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Per quanto però lei amasse Joan, per quanto ammirasse i lunghi riccioli bruni di Joan, la sua abilità nel suonare la chitarra e la sua acuta dolce risata, Miri sapeva che era con quelli della sua specie, con gli altri Super, che provava maggiormente il senso di comunità. Cercò di nasconderlo: era sbagliato. Non celò, ovviamente, quel sentimento con Tony, che era suo fratello e che un giorno, insieme con lei e il piccolo Ali, che alla fine non era poi nato Super, nonostante quanto aveva detto la nonna si sarebbe andato ad aggiungere al blocco di votanti Sharifi, che controllava il cinquantuno per cento delle azioni del Rifugio, oltre alle holding finanziarie di famiglia. Erano quelle le cose che garantivano loro di non essere mendicanti.

La struttura economica del Rifugio la interessava. Tutto la interessava. Imparò a giocare a scacchi, e per un mese si rifiutò di fare qualsiasi altra cosa: quel gioco permetteva di creare dozzine di generazioni di stringhe, tutte annodate in modo complesso alle stringhe dell’avversario! Ma, dopo un mese, gli scacchi la stancarono. Dopo tutto, erano coinvolte solamente due serie di stringhe, anche se molto, molto lunghe.

La neurologia l’interessò di più. Il cervello aveva cento miliardi di neuroni, ognuno con siti ricettori multipli per neurotrasmettitori dei quali esistevano talmente tante varianti, che le stringhe che si potevano costruire risultavano quasi infinite. Quando Miri compì i dieci anni, stava conducendo esperimenti sui dosaggi di neurotrasmettitori, utilizzando se stessa e il volontario Tony come soggetti primari, Christina e Nikos come campioni di controllo. Il dottor Toliveri la incoraggiò. — Miranda, presto contribuirai personalmente alla prossima generazione di Super!

Ma non bastava ancora. C’era sempre qualcosa di mancante nelle sue stringhe, qualcosa che Miri percepiva così oscuro da non riuscire a discuterne con alcuno oltre a Tony, che, si scoprì, non sapeva di che cosa lei stesse parlando.

— V-v-vuoi d-d-dire, M-m-miri, che alcune s-s-stringhe m-m-m-mostrano punti d-d-deboli d-d-dovuti all’ins-insufficienza delle b-b-banche d-d-dati da cui t-t-trarre c-c-concetti?

Lei udì le parole pronunciate, ma udì anche di più: le stringhe che vi si univano, le stringhe nel cervello di Tony, che lei poteva dedurre perché lo conosceva così bene. Lui stava seduto sorreggendosi la grossa testa con le mani, come facevano frequentemente tutti loro, mentre la bocca, le palpebre e le tempie gli fremevano e i folti capelli scuri gli sobbalzavano ritmicamente sulla fronte per le convulsioni del corpo. Le stringhe del fratello erano amabili, forti e nitide, ma Miri sapeva che non erano lunghe come le sue, o altrettanto complesse nelle interconnessioni. Tony aveva solo nove anni.

— N-n-no — disse lentamente lei — non b-b-banche d-d-dati ins-insufficienti. P-p-più c-come… la m-m-m-mancanza di uno s-s-spazio in cui d-d-dovrebbe an-an-dare un’altra d-d-dimensione di s-s-stringhe.

— Una t-t-t-terza d-d-dimensione del p-p-pensiero — disse lui con entusiasmo. — F-f-forte. M-m-m-a… p-p-perché? T-t-tutto si ad-adatta nelle d-d-due d-d-di-mensioni. La s-s-semplicità del d-d-disegno è s-s-superiorità del d-d-disegno.

Lei udì le stringhe relative: lama di Occam, minimalismo, eleganza di programma, teoremi geometrici. Agitò una mano, goffamente. Nessuno di loro era molto agile a livello fisico: tendevano a evitare qualsiasi ricerca che richiedesse la manipolazione di molti materiali, e a passare il tempo a programmare robot domestici quando una tale manipolazione non poteva essere evitata. — N-non s-s-so.

Tony la abbracciò. Non erano necessarie parole fra di loro, e quello era un terzo linguaggio, un’aggiunta alla semplicità delle parole e alla complessità delle stringhe, migliore di tutt’e due.

Per una volta tanto, Jennifer sembrò scossa.

— Come è potuto accadere? — chiese il consigliere Perrilleon. Era pallido quanto Jennifer.

La dottoressa, una giovane donna che aveva ancora addosso gli indumenti sterili riciclabili, scosse la testa. Il sangue macchiava la parte anteriore del camice. Era venuta direttamente dalla sala parto dell’ospedale da Jennifer, che aveva indetto una riunione di emergenza del Consiglio. La dottoressa sembrava prossima alle lacrime. Era tornata al Rifugio solo due mesi prima dall’internato medico sulla Terra, che era ancora obbligatorio, molto più magra di quando era partita.

Perrilleon continuò: — Ha già compilato il certificato di nascita?

— No — rispose la dottoressa. Era intelligente, pensò Jennifer, ed era capace. La sensazione di orrore attorno al tavolo non diminuì, ma vi strisciò sopra una specie di rilassamento quasi impercettibile. Non esisteva ancora alcuna comunicazione ufficiale a Washington.

— Allora abbiamo un po’ di tempo — disse Jennifer.

— Se non fossimo ancora legati ai governi dello stato di New York e degli Stati Uniti, avremmo ancora più tempo — commentò Perrilleon. — Inoltrare certificati di nascita, ricevere un numero dell’assistenza sociale… — Sbuffò. — Venire inseriti negli archivi fiscali.

— Nulla di tutto ciò conta in questo momento — osservò Ricky, con un briciolo di impazienza.

— Sì, invece — insistette Perrilleon. Jennifer vide il volto allungato dell’uomo fissarsi in un’espressione cocciuta. Aveva settantadue anni, era appena qualche anno più giovane di lei, ed era venuto dagli Stati Uniti con la prima ondata di insediamento. Sapeva, aveva visto, come stavano le cose laggiù, a differenza degli Insonni nati nel Rifugio, e ricordava. I suoi voti erano stati utili agli scopi di Jennifer al Rifugio. Ne avrebbe sentito la mancanza, quando fosse scaduto il suo mandato.

— La questione che ci troviamo ad affrontare — disse Najla — è che cosa fare di questo… bambino. Non abbiamo molto tempo. Se ci fosse un’anomalia nella registrazione del certificato di nascita, un qualche maledetto agente potrebbe emanare un mandato di perquisizione.

Era quello che temevano tutti: un motivo legale per i Dormienti per entrare nel Rifugio. Per ventisei anni si erano premurati che non si creasse alcuna ragione legale simile, osservando scrupolosamente ogni singola richiesta burocratica del governo sia degli Stati Uniti, sia dello stato di New York: il Rifugio, in quanto proprietà di un’azienda registrata nello stato di New York, ricadeva sotto la sua giurisdizione. Il Rifugio presentava lì le sue istanze legali, vi abilitava alla professione i propri avvocati e i medici, pagava le tasse e ogni anno inviava altri studenti di legge ad Harvard per imparare come mantenere "qui" e "lì" legalmente separati.

Quel nuovo bambino avrebbe potuto infrangere la separazione.

Jennifer aveva riacquistato la propria compostezza. Era ancora molto pallida, ma la sua testa, con la corona di capelli neri, era alta. — Cominciamo con l’esposizione dei fatti. Se questo bambino dovesse morire, il suo corpo verrebbe inviato a New York per l’autopsia, come tutti gli altri.

Perrilleon annuì. Sapeva già dove stesse andando a parare. Il suo cenno d’assenso significava sostegno.

Lei proseguì con fermezza: — Se questo accadrà, i Dormienti potrebbero avere un motivo legale per entrare nel Rifugio. Imputazione di omicidio.

Nessuno menzionò l’altro processo farsa per omicidio, avvenuto trentacinque anni prima. Quel caso sarebbe stato differente. Il Rifugio sarebbe stato colpevole.

— D’altra parte — continuò Jennifer con voce chiara — sarebbe clinicamente possibile che il bambino sembrasse morto di sindrome di morte istantanea infantile, o di qualche altra causa chiaramente irrefutabile. Se invece il bambino vivrà, saremo costretti a crescerlo. Qui, con i nostri. Nelle sue condizioni, con tutto ciò che questo implica. — Si interruppe. — Penso che l’alternativa sia chiara.

— Ma come è potuto accadere! — sbottò la consigliera Kivenen. Era molto giovane e incline al mostrarsi piagnucolosa. Jennifer non ne avrebbe sentito la mancanza, quando il suo mandato fosse scaduto.