miri si alzò. Voleva sintetizzare il composto neurologico, testarlo e assumerlo. Sapeva che avrebbe funzionato. Avrebbe inibito la balbuzie, il tremore e le contrazioni dei Super senza diminuire le loro superabilità. Avrebbe permesso loro di essere se stessi, solo con una dimensione in più.
Come nel sogno lucido. Essere se stessi, ma anche un po’ di più.
Prima, però, doveva fare qualcos’altro. Richiamò il programma bibliotecario e lo regolò sui parametri di ricerca preliminari più ampi possibili: tutti i dati in archivio del Rifugio, nelle banche dati legali terrestri per le quali il Rifugio pagava forti abbonamenti, in quelle illegali per cui pagavano abbonamenti anche più cari. Usò i programmi di ricerca che Tony aveva progettato e le aveva insegnato a usare, quelli che accedevano alle banche dati che i proprietari ritenevano essere completamente sicure. Miri aggiunse ogni cosa le venne in mente. Voleva sapere tutto quello che c’era da sapere su Drew Arlen. Tutto.
Poi avrebbe stabilito come mettersi in contatto.
I Mendicanti si affollarono nel laboratorio di Raoul, sedendosi sulle panche, sulla scrivania, sul pavimento. Parlavano a bassa voce, come facevano generalmente l’uno con l’altro, lasciandosi molto tempo per pronunciare le parole. La maggior parte delle volte non si guardavano direttamente in faccia.
Oramai quasi tutti indossavano le maschere, alcune delle quali decorate in modo elaborato.
La maschera di Miri non era ornata. Non l’avrebbe indossata a lungo.
— P-p-proteine n-n-nucleari…
— …t-t-trovato un n-nuovo f-flusso a n-n-nastro…
— …un c-c-chilo p-p-più p-p-pesante…
— La m-m-mia s-s-sorellina…
— C-c-c-c-c — un grugnito di frustrazione. Apparve il primo terminale per richiamare un programma di stringhe.
— Aspettate un attimo prima di inserire la comunicazione per stringhe — disse Miri. — Ho qualcosa da mostrarvi.
La stanza cadde nel silenzio più profondo. Miri tolse la maschera e si scansò la lunga frangia dagli occhi. Li guardò serenamente con un volto che non si contraeva, non fremeva e non tremava.