Miranda si interruppe. Leisha sentì prudere gli occhi.
— Penso che insieme con noi ci saranno, anche se non ne sono sicura, alcuni Normali. Uno sarà probabilmente mio padre, Richard Sharifi. Non penso che lei potrà contattarmi direttamente per rispondere a questo messaggio, anche se non sono certa di quali siano le sue reali possibilità.
— Non certo come le loro — disse Stella, assumendo un’espressione abbacinata. Drew le lanciò un’occhiata divertita.
— Grazie — terminò con un certo imbarazzo Miranda. Spostò il peso portandosi un piede sopra l’altro, e all’improvviso sembrò ancora più giovane… — Se… se Drew Arlen è lì con lei quando riceverà questo messaggio e se lei ha intenzione di permettere a noi Superintelligenti di venire da lei, la prego di chiedergli se può restare. Mi piacerebbe… mi piacerebbe incontrarlo.
Improvvisamente, Miranda sorrise, mostrò un sorriso di tale cinismo che Leisha ne restò sbalordita. Non era una bambina, dopo tutto. — Vede — disse Miranda — noi veniamo da voi come mendicanti. Nulla da offrire, nulla da barattare. Soltanto bisogno. — Scomparve, e al suo posto apparve un improvviso grafico tridimensionale sullo schermo, un complesso globo fatto di stringhe di parole che si chiudevano, si incrociavano e si equilibravano, ogni parola o frase un’idea che si collegava alla successiva, l’intera struttura codificata a colori in modi che enfatizzavano le tensioni, gli equilibri e i controbilanciamenti di significato da concetti che si contrapponevano, rinforzavano o modificavano a vicenda. Il globo indugiò, ruotando lentamente.
— Che diamine è quello? — esclamò Stella.
Leisha si alzò e prese a camminare attorno al globo a una velocità leggermente maggiore rispetto a quella della rotazione, studiandolo. Sentiva le ginocchia tremanti. — Penso… penso che sia una discussione filosofica.
— Ooohhh — commentò Drew.
Leisha fissò il globo. Lo sguardo colse una frase in verde in uno strato esterno: "una casa divisa; Lincoln". Improvvisamente si sedette sul pavimento.
Stella si rifugiò in un’esplosione di attività di tipo domestico. — Se sono ventisette e se raddoppieranno, potremo aprire l’ala ovest e trasferire Richard e Ada in…
— Non sarò qui — intervenne pacatamente Richard.
— Ma Richard! Tuo figlio… — sbottò Stella, apparendo quindi imbarazzata.
— Era un’altra vita.
— Ma Richard! — Il volto di Stella cominciò ad arrossire. Richard scivolò silenziosamente fuori dalla stanza. L’unico che guardò direttamente fu Drew, che lo fissò di rimando con fermezza.
Leisha non si accorse di nulla. Stava seduta sul pavimento, studiando il globo di stringhe di Miranda, finché la trasmissione non terminò e l’ologramma svanì. Sollevò quindi lo sguardo sui tre che erano rimasti: Stella, Jordan e Drew. Stella trasse un sordo respiro.
— Leisha, la tua faccia…
— Le cose cambiano — rispose Leisha a gambe incrociate e raggiante sul pavimento. — Ci sono seconde e terze opportunità. Poi, quarte e quinte.
— Be’, è ovvio — commentò Stella sconcertata. — Leisha, ti prego, alzati!
— Le cose cambiano — ripeté Leisha, come una ragazzina. — Non si tratta soltanto di cambiamenti di grado. Ci sono cambiamenti di genere. Anche per noi. Dopo tutto. Dopo tutto. Dopo tutto.
Erano trentasei, trasferiti in volo con un aereo governativo da Washington: l’intera faccenda era durata più di quanto chiunque, a parte Leisha, ex avvocato, non si fosse aspettato. Ventisette "Superintelligenti": Miri, Nikos, Allen, Terry, Diane, Christy, Jonathan, Mark, Ludie, Joanna, Toshio, Peter, Sara, James, Raoul, Victoria, Anne, Marty, Bill, Audrey, Alex, Miguel, Brian, Rebecca, Cathy, Victor e Jane. Nomi così comuni per persone così fuori dal comune. Con loro c’erano quattro bambini Insonni "Normali": Joan, Sam, Hako e Androula. C’erano inoltre cinque genitori che apparivano, fondamentalmente, più tesi dei loro bambirri. Fra i genitori c’era Ricky Sharifi.
I suoi occhi scuri erano stati resi pazienti dal dolore, e lui si muoveva con esitazione, come se non fosse certo di avere il diritto di camminare sulla Terra. Quando Leisha si rese conto del perché le sembrasse tutto normale, sorrise. Richard, che ormai appariva più giovane del figlio, aveva avuto quell’aspetto nei mesi successivi al processo di Jennifer.
Il primo processo di Jennifer. I membri del Consiglio del Rifugio si trovavano tutti in prigione a Washington.
— Mio padre è qui? — chiese Ricky a Leisha con pacatezza, durante il primo pomeriggio di permanenza.
— No. Lui, se n’è andato, Ricky.
Ricky annuì, non era sorpreso. Sembrava quasi che si fosse aspettato quella risposta. Forse era proprio così.
Miranda Sharifi, "Miri", prese il comando fin dall’inizio. Dopo il trambusto per l’arrivo, la sistemazione dell’equipaggiamento, delle valigie, delle reti di sicurezza e l’elaborata organizzazione delle stanze di Stella, Miri si recò con suo padre nello studio di Leisha. — Grazie per averci permesso di venire qui, signorina Camden. Siamo intenzionati a studiare una forma di pagamento per l’affitto delle camere non appena i nostri beni saranno stati dissequestrati dal vostro governo.
— Chiamami Leisha. È anche il tuo governo. Ma non è necessaria alcuna forma di affitto, Miri. Siamo contenti di avervi qui.
Gli occhi scuri di Miri la esaminarono. Erano occhi strani, pensò Leisha, non per particolari caratteristiche fisiche, ma perché sembravano vedere cose che nessun altro vedeva. Restò leggermente scioccata nel rendersi conto che, a dispetto dell’ammirazione che già provava per Miri, gli occhi della ragazzina la mettevano a disagio. Quante cose vedeva di lei quello sguardo diretto? Quante cose capiva quel cervello potenziato, diverso, migliore dell’animo profondo di Leisha?
Doveva essere quello che un tempo aveva provato Alice nei suoi confronti, e Leisha non lo aveva mai saputo, non se ne era mai resa conto.
Miri sorrise. Il sorriso le trasformò l’intero volto, lo aprì e lo illuminò. — Grazie, Leisha. È molto generoso. Ma è molto di più: io penso che tu ci consideri parte della tua comunità e per questo ti ringraziamo profondamente. La comunità è un concetto davvero importante, per noi. Preferiremmo tuttavia pagarti. Siamo yagaisti, sai?
— Lo so — rispose Leisha, chiedendosi se fra le cose che il miglior cervello di Miri potesse meglio comprendere ci fosse anche l’ironia. Aveva solo sedici anni.
— C’è… c’è ancora Drew Arlen? O è ritornato in tournée?
— È ancora qui. Ti ha aspettato.
Miri arrossì. "Oh, oh" pensò Leisha. "Oh…" Leisha mandò a chiamare Drew. Lui sollevò lo sguardo verso Miri dalla carrozzella elettrica, con il suo bel volto apertamente interessato, e le porse la mano.
— Salve, Miranda.
— Dopo vorrei parlarle del sogno lucido — disse Miranda senza alcuna grazia, arrossendo ulteriormente. — Sugli effetti neurochimici che ha sul cervello. Ho portato avanti alcuni studi, e lei potrebbe essere interessato ai risultati, un’opportunità di considerare la sua arte dal punto di vista scientifico… — Leisha riconobbe lo sproloquio della ragazzina per quello che era: un regalo. Stava offrendo a Drew quello che riteneva fosse la parte migliore di sé: il proprio lavoro.
— Grazie — fece con espressione seria Drew. Gli occhi gli scintillarono. — Mi piacerebbe.
Leisha restò sbalordita di sé. Si era chiesta se non avrebbe provato una breve, debole fitta di gelosia per l’abbandono di Drew a favore di Miri, era stato anche troppo evidente quanto lui fosse pronto ad abbandonarla, ma quello che provò non fu né breve né di debole intensità. Né si trattò di gelosia. Un sentimento protettivo le avvampò dentro come un fuoco di paglia. Se Drew stava usando quella straordinaria ragazzina solamente per arrivare al Rifugio, lo avrebbe distrutto. Completamente. Miri si meritava di più, aveva bisogno di più, era migliore di cosi.
Sbalordita per il sentimento, Leisha restò in silenzio.